Jessica Mon Amour e il Fantino [La storia di Pronto Soccorso e Beauty Case] di Francesco Nucera
Inviato: giovedì 18 agosto 2016, 22:29
Il ragazzo con la baguette
Jessica Mon Amour e il Fantino
Onestà, il nostro paese, sorge in una valle ai piedi del Monte Sanità che, nei pomeriggi assolati, allunga la sua ombra sulla piazza centrale come a volerci proteggere dal mondo esterno. I suoi abitanti sono conosciuti per i commerci tutt'altro che disonesti; pensate che da noi un chilo di pane costa ancora duemiladuecento lire. Perché a Onestà non abbiamo accettato la speculazione dell'Euro.
Come in tutte le famiglie che si rispettino, anche a Onestà ci sono le mele marce. A dire il vero ce n'è una sola che tutti chiamano “Il Fantino”.
Il Fantino comparve a Onestà nella seconda parte degli anni ottanta. Arrivò con pochi soldi in tasca, ma con grandi idee nel portfolio. Pochi capelli ben ingellati in testa, occhi piccoli e neri, tacchi alti e solette per rialzarlo da terra quel tanto che gli permettesse di raggiungere il lavello di casa; ma tanta, tanta voglia di imporsi.
Ci mise poco a capire che con il suo carattere lì poteva fare grandi cose.
I Carabinieri di Onestà erano ancora più ingenui dei cittadini. Fu il maresciallo a consigliare al Fantino di acquistare la macelleria di Segale, l'allora proprietario. Il commerciante si era indebitato e quel giorno stava discutendo pacificamente il fallimento.
«Fermi tutti, compro io la macelleria» aveva urlato il Fantino, irrompendo in tribunale.
L'uomo con la toga nera l'aveva guardato di traverso: «Con quali garanzie?» aveva domandato.
«Con queste!» Il Fatino si era avvicinato al bancone del giudice trascinandosi dietro uno sgabello, ci si era messo in piedi e aveva sventolato un libretto del “Monte dei Fiaschi”.
Dieci minuti dopo, con un assegno scoperto di un milione di lire, era diventato il proprietario di una delle più rinomate macellerie del nord.
Purtroppo per lui la fama che gli crebbe attorno non fu delle migliori. A nulla valse la beneficenza che fece a dei poveri orfanelli da cui, pur di non farli sentire in difetto per il bene che gli stava facendo, comprò un podere ai margini di Onestà.
Con cinquecentomila lire divenne il proprietario di Villa San Marittimo. La casa divenne il suo quartier generale dove ospitare amici arrivati dal sud e ragazze bisognose; mentre sul terreno agricolo fece costruire Onestà 2: “Dove i sogni dei pezzenti possono diventare la realtà dei ricchi”.
Il Fantino non amava passare il suo tempo nella macelleria, così l'affidò a Efesto: un antennista dotato di pochissimi capelli, ma capace di acquistare quarti di manzo al prezzo di un pollo. Spesso la chianina in vendita si rivelava un tacchino bulgaro gonfio di ormoni, ma poco contava, l'importante era metterci su una bella targhetta DOC.
Grazie a Efesto la macelleria vinse nove volte il “Taglio d'oro”, due volte “La fesa delle Fiere” e per ben cinque il più importante trofeo d'Euronia: “La coppa dei Vitelli”.
Libero dagli oneri della macelleria, Il Fantino si dedicò a migliorare Onestà. Con il voto di diecimila nuovi immigrati, apparsi il giorno delle elezioni, divenne sindaco.
Il suo primo provvedimento fu quello di allontanare il giudice, che ancora lo rincorreva per poter incassare il milione della macelleria. Lo fece trasferire a Corteone, dove pare abbia trovato un impiego fisso nell'autostrada.
Con la scomparsa del giudice e il simultaneo acquisto dell'unica edicola di Onestà, le voci sul Fantino si azzerarono e tutto sembrò andare per il verso giusto. Ma un giorno d'estate, mentre l'ombra del Monte Sanità stava per oscurare l'ingresso del tribunale in cui lui soggiornava di giorno, nella piazza centrale riecheggiò il rumore di un paio di tacchi del venti. Dalle finestre si affacciarono i cittadini più vecchi, quelli che ancora avevano nelle orecchie il riverbero del passo dell'oca. Alcuni di loro svennero, sei ebbero un infarto e solo due, le cui diottrie si erano ridotte a un modesto 0,3 per occhio e la cui cataratta ricordava l'acqua del Rio Lercio, superarono indenni la comparsa di Jessica “Mon Amour”.
Era impossibile vedere in faccia Mon Amour. I più si fermavano a fissarle lo stacco delle gambe che raggiungevano il metro e mezzo d'altezza. Gli impavidi vedevano i seni: una sesta abbondante corredata da una scollatura che partiva dall'ombelico. E gli arditi giungevano fino alle labbra carnose, la cui capacità fu paragonata a quella del campanile della chiesa. Solo le donne di Onestà riuscivano a vederla in faccia e fu grazie a loro che si scoprì che Mon Amour doveva avere origine nord africane.
Quando la ragazza raggiunse la fontana al centro della piazza, il cielo di Onestà lampeggiava del blu delle ambulanza che stavano arrivando da tutta la regione. Il Fantino saltò giù dalla sua sedia, sollevò la mano, indicò la ragazza con l'indice e strizzò l'occhio. «Sei mia» sussurrò, facendo roteare lo stuzzicadenti che aveva in bocca.
«Cinquecento euro» rispose lei, sorridendo.
Il fatino, con un movimento secco del polso, estrasse il libretto del “Monte dei fiaschi”.
«Solo contanti…in anticipo» specificò lei.
Alle 16:30 del 22 agosto 2014, a soli settantanove anni, il Fantino fu portato al San Raffaello e fu operato d'urgenza. Il suo cuore non aveva retto a quella richiesta di liquidità.
Nell'ottobre dello stesso anno, busta piena di soldi in mano, pillole salvavita in tasca e sguardo truce, il Fantino affrontò Mon Amour nello studio di lei: un tavolino esterno del bar “In Piazza”.
«Bentornato» disse la ragazza, passandosi la lingua sul labbro superiore.
Il faro di un lampione esplose e le campane della chiesa iniziarono a suonare a lutto coprendo le urla delle future vedove.
«Stanotte sei mia!» rispose lui, poggiandole la busta davanti.
Lei sorrise, fece scorrere le unghie sulle banconote e ammiccò. «Facciamo due ore!» ribatté.
Quella notte da Villa San Marittimo provennero urla tali che i bambini di Onestà iniziarono a raccontare storie horror in cui lupi cattivi sculacciavano pastorelle impaurite.
Il Fantino e Mon Amour si amarono in ognuna delle centoventi stanze della villa. Quando lei crollava sfinita lui, sali minerali in una mano e contanti nell'altra, ricominciava a leccarla dalle caviglie.
L'alba sorse e il Fantino, per la prima volta, riuscì a guardarla negli occhi. Sentì la bocca seccarsi, la gola stringersi e il cuore fermarsi. Pensò fosse amore, ma la scossa del defibrillatore installato nel torace gli fece capire che era un altro infarto. Svenne tra le braccia di Mon Amour.
Il Fantino riprese conoscenza e la vide ancora accanto a se. Attorno a lui volteggiavano angeli con i vestiti arancioni e la paramedica sul petto.
«Sposami!» sussurrò a Mon Amour.
«Quando ti dimetteranno!» rispose lei.
«Se ce la farà» si intromise uno degli angeli con una flebo in mano.
Il giorno in cui appesero le pubblicazioni in paese, il becchino di Onestà imprecò e il prete licenziò i quaranta romeni che stavano ristrutturando la facciata della chiesa.
Ma l'idillio durò poco e, quando il Fantino andò da Efesto per chiedergli di fargli da testimone, nella macelleria trovò un carabiniere in divisa.
«Abbiamo un mandato di comparizione per la signorina che si spaccia per Jessica Mon Amour» gli disse questi.
«Per quale motivo?» chiese il Fantino.
«Pare che la ragazza si chiami Mia Khali e abbia sedici anni.»
Il Fantino portò la mano al mento e se lo grattò. «Impossibile, ho conosciuto suo zio Baracca Osama, il presidente degli Stati Unti d'Asténia, e garantisce per lei.»
Il carabiniere si bloccò con il foglio a mezz'aria. «Ne è certo?» chiese.
«Quanto lo sono che questi assegni sono coperti» confermò, sventolando il blocchetto del “Monte dei Fiaschi”.
Sebbene con quel raggiro fosse riuscito a guadagnare tempo, sapeva che prima o poi la verità sarebbe venuta fuori. Corse a Villa San Marittimo e trovò Mon Amour in giardino.
«Dobbiamo fuggire all'estero, sanno chi sei!» le urlò.
La ragazza non si scompose; estrasse dal reggiseno un quaderno formato A4 e lo sfogliò. «Per la trasferta all'estero sono quindicimila euro, ma vista la promessa di matrimonio facciamo dodicimila.»
Una scossa partì dal defibrillatore, il Fantino barcollò, ma strinse i denti. «Non hai capito, ci dobbiamo trasferire. Ci sposeremo alle Caymano.»
«Allora è diverso: fanno centomila subito e duecento al momento della richiesta di residenza.»
Partirono altre tre scosse, ma l'amore era più forte del dolore e il suo cuore resse.
Corse alla cassaforte, buttò il contenuto in una borsa e gliela diede ignorando l'elettricità che ormai lo attraversava ogni venti secondi.
«Devo vendere la macelleria prima di partire, i soldi ci serviranno» le disse, uscendo.
Efesto non la prese bene, erano trent'anni che vendeva carne e non sapeva cosa avrebbe potuto fare dopo la vendita. Ma il Fantino, che era sempre stato un uomo di cuore, gli assicurò che avrebbe trovato un acquirente disposto a garantirgli il posto. Corse da un thailadrone che gli faceva il filo da più di un anno, ma questi gli chiese sei mesi per firmare il preliminare.
Era troppo tempo, uscì senza congedarsi e si fiondò nel bar di Xi Yung. Il cifesso possedeva sei bar, ma si vociferava avesse nel traffico di schiavi il suo vero introito.
Nonostante i sani principi, il Fantino chiuse l'affare in tre minuti. Uscì dal bar con seicento milioni di euro in contanti e una lattina di Red Cow che gli sarebbe servita per reggere l'urto di Mon Amour.
Da quel giorno nessuno vide più i due innamorati. Qualcuno dice che ora vivono felici in un'isola del Sud Asténia, mentre i più maligni sostengono che lei se ne sia andata con i soldi e che lui ne sia morto.
Eppure, nei pomeriggi assolati, quando l'ombra del Monte Sanità tocca i gradini del tribunale, in città si sente il rumore di due paia di tacchi e a noi piace pensare che il Fantino e Mon Amour siano ancora tra noi.
A Onestà non c'è più una macelleria; al suo posto c'è un minimarket in cui riparano elettrodomestici e dove il pane costa ancora duemiladuecento lire al chilo.
Per la conversione in euro non preoccupatevi, qui la gente è tutt'altro che disonesta.
Jessica Mon Amour e il Fantino
Non è che tu, invece di fare il commerciante di calciatori, fai il commerciante di culi? No, per sapere.
(Lino Banfi)
Onestà, il nostro paese, sorge in una valle ai piedi del Monte Sanità che, nei pomeriggi assolati, allunga la sua ombra sulla piazza centrale come a volerci proteggere dal mondo esterno. I suoi abitanti sono conosciuti per i commerci tutt'altro che disonesti; pensate che da noi un chilo di pane costa ancora duemiladuecento lire. Perché a Onestà non abbiamo accettato la speculazione dell'Euro.
Come in tutte le famiglie che si rispettino, anche a Onestà ci sono le mele marce. A dire il vero ce n'è una sola che tutti chiamano “Il Fantino”.
Il Fantino comparve a Onestà nella seconda parte degli anni ottanta. Arrivò con pochi soldi in tasca, ma con grandi idee nel portfolio. Pochi capelli ben ingellati in testa, occhi piccoli e neri, tacchi alti e solette per rialzarlo da terra quel tanto che gli permettesse di raggiungere il lavello di casa; ma tanta, tanta voglia di imporsi.
Ci mise poco a capire che con il suo carattere lì poteva fare grandi cose.
I Carabinieri di Onestà erano ancora più ingenui dei cittadini. Fu il maresciallo a consigliare al Fantino di acquistare la macelleria di Segale, l'allora proprietario. Il commerciante si era indebitato e quel giorno stava discutendo pacificamente il fallimento.
«Fermi tutti, compro io la macelleria» aveva urlato il Fantino, irrompendo in tribunale.
L'uomo con la toga nera l'aveva guardato di traverso: «Con quali garanzie?» aveva domandato.
«Con queste!» Il Fatino si era avvicinato al bancone del giudice trascinandosi dietro uno sgabello, ci si era messo in piedi e aveva sventolato un libretto del “Monte dei Fiaschi”.
Dieci minuti dopo, con un assegno scoperto di un milione di lire, era diventato il proprietario di una delle più rinomate macellerie del nord.
Purtroppo per lui la fama che gli crebbe attorno non fu delle migliori. A nulla valse la beneficenza che fece a dei poveri orfanelli da cui, pur di non farli sentire in difetto per il bene che gli stava facendo, comprò un podere ai margini di Onestà.
Con cinquecentomila lire divenne il proprietario di Villa San Marittimo. La casa divenne il suo quartier generale dove ospitare amici arrivati dal sud e ragazze bisognose; mentre sul terreno agricolo fece costruire Onestà 2: “Dove i sogni dei pezzenti possono diventare la realtà dei ricchi”.
Il Fantino non amava passare il suo tempo nella macelleria, così l'affidò a Efesto: un antennista dotato di pochissimi capelli, ma capace di acquistare quarti di manzo al prezzo di un pollo. Spesso la chianina in vendita si rivelava un tacchino bulgaro gonfio di ormoni, ma poco contava, l'importante era metterci su una bella targhetta DOC.
Grazie a Efesto la macelleria vinse nove volte il “Taglio d'oro”, due volte “La fesa delle Fiere” e per ben cinque il più importante trofeo d'Euronia: “La coppa dei Vitelli”.
Libero dagli oneri della macelleria, Il Fantino si dedicò a migliorare Onestà. Con il voto di diecimila nuovi immigrati, apparsi il giorno delle elezioni, divenne sindaco.
Il suo primo provvedimento fu quello di allontanare il giudice, che ancora lo rincorreva per poter incassare il milione della macelleria. Lo fece trasferire a Corteone, dove pare abbia trovato un impiego fisso nell'autostrada.
Con la scomparsa del giudice e il simultaneo acquisto dell'unica edicola di Onestà, le voci sul Fantino si azzerarono e tutto sembrò andare per il verso giusto. Ma un giorno d'estate, mentre l'ombra del Monte Sanità stava per oscurare l'ingresso del tribunale in cui lui soggiornava di giorno, nella piazza centrale riecheggiò il rumore di un paio di tacchi del venti. Dalle finestre si affacciarono i cittadini più vecchi, quelli che ancora avevano nelle orecchie il riverbero del passo dell'oca. Alcuni di loro svennero, sei ebbero un infarto e solo due, le cui diottrie si erano ridotte a un modesto 0,3 per occhio e la cui cataratta ricordava l'acqua del Rio Lercio, superarono indenni la comparsa di Jessica “Mon Amour”.
Era impossibile vedere in faccia Mon Amour. I più si fermavano a fissarle lo stacco delle gambe che raggiungevano il metro e mezzo d'altezza. Gli impavidi vedevano i seni: una sesta abbondante corredata da una scollatura che partiva dall'ombelico. E gli arditi giungevano fino alle labbra carnose, la cui capacità fu paragonata a quella del campanile della chiesa. Solo le donne di Onestà riuscivano a vederla in faccia e fu grazie a loro che si scoprì che Mon Amour doveva avere origine nord africane.
Quando la ragazza raggiunse la fontana al centro della piazza, il cielo di Onestà lampeggiava del blu delle ambulanza che stavano arrivando da tutta la regione. Il Fantino saltò giù dalla sua sedia, sollevò la mano, indicò la ragazza con l'indice e strizzò l'occhio. «Sei mia» sussurrò, facendo roteare lo stuzzicadenti che aveva in bocca.
«Cinquecento euro» rispose lei, sorridendo.
Il fatino, con un movimento secco del polso, estrasse il libretto del “Monte dei fiaschi”.
«Solo contanti…in anticipo» specificò lei.
Alle 16:30 del 22 agosto 2014, a soli settantanove anni, il Fantino fu portato al San Raffaello e fu operato d'urgenza. Il suo cuore non aveva retto a quella richiesta di liquidità.
Nell'ottobre dello stesso anno, busta piena di soldi in mano, pillole salvavita in tasca e sguardo truce, il Fantino affrontò Mon Amour nello studio di lei: un tavolino esterno del bar “In Piazza”.
«Bentornato» disse la ragazza, passandosi la lingua sul labbro superiore.
Il faro di un lampione esplose e le campane della chiesa iniziarono a suonare a lutto coprendo le urla delle future vedove.
«Stanotte sei mia!» rispose lui, poggiandole la busta davanti.
Lei sorrise, fece scorrere le unghie sulle banconote e ammiccò. «Facciamo due ore!» ribatté.
Quella notte da Villa San Marittimo provennero urla tali che i bambini di Onestà iniziarono a raccontare storie horror in cui lupi cattivi sculacciavano pastorelle impaurite.
Il Fantino e Mon Amour si amarono in ognuna delle centoventi stanze della villa. Quando lei crollava sfinita lui, sali minerali in una mano e contanti nell'altra, ricominciava a leccarla dalle caviglie.
L'alba sorse e il Fantino, per la prima volta, riuscì a guardarla negli occhi. Sentì la bocca seccarsi, la gola stringersi e il cuore fermarsi. Pensò fosse amore, ma la scossa del defibrillatore installato nel torace gli fece capire che era un altro infarto. Svenne tra le braccia di Mon Amour.
Il Fantino riprese conoscenza e la vide ancora accanto a se. Attorno a lui volteggiavano angeli con i vestiti arancioni e la paramedica sul petto.
«Sposami!» sussurrò a Mon Amour.
«Quando ti dimetteranno!» rispose lei.
«Se ce la farà» si intromise uno degli angeli con una flebo in mano.
Il giorno in cui appesero le pubblicazioni in paese, il becchino di Onestà imprecò e il prete licenziò i quaranta romeni che stavano ristrutturando la facciata della chiesa.
Ma l'idillio durò poco e, quando il Fantino andò da Efesto per chiedergli di fargli da testimone, nella macelleria trovò un carabiniere in divisa.
«Abbiamo un mandato di comparizione per la signorina che si spaccia per Jessica Mon Amour» gli disse questi.
«Per quale motivo?» chiese il Fantino.
«Pare che la ragazza si chiami Mia Khali e abbia sedici anni.»
Il Fantino portò la mano al mento e se lo grattò. «Impossibile, ho conosciuto suo zio Baracca Osama, il presidente degli Stati Unti d'Asténia, e garantisce per lei.»
Il carabiniere si bloccò con il foglio a mezz'aria. «Ne è certo?» chiese.
«Quanto lo sono che questi assegni sono coperti» confermò, sventolando il blocchetto del “Monte dei Fiaschi”.
Sebbene con quel raggiro fosse riuscito a guadagnare tempo, sapeva che prima o poi la verità sarebbe venuta fuori. Corse a Villa San Marittimo e trovò Mon Amour in giardino.
«Dobbiamo fuggire all'estero, sanno chi sei!» le urlò.
La ragazza non si scompose; estrasse dal reggiseno un quaderno formato A4 e lo sfogliò. «Per la trasferta all'estero sono quindicimila euro, ma vista la promessa di matrimonio facciamo dodicimila.»
Una scossa partì dal defibrillatore, il Fantino barcollò, ma strinse i denti. «Non hai capito, ci dobbiamo trasferire. Ci sposeremo alle Caymano.»
«Allora è diverso: fanno centomila subito e duecento al momento della richiesta di residenza.»
Partirono altre tre scosse, ma l'amore era più forte del dolore e il suo cuore resse.
Corse alla cassaforte, buttò il contenuto in una borsa e gliela diede ignorando l'elettricità che ormai lo attraversava ogni venti secondi.
«Devo vendere la macelleria prima di partire, i soldi ci serviranno» le disse, uscendo.
Efesto non la prese bene, erano trent'anni che vendeva carne e non sapeva cosa avrebbe potuto fare dopo la vendita. Ma il Fantino, che era sempre stato un uomo di cuore, gli assicurò che avrebbe trovato un acquirente disposto a garantirgli il posto. Corse da un thailadrone che gli faceva il filo da più di un anno, ma questi gli chiese sei mesi per firmare il preliminare.
Era troppo tempo, uscì senza congedarsi e si fiondò nel bar di Xi Yung. Il cifesso possedeva sei bar, ma si vociferava avesse nel traffico di schiavi il suo vero introito.
Nonostante i sani principi, il Fantino chiuse l'affare in tre minuti. Uscì dal bar con seicento milioni di euro in contanti e una lattina di Red Cow che gli sarebbe servita per reggere l'urto di Mon Amour.
Da quel giorno nessuno vide più i due innamorati. Qualcuno dice che ora vivono felici in un'isola del Sud Asténia, mentre i più maligni sostengono che lei se ne sia andata con i soldi e che lui ne sia morto.
Eppure, nei pomeriggi assolati, quando l'ombra del Monte Sanità tocca i gradini del tribunale, in città si sente il rumore di due paia di tacchi e a noi piace pensare che il Fantino e Mon Amour siano ancora tra noi.
A Onestà non c'è più una macelleria; al suo posto c'è un minimarket in cui riparano elettrodomestici e dove il pane costa ancora duemiladuecento lire al chilo.
Per la conversione in euro non preoccupatevi, qui la gente è tutt'altro che disonesta.