Macchie - Special MONSTER edition (3541)

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AmbraStancampiano
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Macchie - Special MONSTER edition (3541)

Messaggio#1 » venerdì 1 luglio 2016, 11:46

Premessa
Ciao, siccome riconosco anch'io di aver avuto una buona idea ma, complice l'alcol, trovo che la realizzazione di questa mia buona idea sia stata ampiamente insufficiente, posto qui il mio racconto per la MONSTER edition ancora in corso, cercando di migliorarlo seguendo i vostri consigli e avvalendomi del vostro preziosissimo editing.

Macchie

"La realtà è creata da armonie
che fisicamente si manifestano
come uno specchio che riflette l'anima."
Hermann Rorschach


La cosa che più annoiava Hermann della vita di collegio era la partita di calcio dei suoi compagni il Venerdì.
In realtà nessuno lo sceglieva mai per la sua squadra - figuriamoci, il figlio strampalato del pittore! - però era costretto ad assistere, e ogni venerdì pomeriggio perdeva preziose ore di pratica della pittura per restare a fissare dieci bambocciotti che si sfidavano a prendere una palla a calci.

Quel pomeriggio i ragazzi avevano fatto più tardi del solito e il crepuscolo si avvicinava; Hermann era distratto, stava scrutando una macchia di alberi su una collinetta poco distante perché gli sembrava di intuire un movimento tra le ombre. Improvvisamente gli venne da pensare a suo padre, senza un motivo ben preciso; semplicemente, si fece strada tra i suoi pensieri un'immagine di suo padre e di come reggeva il pennello, suo padre di fronte a una tela che si girava a fissarlo e gli accennava un saluto, scostandosi la pipa dalla bocca. Un groppo umido cominciò a pesargli nella gola.
Uno strano cane nero, un po' troppo grande rispetto alla macchia d'alberi da cui era uscito, gli si avvicinò a balzi silenziosi. Hermann non aveva paura, si sentiva solo incredibilmente triste. Il cane gli arrivò davanti, la coda e le orecchie basse, gli occhi fiammeggianti ma colmi di lacrime. Hermann allungò una mano e il cane avvicinò il muso, gli si strusciò contro come se volesse consolarlo; aveva un pelo ispido e freddo, che sembrava cambiare forma di continuo. Il cane si staccò da Hermann, lo guardò con aria seria e si sedette di fronte a lui, orientò il naso verso il sole ormai quasi tramontato e si mise a ululare. Hermann, come ipnotizzato, si mise a sedere e accennò un "Uuuuuuuuh...".
Una botta violenta dietro la testa gli fece perdere l'equilibrio, i suoi compagni gli avevano tirato il pallone:
- Ehi Kleps! Vedi che per chiamare la fine della partita si fischia, mica si ulula!
Gli furono addosso in quattro, e alla fine della mischia il cane era scomparso.

Quella notte, Hermann non riuscì a prender sonno. Chiuso di nascosto nello studio, cercava di restituire l'immagine del cane su dei fogli con gli acquarelli, ma con pessimi risultati: più si concentrava sul pelo del cane, sulla sua forma rispetto a quella degli alberi, più dal suo pennello uscivano macchie informi e nere in cui i suoi compagni vedevano di tutto tranne che un cane. Umiliante, per il figlio di un pittore che fino a quel momento era stato considerato anche piuttosto dotato per l'arte. Più Hermann provava a dipingere quel maledetto cane, meno ci riusciva; contemporaneamente, sentiva nascergli in corpo una nuova passione, che lo bruciava da dentro: le macchie dipinte da Rorschach in collegio divennero ben presto famose, perché sembrava avessero il potere di mettere chiunque le guardasse di fronte alla sua stessa anima, come uno specchio. Ed Hermann stava lì a guardare, ascoltare le suggestioni dei suoi compagni di fronte alle sue creazioni.
Il fatto che il soprannome del loro creatore fosse proprio Kleps, cioè macchia, creò una sorta di rispetto mistico intorno a quel ragazzo che, fino a quel momento, veniva semplicemente additato come un tipo strambo.

Qualche settimana dopo aver visto il cane, ad Hermann arrivò una lettera che gli dava la dolente notizia della morte improvvisa di suo padre. Lui mollò la pittura e si diede alla nuova scienza tanto in voga al momento nella capitale svizzera: la psichiatria.


Qui giace il mio cervello, che poteva fare tanto e ha deciso di fare lo stronzo.

alexandra.fischer
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Re: Macchie - Special MONSTER edition (3541)

Messaggio#2 » lunedì 4 luglio 2016, 20:53

Ciao, lo trovo un racconto molto visionario (il cane nero mi ha fatta pensare a una metafora della depressione. In effetti, Hermann in collegio si trova maluccio; non socializza con i compagni e odia la partita di calcio del Venerdì, dalla quale è escluso). Mi dispiace che perda il talento artistico, ma sono contenta che acquisti quello della psichiatria attraverso le macchie simili a quella del cane, che ha tentato inutilmente di ritrarre). L'unico difetto del racconto è l'essere slegato (di colpo i compagni rispettano Herman-Kleps per le sue macchie, come mai? Io userei lo spunto della partita di calcio, che so, macchie simbolo dell'antagonismo fra loro: il più arrogante di tutti potrebbe vedere nelle macchie qualcosa di perturbante che lo ha reso così...un'insicurezza profonda. E il cane nero? Potrebbe essere interessante vedere come gli altri personaggi lo percepiscono...uno di loro potrebbe avere paura dei cani). Interessante la notizia della morte del padre di Hermann...perché lo spinge a diventare psichiatra? Era schiacciato dalla levatura artistica del genitore? Io metterei un compagno di classe che vedendo le macchie si scopre artista ed è lui a ritrarre il cane nero (dalla depressione si può uscire). Ottima la scrittura.

Aspetto di leggere come si sviluppa.

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AmbraStancampiano
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Re: Macchie - Special MONSTER edition (3541)

Messaggio#3 » martedì 5 luglio 2016, 22:44

Ciao Alexandra,
grazie per il commento!
In realtà il racconto era stato scritto per la MONSTER edition, e il cane nero dovrebbe essere un Barghest (cioè un cane spettrale nunzio di morte), per questo muore il padre di Hermann.
Anche la tua interpretazione sulla depressione però è molto interessante, vediamo se riesco a condurlo su questo doppio binario!
Grazie ancora ^_^
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valter_carignano
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Re: Macchie - Special MONSTER edition (3541)

Messaggio#4 » martedì 5 luglio 2016, 23:07

ciao

nel Laboratorio cerco di essere più approfondito nei commenti rispetto ai contest. Non so se faccio bene o male, però mi sembra che - specie nei minuti contati - si debba essere indulgenti proprio per l'impossibilità pratica di rileggere/rivedere/revisionare.
Che il tuo racconto secondo me fosse buono l'ho già detto in quella sede, e il giudizio rimane invariato. Spero che qualcuna delle cose che scriverò qui di seguito ti sembri sensata e possa servirti a qualcosa.

Detto questo, prima domanda: perché nella prima riga 'Venerdì' è maiuscolo? Se l'intenzione è rendere in qualche modo 'sacro' ironicamente l'appuntamento con la partita, mi sembra che potrebbe non cogliersi. Sennò, ammetto di non aver capito.

Il 'groppo umido' che Hermann sente al pensiero del padre mi sembra starebbe meglio dopo la visione del mostro. Il mostro annuncia la morte, possiamo supporre porti un senso d'inquietudine e tristezza, cosa che infatti accade subito dopo, razionalmente non giustificati ma emozionalmente reali. Da cui il 'groppo'. Invece, messo lì dov'è, mi sembra che non sia giustificato, il pensiero/immagine del padre che lo saluta non è brutto/tragico.

aveva un pelo ispido e freddo, che sembrava cambiare forma di continuo. Il pelo cambia forma? Forse l'immagine che volevi rendere era che l'alterazione del pelo provocava un cambiamento della fisionomia, la rendeva incostante e 'liquida', indistinta, vaga come appunto le Macchie. Non riesco a immaginare un pelo che cambia forma.

orientò il naso mi sembra lo renda un cucciolone (ma forse è un'idea folle mia). Avrei messo una cosa tipo 'volse il muso' o simili.

che lo bruciava da dentro: le macchie dipinte da Rorschach. Non avendo più il limite stringente di caratteri, fra 'dentro' e 'le macchie' magari mostrare di più l'ossessione, il fatto che non può quasi fare a meno di disegnarle eccetera.

Ed Hermann. La 'd' in questo caso non è eufonica, perché in tedesco l'h è aspirata. Oppure in italiano è permessa? Boh. Dubbio.

Lui mollò la pittura. 'Mollò' non mi sembra coerente con lo stile usato fino a questo momento, mi sembra troppo 'basso'.

Il finale, sempre data la mancanza di limiti di carattere, potrebbe essere sviluppato con una scena, anziché con un raccontare. O cmq avere un poco più di spazio.

Scusa la lunghezza. Niente di quello che ho scritto voleva essere una critica, ma solo le mie impressioni personali e magari - se sono stato fortunato - qualcuna ti mostrerà un aspetto che non avevi considerato. Ciao.

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AmbraStancampiano
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Re: Macchie - Special MONSTER edition (3541)

Messaggio#5 » martedì 5 luglio 2016, 23:20

Ciao Valter,
grazie per gli ottimi appunti di cui terrò conto durante la riscrittura.
Credimi, con me puoi davvero essere una bestia anche durante minuti contati, più mi si smonta e più cresco :)
I commenti lunghi e cattivi sono i miei preferiti!
Grazie ancora!
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valter_carignano
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Re: Macchie - Special MONSTER edition (3541)

Messaggio#6 » martedì 5 luglio 2016, 23:29

Ma secondo me essere cattivi è sbagliato... non si strapazzano le anime :-)

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AmbraStancampiano
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Re: Macchie - Special MONSTER edition (3541)

Messaggio#7 » martedì 5 luglio 2016, 23:54

Non tutte... ma coi miei racconti hai il permesso di strapazzare quanto vuoi ;)
Qui giace il mio cervello, che poteva fare tanto e ha deciso di fare lo stronzo.

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AmbraStancampiano
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Re: Macchie - Special MONSTER edition (3541)

Messaggio#8 » venerdì 15 luglio 2016, 15:45

Ciao!
Aggiungo una seconda versione che è lievitata di un bel po': siamo sugli 11.477 caratteri.
Tutti i suggerimenti sono ben accetti, le correzioni apprezzate, e se riuscite a suggerirmi tagli interessanti vi incoraggio a farlo! :)
Lo posto qui e lascio la versione iniziale invariata, per poterci lavorare meglio anch'io. :)

Macchie

Il giorno in cui Hermann entrò in collegio c’era una luce strana, lattiginosa, che più che illuminare bagnava il paesaggio boscoso della Svizzera su cui si snodava la ferrovia.
Gli alberi e i prati tutt’intorno sembravano delle fanciulle imbronciate, vestite a festa coi loro abiti più appariscenti ma costrette a rimanere a guardare la nebbia alla finestra.
Hermann e il padre osservavano le tinte rosse e aranciate del paesaggio in movimento, in contrasto col grigio immobile della caligine e delle rocce dei massicci circostanti, le cui ombre trasformavano il grande lago all’orizzonte in una pozza magica da cui si alzavano misteriose nuvole.
Il padre approfittava della ricchezza di dettagli del paesaggio per regalare a Hermann le ultime importantissime nozioni di pittura prima di affidarlo agli istitutori del collegio, mentre il ragazzo guardava distratto fuori dal finestrino: gli pareva d’intuire una macchia scura, nel folto del bosco, che seguiva il treno.

Il collegio era una costruzione grigia geometrica che si ergeva al perfetto centro di un parco ordinato, con una fontana nel cortile principale e un laghetto che s’intuiva a malapena dalle curve del sentiero che i signori Rorhschach stavano percorrendo in carrozza;
- Che posto incantevole! - cinguettò la matrigna di Hermann con aria frivola - Non sei contento di venire a stare qui?
Hermann le rispose con un sorriso tirato.
- Poco importa che sia un bel posto - bofonchiò il signor Rorschach - Hermann è qui per assecondare il suo talento, diventare un grande ritrattista e prendere il mio posto.
La carrozza si fermò proprio in quel momento.
Con suo padre era sempre così, come se la sua parola dovesse per forza essere l’ultima; anche i fatti lo sottolineavano. Hermann lo fissò per un istante, poi spostò la sua attenzione sulla donna che aveva sposato da poco, intenta a sventagliarsi più per vezzo che per una reale necessità di freschezza. Aveva un’acconciatura elaboratissima e piena di dettagli, che da sola era bastata a conquistare suo padre. L’attenzione al particolare di quella donna la rendeva estremamente complessa da dipingere, e questa sua sorta di sfuggevolezza rappresentava agli occhi di un pittore minuzioso come Ulrich Rorschach una rara forma di inafferrabile perfezione. Ne era rapito al punto di rinunciare al figlio, che aveva istruito alla pittura sin dalla più tenera età, per abbandonarlo in un collegio mentre andava a spassarsela in Europa.
Hermann era arrabbiato con suo padre e si alzò a sedere con un moto di stizza; scese i primi due gradini del predellino voltandogli le spalle, diretto verso una nuova vita.
Poi si fermò.
L’aria fu sconquassata da un tuono, e una fitta di umidità lo prese dall’interno; sentì il bisogno di voltarsi e salutare il genitore e, dopo aver chinato la testa per ricevere un’ultima benedizione, gli parve di scorgere nel fogliame alle spalle della carrozza la stessa macchia scura che aveva intravvisto in treno.

* * *

La cosa che più annoiava Hermann della vita di collegio era la partita di calcio dei suoi compagni il venerdì.
In realtà nessuno lo sceglieva mai per la sua squadra - figuriamoci, il figlio strampalato del pittore! - però era costretto ad assistere, e ogni venerdì pomeriggio perdeva preziose ore di pratica della pittura per restare a fissare dieci bambocciotti che si sfidavano a prendere una palla a calci.

Quel pomeriggio i ragazzi avevano fatto più tardi del solito e il crepuscolo si avvicinava; Hermann era distratto, stava scrutando una macchia di alberi su una collinetta poco distante perché gli sembrava di intuire un movimento, sempre lo stesso, tra le ombre del boschetto.
Improvvisamente gli venne da pensare a suo padre, senza un motivo ben preciso; semplicemente, si fece strada tra i suoi pensieri un'immagine di come reggeva il pennello, suo padre di fronte a una tela che si girava a fissarlo e gli accennava un saluto, scostandosi la pipa dalla bocca. Un groppo umido cominciò a pesargli nella gola. L’aria si fece silenziosa e grigia, gli uccelli smisero di cantare il loro saluto al sole morente. Hermann sollevò gli occhi verso il boschetto e rivide la macchia scura, che stavolta veniva proprio verso di lui.
Un maestoso cane nero, un po' troppo grande in prospettiva rispetto al groviglio d'alberi da cui era uscito, si avvicinò a balzi silenziosi. Gli arrivò di fianco in un tempo un po’ troppo breve eppure lunghissimo, quasi eterno. Hermann non aveva paura, si sentiva solo incredibilmente triste. Il cane gli si accomodò davanti, la coda e le orecchie basse, gli occhi fiammeggianti ma colmi di lacrime. Hermann allungò una mano e il cane avvicinò il muso, gli si strusciò contro come se volesse consolarlo; aveva un pelo lanoso, ispido e freddo, che sembrava cambiare forma a seconda del verso in cui lo si carezzava. Il cane si staccò da Hermann, lo guardò con aria seria e si sedette di fronte a lui, orientò il muso verso il sole ormai quasi completamente scomparso dietro le cime degli abeti e si mise a ululare. Hermann, come ipnotizzato, si mise a sedere e accennò un "Uuuuuuuuh...".
Una botta violenta dietro la testa gli fece perdere l'equilibrio, l’alto e il basso si confusero, gli uccelli ricominciarono a cantare e l’aria divenne incredibilmente calda. La testa gli pulsava; i suoi compagni gli avevano tirato il pallone:
- Ehi Klex! Vedi che per chiamare la fine della partita si fischia, mica si ulula!
Gli furono addosso in quattro, nessuno si accorse del cane.

* * *

I suoi compagni lo chiamavano Klex, cioè macchia, a causa degli aloni che campeggiavano sulla sua divisa e sulle poche camicie gualcite che la matrigna aveva ripiegato con malagrazia nel baule che conteneva tutte le sue cose.
La madre di Hermann era morta quando lui aveva dodici anni, macchiandosi dell’imperdonabile peccato di non aver insegnato al figlio maggiore l’arte del bucato; il padre era uno che più che pulire sporcava, e la matrigna era solita regalare alla servitù i vestiti già utilizzati più di tre volte. In società era nota per avere le domestiche più eleganti e viziate di Zurigo. Il ragazzo non disponeva del denaro necessario a pagare una lavandaia e così era costretto e tentare di smacchiare i suoi panni nel laghetto il sabato mattina, tra i lazzi dei compagni. I risultati lasciavano parecchio a desiderare.

Quella notte non riusciva a dormire; l’onta di quel soprannome gli bruciava addosso, ed era colmo del disappunto di aver già perso quel nuovo, inquietante amico che sembrava seguirlo da un po’.
Le luci erano già state spente da qualche ora e mentre il suo compagno di stanza ronfava Hermann stava chino sul suo lume a petrolio; cercava di restituire l’immagine del cane su un foglio lavorando a china, al ritmo lento e frustrante dei grugniti di Hans Koppelfeld, grasso rampollo di un’antica famiglia che poteva permettersi ormai solo di ricordare la sua passata grandezza.
Hermann era euforico, colto da una strana febbre, e gettava spesso occhiate nervose verso Hans o verso la finestra, nella speranza di vedere ancora una volta la macchia scura del cane all’orizzonte. Ricordava benissimo le sembianze dello strano animale, ma qualcosa tra la sua memoria e il suo braccio s’inceppava, lo portava in altre direzioni, e le immagini da lui ritratte non erano mai uguali all’originale. Al dodicesimo tentativo malriuscito ebbe un moto di stizza e colpì accidentalmente il calamaio con un braccio, rovesciandolo sul foglio. Hermann soffocò un’imprecazione, tentò di riparare al danno con una spugna assorbente, poi piegò il foglio a metà per evitare di macchiare la scrivania, lasciò sgocciolare l’inchiostro in eccesso e separò i due lembi: del suo studio sul cane nero restava solo un’informe macchia simmetrica. Pensò con ironia che forse, tra tutte le sue prove, quella era la più somigliante. Scoraggiato, spense il lume e si mise a letto. Fu una notte inquieta, passata a rigirarsi tra le lenzuola senza mai trovare la comodità necessaria a sprofondare nel sonno.

La prima cosa che vide al mattino fu l’ombra di Hans china sul pasticcio della notte prima; sembrava fissare con grande interesse la macchia d’inchiostro, e appena Hermann gli fu davanti gli chiese, senza mai alzare gli occhi dal foglio:
- Klex… come hai fatto a dipingere il profilo di mia madre?
- Ma quella non è tua madre! Io non l’ho mai vista.
- Lo so, infatti è molto strano. Però è uguale! Perché, a te cosa sembra?
- Dovrebbe essere un grosso cane nero.
- Un cane? E dove lo vedi?
- Guarda: qui c’è il muso, qui una delle zampe… e questa è la coda.
- Dici? Questo più che un muso però sembra proprio il cappello che porta sempre mutter… e questa potrebbe essere anche una coda, ma a me sembra lo sbuffo di fumo della sua pipa.

I due ragazzi rimasero immobili per un attimo a fissare il foglio in silenzio contemplando le proprie suggestioni, poi Hans sollevò la testa; i suoi occhi brillavano della luce di un’idea:
Facciamolo vedere a Hellmut! Lui è venuto a trovarmi a Koppelsburg per le vacanze di Natale e ha conosciuto mutter.
Si affrettarono insieme verso il refettorio, e ad Hans non sembrava importare di esser visto troppo vicino a Klex. Hermann osservava stupito il suo compagno di banco, che fino a quel momento era stato solo una macchia grugnente tra le tante figure grigie del collegio, rivelarsi come una persona col suo carattere.
Presero posto a uno dei lunghi tavoli del refettorio affollato, Hans si guardava intorno alla ricerca di Hellmut, Hermann sembrava vedere i suoi compagni per la prima volta.
- Hellmut! Hellmut! - Hans indicò all’amico una sedia vuota lì accanto - vieni! Devo farti vedere una cosa che ha disegnato Klex.
Hellmut si avvicinò, con sguardo incuriosito.
- Avanti, Klex! - fece Hans, con un gesto d’impazienza.
Hermann srotolò timidamente il foglio davanti al compagno, che il giorno prima gli aveva quasi rotto gli occhiali con un pugno durante la mischia del calcetto.
- Allora? - Hellmut fissò il disegno e poi Hans, senza capire.
- Non sembra il profilo di mia madre con quel ridicolo cappello?
Hellmut tornò a fissare il disegno, dubbioso:
- Ti dirò, a me sembra un’automobile.
I genitori di Hellmut avevano investito nel motore a scoppio qualche tempo prima, guadagnando un’enorme fortuna.
Qualcuno strappò il foglio dalle mani di Hermann:
- Ma che automobile, questo è un uomo con la pistola!
- Ma no! È una caricatura di frau Vogel, con in mano i nostri compiti.
- È un ebreo col naso storto e la faccia cattiva!
- A me sembra una pecora.
La macchia di Hermann passava di mano in mano per le tavolate, ognuno voleva dire la sua e tutti ci vedevano qualcosa di diverso, di intimamente vicino a loro stessi, ed Hermann riusciva a sentirli tutti più vicini a sè. Per la prima volta si ritrovava circondato da persone e non da mostri, cominciava a conoscere e riconoscere i suoi compagni.

Qualche giorno dopo, una lettera gli diede il triste annuncio della morte del padre e della consorte in un incidente di carrozza. Era un giorno di nebbia simile a quello in cui era arrivato lì, l’ultima volta che l’aveva visto. Gli parve d’udire, oltre il boschetto, un ululato triste, doloroso. Sentì di nuovo l’aria diventare silenziosa e immobile, ma stavolta era come protetto da un abbraccio umido che si sentiva tutt’intorno alle spalle. Nessun cane nero venne a consolarlo, nessuna macchia scura si fece viva all’orizzonte. Hermann tornò nella sua stanza e gettò pennelli e carboncini nel cestino della carta straccia. Adesso gli piaceva, il soprannome Klex. Rovesciò il calamaio su un foglio, poi si mise a giocare con l’inchiostro.
Qui giace il mio cervello, che poteva fare tanto e ha deciso di fare lo stronzo.

valter_carignano
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Re: Macchie - Special MONSTER edition (3541)

Messaggio#9 » domenica 17 luglio 2016, 17:13

Ciao
Io direi che il racconto è compiuto, adesso. Lo stile quasi ottocentesco che hai utilizzato mi sembra ottimo per evocare le atmosfere e il tempo in cui si svolge la vicenda.
Una cosa sola: il 'mostro' è giustamente più presente, un leit motiv simbolico pregnante e adatto ma.... se uno non sa cos'è, credo che non lo colga. Noi lo sappiamo, ma un lettore normale cosa ne potrebbe dire, di questo cagnone un po' magico?
secondo me dovresti aggiungere due parile di spiegazione, quando lui cerca di disegnarlo, dette magari da lui stesso. Per esempio: 'non riusciva a rendere come avrebbe voluto quella creatura. Forse era davvero un araldo della morte, come aveva letto su quel libro in biblioteca, e non poteva essere ritratto. ' ma tu lo scriverai molto meglio, se ti sembrerà il caso.
Ciao

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AmbraStancampiano
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Re: Macchie - Special MONSTER edition (3541)

Messaggio#10 » lunedì 18 luglio 2016, 13:31

Ciao Valter, e grazie :)
Hai proprio beccato la perplessità che mi sono posta a un certo punto: estrapolato dal contesto della Monster edition, questo racconto avrebbe ragione di esistere?
Proprio per questo ho allungato la parte che riguardava i genitori e altre cose, ma non sono riuscita a prescindere dal cane. E quindi mi chiedo e ti chiedo: estrapolato dalla monster edition, senza perciò avere riferimenti precisi riguardo al barghest, questo cane diventa fastidioso e incomprensibile? O da lettore totalmente ignaro puoi accoglierlo per quello che è (un cagnolone triste che lo segue)senza doverlo etichettare come il mostro tal dei tali che fa questo o quello?
Mi rendo conto che è una domanda difficile, io tenterò di farlo leggere a qualcuno che non abbia idea della Monster edition, del circuito minuti contati e dei barghest, intanto sono aperta a tutti i consigli (e cerco un modo meno infodumposo per introdurre eventualmente l'elemento magico)
Qui giace il mio cervello, che poteva fare tanto e ha deciso di fare lo stronzo.

valter_carignano
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Re: Macchie - Special MONSTER edition (3541)

Messaggio#11 » lunedì 18 luglio 2016, 14:25

Per me deve rimanere.
Allargando molto il discorso, per alcune scuole di pensiero, la psicanalisi è una mitologia, non una scienza sperimentale, e per altri un cumulo di assurdità senza fondamento. Per altri ancora invece è un chiave per comprendere l'uomo, concepita da un genio.
Le tue macchie nascono nel tentativo di riprodurre il barghest, cioè di riprodurre una realtà emozionalmente più viva del reale - per il protagonista - ma per altri il barghest non esiste, è pura fantasia.
E allora questo incontro con l'alterità, l'inconoscibile, il noumeno è quello che dà origine alle 'macchie'. Oppure è solo un tentativo di ritrarre la propria follia e basare su di essa una pseudoscienza...
Ognuno la veda come vuole, ma il barghest mi sembra fondamentale.

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erika.adale
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Re: Macchie - Special MONSTER edition (3541)

Messaggio#12 » martedì 19 luglio 2016, 9:58

Ho letto la seconda versione e l'ho apprezzata molto più della prima. In parte perché più chiara e organica, in parte perché molto meno raccontata e più mostrata. E concordo con chi dice che le descrizioni hanno acquisito un tono ottocentesco adeguato al contenuto. Il cappello introduttivo è perfetto.
Rimane aperta la "questione cane". La prima versione, francamente, mi sembrava adatta solo alla Monster Edition di MC. Senza avere l'imbeccata a priori del Barghest (creatura per altro a me ignota fino a quel momento) mi sarei persa completamente il rapporto con la morte del padre e mi sarei chiesta perché le forme che colpivano il protagonista erano su una pelliccia e non, per dire, nelle mutevoli nuvole del cielo.
Ora, in questa versione 2, il Barghest è una specie di "cane del destino", sembra un'archetipo mitico un po' junghiano, se vogliamo restare nel campo. Continuo a non percepirlo spontaneamente come "messaggero di morte", diventa più un "messaggero di svolte". E può rimanere anche così, non è affatto male e abbastanza atipico, tutto sommato.
Se invece tieni al suo significato medioevale, devi aggiungere qualche nota al riguardo. Magari tramite una scena, in cui il protagonista si imbatte nella nozione della creatura (lettura, chiacchiere...). Sarebbe un innesto da fare con cautela, perché il rischio di appesantire e infodumpare è elevato.

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Jacopo Berti
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Re: Macchie - Special MONSTER edition (3541)

Messaggio#13 » martedì 19 luglio 2016, 11:48

Ciao Ambra, letta la prima versione l'ho ritenuta "carina": bella l'idea ma lo svolgimento un po' pedante, specie alla fine.

La seconda mi piace molto di più, ha molti elementi interessanti, è davvero un racconto completo o quasi.
Molti commenti sono stati già fatti, e mi trovi d'accordo con le osservazioni di Valter sul cane: avrai cercato anche tu, tanto più che l'ho fatto io, qualche immagine del Barghest, e direi che la possibilità di associarlo al test di Rorschach è concreta e hai avuto un'ottima idea a sfruttarla. Deve assolutamente rimanere, però secondo me devi (anche qui, oserei dire, assolutamente) renderlo comprensibile a chi legge. Altrimenti l'unico riferimento noto è quello al Gramo di Harry Potter, e direi che da un racconto come questo ci si dovrebbe aspettare di più.

Le nuove parti dialogiche sono fondamentali e danno al racconto quel movimento che mancava. Sono semplici ma veramente belle e azzeccate.

Hai fatto bene, secondo me, a nominare sin da subito il nome di Rorschach, diversamente dalla vecchia versione. Chi abbia un po' di cultura generale probabilmente sa già di chi si sta parlando o ne ha qualche vago ricordo. Il tuo racconto inserisce elementi fantastici e perturbanti dando una dimensione magica-mitica a una figura conosciuta, figura associata già per la sua attività a dimensioni profonde, archetipiche eccetera. Credo che con questa consapevolezza, tu debba limare alla virgola questo racconto, calibrando elementi concreti e fantastici, muovendoti sempre sull'esitazione del lettore ad inquadrare l'elemento fantastico come effettivamente presente o come punto di vista del protagonista. Lavoraci, davvero, perché è già bello e potrebbe venirne un gioiello.

Alcune altre osservazioni:

"Il cane gli si accomodò", secondo me non va bene, sia perché non associo 'accomodarsi' a un cane, sia in quanto richiama per assonanza un verbo molto più "da cane": 'accoccolò', che non andrebbe bene neppure per il carattere del cane, forse. Insomma, potrebbe essere o sembrare un errore.

Io non sono contrario al "raccontare", ma ci sono modi di farlo belli e modi di farlo brutti: questo paragrafo mi pare più vicino ai brutti:
"I suoi compagni lo chiamavano Klex, cioè macchia, a causa degli aloni che campeggiavano sulla sua divisa e sulle poche camicie gualcite che la matrigna aveva ripiegato con malagrazia nel baule che conteneva tutte le sue cose.
La madre di Hermann era morta quando lui aveva dodici anni, macchiandosi dell’imperdonabile peccato di non aver insegnato al figlio maggiore l’arte del bucato; il padre era uno che più che pulire sporcava, e la matrigna era solita regalare alla servitù i vestiti già utilizzati più di tre volte. In società era nota per avere le domestiche più eleganti e viziate di Zurigo. Il ragazzo non disponeva del denaro necessario a pagare una lavandaia e così era costretto e tentare di smacchiare i suoi panni nel laghetto il sabato mattina, tra i lazzi dei compagni. I risultati lasciavano parecchio a desiderare."
Secondo me il paragrafo sopra è da riscrivere.

Se non chiedo la grazia è perché, come dicevo, credo che possa davvero venirne un testo eccellente, da buono che è.
«Se avessimo anche una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l'arte di inventare» (Novalis, Frammenti)

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francescocascione
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Re: Macchie - Special MONSTER edition (3541)

Messaggio#14 » lunedì 25 luglio 2016, 23:51

Ciao

la seconda versione la trovo molto più completa. Contestualizzi meglio e il racconto appare meglio collocato.
Nella riscrittura hai fatto un eccellente lavoro, ti sei messo al servizio della storia e ne hai completato le parti lasciate un po' troppo sole nella prima

CHIEDO LA GRAZIA

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maria rosaria
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Re: Macchie - Special MONSTER edition (3541)

Messaggio#15 » giovedì 28 luglio 2016, 19:03

Ciao Ambra.
Avevo avuto modo di leggere la prima versione di questo racconto e devo dire che hai fatto un lavoro eccezionale.
Ora è tutto molto chiaro, il comportamento del giovane, il significato delle macchie e la conclusione è molto efficace.
Riguardo al cane, secondo me ci può stare benissimo così com'è.
Il racconto ha una sua valenza anche al di fuori del contest: io, per esempio, che non sapevo cosa fosse un barghest, l'ho interpretato come l'intuizione di qualcosa che dovrà accadere, un elemento premonitore che, infatti, dopo la morte del padre, non si presenta più.
Non so se sono stata abbastanza chiara.
Maria Rosaria

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AmbraStancampiano
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Re: Macchie - Special MONSTER edition (3541)

Messaggio#16 » giovedì 28 luglio 2016, 22:30

Vorrei ringraziare tutti per i preziosissimi consigli e gli appunti di cui farò tesoro :)
Credo di essere incappata proprio in un "grande mostro", e voglio dedicarmici ancora e ancora e ancora finché non sarà davvero perfetto ^_^
Non ho abbastanza richieste di grazia ma comunque rinuncio a sfidare Spartaco, per questa volta, per poterci lavorare a oltranza.
Avrete presto notizie mie e di Hermann ;)
Qui giace il mio cervello, che poteva fare tanto e ha deciso di fare lo stronzo.

alexandra.fischer
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Re: Macchie - Special MONSTER edition (3541)

Messaggio#17 » sabato 30 luglio 2016, 20:00

Questa nuova versione del racconto è più gotica (la nebbia, il paragone alberi-fanciulle vestite a festa, il viaggio in carrozza). I personaggi sono ottocenteschi (il padre pittore, la matrigna frivola dal cappello elaborato e dal ventaglio). Mi piace come hai reso il presagio di morte nella mente di Klex quando vede il cane nero (qui descritto in modo commovente). Anche il commiato del padre, che saluta il figlio dipingendo è molto efficace. La svolta del destino del ragazzo è resa molto bene, passa dalla pittura alle macchie di inchiostro, che lo uniscono ai compagni (ciascuno di loro le vede a modo suo, chi la madre, chi l'insegnante, chi un ebreo cattivo).

Attenzione a intravvisto (l'ho visto scritto spesso: intravisto. Ma è un mio parere).
A mutter. Visto che il ragazzo parla della madre direi più: Mutti (scritto maiuscolo. Anche Mutter si scrive maiuscolo).

Capisco il tuo proposito di migliorarlo ancora e non chiedo la grazia, anche se la meriterebbe, per l'atmosfera che crea. La versione originale è comunque ottima, io ti consiglierei di legarle insieme e tentare un romanzo incentrato sul tema della figura soprannaturale che preannuncia la morte (il cane nero), ma che tenga conto anche della figura di Rorschach (può piacere, secondo me).

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AmbraStancampiano
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Re: Macchie - Special MONSTER edition (3541)

Messaggio#18 » domenica 31 luglio 2016, 21:21

Grazie Alexandra, i tuoi commenti sono sempre molto analitici e graditissimi :)
E grazie anche per l'appunto sul tedesco, di cui so davvero ben poco :)
Intravvisto è una forma un po' più arcaica rispetto a "intravisto", però mi piace di più perché mi sembra che suoni meglio.
L'idea del romanzo è davvero bella, per ora ci vedo un racconto lungo da migliorare ancora, ma chissà... ^_^
Qui giace il mio cervello, che poteva fare tanto e ha deciso di fare lo stronzo.

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