Macchie - Ambra Stancampiano
Inviato: venerdì 24 giugno 2016, 1:01
Macchie
"La realtà è creata da armonie
che fisicamente si manifestano
come uno specchio che riflette l'anima
Hermann Rorschach
La cosa che più annoiava Hermann della vita di collegio era la partita di calcio dei suoi compagni il Venerdì.
In realtà nessuno lo sceglieva mai per la sua squadra - figuriamoci, il figlio strampalato del pittore! - però era costretto ad assistere, e ogni venerdì pomeriggio perdeva preziose ore di pratica della pittura per restare a fissare dieci bambocciotti che si sfidavano a prendere una palla a calci.
Quel pomeriggio i ragazzi avevano fatto più tardi del solito e il crepuscolo si avvicinava; Hermann era distratto, stava scrutando una macchia di alberi su una collinetta poco distante perché gli sembrava di intuire un movimento tra le ombre. Improvvisamente gli venne da pensare a suo padre, senza un motivo ben preciso; semplicemente, si fece strada tra i suoi pensieri un'immagine di suo padre e di come reggeva il pennello, suo padre di fronte a una tela che si girava a fissarlo e gli accennava un saluto, scostandosi la pipa dalla bocca. Un groppo umido cominciò a pesargli nella gola.
Uno strano cane nero, un po' troppo grande rispetto alla macchia d'alberi da cui era uscito, gli si avvicinò a balzi silenziosi. Hermann non aveva paura, si sentiva solo incredibilmente triste. Il cane gli arrivò davanti, la coda e le orecchia basse, gli occhi fiammeggianti ma colmi di lacrime. Hermann allungò una mano e il cane avvicinò il muso, gli si strusciò contro come se volesse consolarlo; aveva un pelo ispido e freddo, che sembrava cambiare forma di continuo. Il cane si staccò da Hermann, lo guardò con aria seria e si sedette di fronte a lui, orientò il naso verso il sole ormai quasi tramontato e si mise a ululare. Hermann, come ipnotizzato, si mise a sedere e accennò un "Uuuuuuuuh...".
Una botta violenta dietro la testa gli fece perdere l'equilibrio, i suoi compagni gli avevano tirato il pallone:
- Ehi Kleps! Vedi che per chiamare la fine della partita si fischia, mica si ulula!
Gli furono addosso in quattro, e alla fine della mischia il cane era scomparso.
Quella notte, Hermann non riuscì a prender sonno. Chiuso di nascosto nello studio, cercava di restituire l'immagine del cane su dei fogli con gli acquarelli, ma con pessimi risultati: più si concentrava sul pelo del cane, sulla sua forma rispetto a quella degli alberi, più dal suo pennello uscivano macchie informi e nere in cui i suoi compagni vedevano di tutto tranne che un cane. Umiliante, per il figlio di un pittore che fino a quel momento era stato considerato anche piuttosto dotato per l'arte. Più Hermann provava a dipingere quel maledetto cane, meno ci riusciva; contemporaneamente, sentiva nascergli in corpo una nuova passione, che lo bruciava da dentro: le macchie dipinte da Rorschach in collegio divennero ben presto famose, perché sembrava avessero il potere di mettere chiunque le guardasse di fronte alla sua stessa anima, come uno specchio. Ed Hermann stava lì a guardare, ascoltare le suggestioni dei suoi compagni di fronte alle sue creazioni.
Il fatto che il soprannome del loro creatore fosse proprio Kleps, cioè macchia, creò una sorta di rispetto mistico intorno a quel ragazzo che, fino a quel momento, veniva semplicemente additato come un tipo strambo.
Qualche settimana dopo aver visto il cane, ad Hermann arrivò una lettera che gli dava la dolente notizia della morte improvvisa di suo padre. Lui mollò la pittura e si diede alla nuova scienza tanto in voga al momento nella capitale svizzera: la psichiatria.
"La realtà è creata da armonie
che fisicamente si manifestano
come uno specchio che riflette l'anima
Hermann Rorschach
La cosa che più annoiava Hermann della vita di collegio era la partita di calcio dei suoi compagni il Venerdì.
In realtà nessuno lo sceglieva mai per la sua squadra - figuriamoci, il figlio strampalato del pittore! - però era costretto ad assistere, e ogni venerdì pomeriggio perdeva preziose ore di pratica della pittura per restare a fissare dieci bambocciotti che si sfidavano a prendere una palla a calci.
Quel pomeriggio i ragazzi avevano fatto più tardi del solito e il crepuscolo si avvicinava; Hermann era distratto, stava scrutando una macchia di alberi su una collinetta poco distante perché gli sembrava di intuire un movimento tra le ombre. Improvvisamente gli venne da pensare a suo padre, senza un motivo ben preciso; semplicemente, si fece strada tra i suoi pensieri un'immagine di suo padre e di come reggeva il pennello, suo padre di fronte a una tela che si girava a fissarlo e gli accennava un saluto, scostandosi la pipa dalla bocca. Un groppo umido cominciò a pesargli nella gola.
Uno strano cane nero, un po' troppo grande rispetto alla macchia d'alberi da cui era uscito, gli si avvicinò a balzi silenziosi. Hermann non aveva paura, si sentiva solo incredibilmente triste. Il cane gli arrivò davanti, la coda e le orecchia basse, gli occhi fiammeggianti ma colmi di lacrime. Hermann allungò una mano e il cane avvicinò il muso, gli si strusciò contro come se volesse consolarlo; aveva un pelo ispido e freddo, che sembrava cambiare forma di continuo. Il cane si staccò da Hermann, lo guardò con aria seria e si sedette di fronte a lui, orientò il naso verso il sole ormai quasi tramontato e si mise a ululare. Hermann, come ipnotizzato, si mise a sedere e accennò un "Uuuuuuuuh...".
Una botta violenta dietro la testa gli fece perdere l'equilibrio, i suoi compagni gli avevano tirato il pallone:
- Ehi Kleps! Vedi che per chiamare la fine della partita si fischia, mica si ulula!
Gli furono addosso in quattro, e alla fine della mischia il cane era scomparso.
Quella notte, Hermann non riuscì a prender sonno. Chiuso di nascosto nello studio, cercava di restituire l'immagine del cane su dei fogli con gli acquarelli, ma con pessimi risultati: più si concentrava sul pelo del cane, sulla sua forma rispetto a quella degli alberi, più dal suo pennello uscivano macchie informi e nere in cui i suoi compagni vedevano di tutto tranne che un cane. Umiliante, per il figlio di un pittore che fino a quel momento era stato considerato anche piuttosto dotato per l'arte. Più Hermann provava a dipingere quel maledetto cane, meno ci riusciva; contemporaneamente, sentiva nascergli in corpo una nuova passione, che lo bruciava da dentro: le macchie dipinte da Rorschach in collegio divennero ben presto famose, perché sembrava avessero il potere di mettere chiunque le guardasse di fronte alla sua stessa anima, come uno specchio. Ed Hermann stava lì a guardare, ascoltare le suggestioni dei suoi compagni di fronte alle sue creazioni.
Il fatto che il soprannome del loro creatore fosse proprio Kleps, cioè macchia, creò una sorta di rispetto mistico intorno a quel ragazzo che, fino a quel momento, veniva semplicemente additato come un tipo strambo.
Qualche settimana dopo aver visto il cane, ad Hermann arrivò una lettera che gli dava la dolente notizia della morte improvvisa di suo padre. Lui mollò la pittura e si diede alla nuova scienza tanto in voga al momento nella capitale svizzera: la psichiatria.