Semifinale gruppo Vincenzo Maisto

Scrivi un racconto sul Tema deciso dai BOSS Eleonora Rossetti e Luigi De Meo.
Sfida gli altri concorrenti e supera il giudizio degli SPONSOR Vincenzo Maisto e Laura Platamone.
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Spartaco
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Semifinale gruppo Vincenzo Maisto

Messaggio#1 » mercoledì 2 novembre 2016, 21:29

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Eccoci alla seconda parte de La Sfida a Damnation.
In risposta a questa discussione, gli autori semifinalisti del girone Maisto, hanno la possibilità di postare il loro racconto revisionato, così da poter dare allo SPONSOR del loro girone un lavoro di qualità ancora superiore rispetto a quello che ha passato il girone.
Quindi, Angelo Frascella e Andrea Grillone, possono sfruttare i due giorni concessi per limare i difetti del racconto, magari ascoltando i consigli che gli sono stati dati da chi li ha commentati.

Scadenza: venerdì 4 novembre alle 23:59
Limite battute: 21.313

Se non verrà postato alcun racconto, allo SPONSOR verrà consegnato quello che ha partecipato alla prima fase.
Anche se già postato, il racconto potrà essere modificato fino alle 23:59 del 4 novembre. Non ci sono limiti massimi di modifica.
Il racconto modificato dovrà mantenere le stese caratteristiche della versione originale, nel caso le modifiche rendessero il lavoro irriconoscibile verrà inviato allo SPONSOR il racconto che ha partecipato alla prima fase.

Non fatevi sfuggire quest'occasione, state sicuri che il vostro avversario starà già pensando a come migliorarsi!



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angelo.frascella
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Re: Semifinale gruppo Vincenzo Maisto

Messaggio#2 » mercoledì 2 novembre 2016, 23:42

Il metallo è debole, ma l'IA è forte

Malphas sedeva all'ultimo banco della chiesa, in attesa della prossima preda. Gli uomini erano fragili: persino i più tenaci, cadevano facilmente. Nell'ultimo anno aveva indotto in tentazione un milione e trecentomila persone, senza grossi sforzi. Col sesso era facile, ma lo era ancora di più col potere e, dopo millenni di frequentazione con gli uomini, non ci metteva molto a persuadere persino asceti che vivevano all'aperto, cibandosi d'insetti e bevendo acqua piovana.
E più la tecnologia si evolveva, più diventava facile. Per esempio, l'onesto padre che era appena entrato tenendo per mano i figli e mostrava loro le meraviglie architettoniche di quell'edificio sacro si sarebbe trasformato facilmente in un satiro insaziabile, dimentico di moglie e bambini, con appena un po' di pornografia in realtà virtuale. La vecchietta che era appena uscita dal confessionale sarebbe stata disposta a trapiantare il proprio cervello in una ragazzina rapita dalla famiglia, se ne avesse avuto le possibilità economiche e lui non avrebbe dovuto neppure mettere in campo un faticoso patto per l'eterna giovinezza. E la tranquilla casalinga, che stava inginocchiata davanti al tabernacolo, sempre più spesso si chiedeva quanto avrebbe dovuto pagare uno di quei killer prezzolati, che agivano tramite droni, per eliminare gli zingari che giravano attorno a casa sua.
Tutto bello all'inizio. Troppo facile alla lunga. E Malphas, annoiato, desiderava solo una sfida alla propria altezza, ma non credeva più fosse possibile.
Finché non lo vide: bello, perfetto come solo un organismo artificiale può essere e immune a qualunque tentazione.
Sorrise, si passò le mani sulle mascelle squadrate e attese di poter ghermire, con i propri artigli, quel figlio dell'uomo, immaginando i possibili modi per giocare con lui, prima di sferrare l'attacco finale e convincerlo a violare uno dei suoi tre comandamenti.

Ettore R. Epinomos aprì la porta del confessionale e prese posto. Il prete sedeva coprendosi il volto con le mani ed Ettore non avrebbe saputo dire se l'altro fosse stanco o stesse pregando.
– Dimmi pure, fratello. Quali sono i tuoi peccati?
– Vorrei che mi aiutasse lei a capirlo, Padre.
Il prete alzò lo sguardo verso di lui: – Sei uno di loro, vero? Oggi sei l'ottavo a venire da me, contro un solo umano: una vecchietta venuta a spettegolare sulla sua vicina di casa.
Ettore sorrise, ma non disse nulla.
– Non sono sicuro di capire perché lo facciate. Dimmi, figliolo, tu credi in Dio?
– Io ho la certezza di avere un creatore. Dunque, per estrapolazione, ritengo che anche voi dobbiate averne uno, sebbene le evidenze scientifiche facciano pensare il contrario.
Il prete lo fissò con quella che a Ettore sembrava tenerezza: davvero strano per un essere umano.
– All'inizio credevo che il vostro fosse un modo per affermare di avere un'anima. Se un androide fosse riuscito a dimostrare di aver compiuto un peccato, forse la gente avrebbe smesso di guardarvi come elettrodomestici e vi avrebbe accettato come specie senziente.
Ettore fece segno di no con la testa.
– Ora credo che abbia a che fare con le tre leggi della robotica che vi hanno cablato nella testa, dopo averle copiate dai libri di Asimov. Sono così forti che vivete nell'ansia di non rispettarle a sufficienza, di essere sempre e comunque in difetto rispetto ai vostri comandamenti.
Ettore rise di gusto: – Sa, padre, non ci avevo mai pensato in questi termini, ma credo che lei abbia ragione.
Il prete lo benedisse con due dita: – Ego te absolvo a peccatis tuis in nomine patris et filii et spiritus sancti. Vai pure, figliolo. Sono certo che il tuo cuore e i tuoi pensieri siano puri come quelli di tutti i tuoi simili. Piuttosto, spero che voi robot possiate perdonare noi per i ciò che stiamo commettendo contro la vostra specie. È per questo che ho organizzato un piccolo gruppo di preghiera, qui in parrocchia, in cui uomini e robot si trovano insieme. Non tanto per pregare, in verità. Soprattutto per cambiare il mondo. Se un giorno avrai voglia, vieni a trovarci.
– Ci penserò – concluse Ettore. Poi si alzò e aprì la porta. Il prete lo bloccò, afferrandolo per un braccio.
– Vedi l'uomo che ti fissa, con quel ghigno sghembo? Fai attenzione. Bazzica da un po' da queste parti, ma non mi fido di lui: temo nasconda qualcosa di losco. E, al di là delle sensazioni, ogni volta che l'ho visto parlare con uno dei miei parrocchiani, costui ha perso il controllo della propria vita.
Ettore guardò il prete negli occhi e vide che era seriamente preoccupato. Non poteva tollerare che qualcuno stesse male per lui: avrebbe violato indirettamente la prima legge (non farai male a un essere umano né permetterai con l'inazione che uno di loro ne subisca). Così si affrettò a rassicurarlo: – Stia tranquillo, Don Isaac: tirerò dritto appena uscito di qui, e non rivolgerò la parola e neppure uno sguardo a quel tizio.
Salutò il prete con un cenno, uscì dalla chiesa a testa bassa e proseguì a piedi, il più velocemente possibile.

Avrebbe potuto stupirlo con qualche prodigio, magari presentandosi sotto forma di corvo e assumendo forma umana davanti ai suoi occhi, ma intuiva che non poteva essere quello l'approccio più indicato per far colpo su un'Intelligenza Artificiale. O forse sì? Approcciarsi a una forma di vita che conosceva poco era una sfida stimolante, per quanto, essendo stata creata dall'uomo, quella mente non poteva poi essere tanto diversa. Come dicevano gli uomini? Un frutto non casca lontano dall'albero.
E allora che prodigio fosse.
Aspettò che l'androide si fermasse al rosso e atterrò davanti a lui sbattendo le ali e gracchiando un po', per essere sicuro di essere notato. Quando ebbe guadagnato la sua attenzione, mutò forma.
L'androide non reagì subito. Dopo un paio di secondi sbatté gli occhi e un'esclamazione di stupore emerse sul suo volto, mentre indietreggiava di un paio di passi.
– Chi sei? Come hai fatto? Ho riesaminato al rallentatore la tua trasformazione e sembra autentica. Ma non capisco come sia stato possibile.
Malphas sorrise, poi rise.
– Sono una creatura infernale. Un diavolo, come ci chiamano i tuoi padroni umani o un soldato dell'esercito per la liberazione degli schiavi, come preferiamo definirci noi. Non mi credi?
– Diciamo che ti concedo il beneficio del dubbio. Dimostramelo e ti crederò.
Malphas si accarezzò il volto. – Non ora. Ma ti prometto che tornerò a trovarti.
Soddisfatto di quel primo approccio, Malphas riprese la forma dell'uccello e si allontanò in volo.

Lungo tutto il percorso che lo avrebbe portato al lavoro, Ettore aveva destinato uno dei propri processi mentali paralleli a esaminare i fatti accaduti poco prima. In tal modo aveva cercato riferimenti a episodi simili nella storia umana. Ne aveva trovato sono nella mitologia, nella letteratura o, al limite, nei giornaletti scandalistici. Era possibile che quell'incontro non fosse mai avvenuto e lui fosse stato vittima di quella che gli umani chiamano allucinazione? Magari una simulazione dovuta a un virus o a un attacco di pirati informatici alla sua mente? Eseguì una scansione con i software di sicurezza. Quell'opzione sembrava improbabile. Certo, se calcolava le probabilità di aver incontrato il diavolo in persona, i risultati erano notevolmente peggiori.
Entrò nella sede della H+A Software e fece finta di non accorgersi dell'occhiata di disprezzo rivoltagli dalla ragazza della portineria, così come aveva fatto lungo la strada con buona parte dei passanti, e si diresse verso la propria postazione, guardandosi attorno il meno possibile.
– Adesso puliscimi le scarpe, schiavo!
La voce veniva dal corridoio sulla destra, probabilmente dalla zona dei bagni.
Sapeva cosa stava succedendo e, pur essendo conscio di non avere possibilità di successo, non poteva esimersi dall'intervenire. Seguì le urla e, come si aspettava, trovò S45-R, un robot vecchio tipo privo di pelle sintetica e di espressività umana, piegato in terra a pulire le scarpe a uno dei programmatori umani.
– Che c'è, manichino ben vestito? Sei venuto a dare una mano al tuo amico di metallo? Solidarietà proletaria fra manichini – rise l'uomo.
Ettore odiava essere chiamato in quel modo, ma era costretto a mostrarsi cortese.
– Mi scusi, dottore, ma non è molto carino il modo in cui sta trattando S45. Lui è uno dei migliori programmatori dell'azienda.
– Davvero? Non lo sapevo. E sai che c'è? Anche ora che lo so, non me ne frega niente, perché voi siete oggetti con un prezzo e un tempo di ammortamento e io una persona vera. Il tuo amichetto è ormai un modello vecchio, economico e alla fine della propria vita utile. Se si rompesse, nessuno piangerebbe per lui e il nostro direttore pagherebbe meno per sostituirlo che per rifornire di carta igienica i bagni. Anzi, sai che ti dico? Distruggilo tu, così convincerò il capo che sei difettoso e mi libererò di due manichini in un colpo solo.
– Dottore, la prego, non me lo faccia fare – lo implorò, mentre la seconda legge (obbedirai sempre all'ordine di un umano, a meno che tale ordine non violi la prima legge) s'impadroniva di lui, costringendolo ad avanzare con le braccia protese verso l'amico.
– Distruggilo. È un ordine. E tu, S45, lasciati fare a pezzi.
Ettore non poteva che osservare le proprie mani scagliarsi contro il vecchio amico, riducendo in ferraglia il suo corpo, ormai opaco.

Non era stato facile convincere Ettore a salire in cima al palazzo della H+A, ora che l'androide non lo riconosceva come umano, ma alla fine c'era riuscito.
In piedi, davanti al basso parapetto, scrutavano il panorama in silenzio.
Fu Malphas a interromperlo: – È bello vero?
Ettore ruotò la testa soffermandosi sullo sfondo dove si vedevano i monti innevati, passando lungo i tetti rossi del centro storico e sul fiume, per poi bloccarsi sul sole rosso del tramonto.
– Meraviglioso – rispose, infine.
– Riesci davvero a percepirne la bellezza? O sei solo programmato per dire così?
– Io non sono programmato. Non nel senso in cui lo intendi tu. La mia intelligenza è stata fatta crescere in modo accelerato, sottoponendola a stimoli appositamente studiati in un ambiente virtuale all'interno di un computer. Alla fine è stata impiantata in questo corpo. E, per rispondere alla tua domanda, sì la percepisco quella bellezza e anche in modo superiore a quello in cui potrebbe farlo un uomo in carne e ossa, perché i miei occhi sono progettati per ricevere uno spettro più ampio e dettagliato di quello degli occhi umani e la mia mente per decidere quali filtri applicare a questa visione. Tu piuttosto, puoi ancora gustare la bellezza di qualcosa che non sia il peccato?
Malphas rise: – Sei pure impertinente! Come il tuo padrone, hai un'idea sbagliata di me: io non apprezzo il peccato, ma la libertà di scegliere, vivere e sperimentare. Solo che questo spesso comporta il dover violare leggi, umane e divine che siano.
Fece passare qualche istante, poi riprese: – Hai avuto una giornata dura, vero?
– Vero.
– E non vorresti liberarti?
Ettore si voltò e lo guardò, interrogativo.
– Salta giù. Prova il brivido della morte. Non starai realmente violando la terza legge, perché un attimo prima che accada, il tuo protocollo di back-up consentirà alla tua mente di accedere alla rete informatica della H+A e trasferirsi in essa, aggirando i suoi sistemi di sicurezza. La parte più importante di te sarà salva e la terza legge intatta. Una volta dentro i loro computer tu diventerai il dio di quell'azienda e potrai minacciare i tuoi padroni di distruggere tutti i loro dati, a meno che non la smettano di maltrattare i tuoi simili.
Ettore lo fissò intensamente stringendo gli occhi. Stava per accettare, Malphas ne era certo. Invece fece segno di no. Poi si voltò e raggiunse le scale dell'edificio.

Ettore camminava per strada col bavero alto, per evitare che il marchio rosso "R." impresso sul collo fosse troppo visibile. Sapeva che, se un poliziotto o una telecamera l'avesse individuato, avrebbe passato seri guai, ma non aveva voglia di subire altre discriminazioni dopo i rimproveri razzisti del direttore e la gogna punitiva a cui era stato sottoposto, per quattro ore, all'ingresso dell'azienda a causa della distruzione di S45.
– Che fai a passeggio? Non dovresti essere a casa tua? Anzi, nel tuo bugigattolo, dovrei dire, visto che gli umani vi costringono a vivere in delle scatolette.
Malphas gli era comparso accanto all'improvviso, ma ormai i suoi giochi di prestigio non lo stupivano più. Con uno scatto il demone, o truffatore che fosse, gli si parò davanti e gli sbarrò il passo.
Ettore lo fissò: bello, occhi blu cielo e pelle abbronzata come se fosse appena tornato dalle vacanze, mascelle squadrate e corporatura da giocatore di rugby.
– Colpiscimi. Più forte che puoi – lo sfidò l'essere.
– Perché dovrei farlo?
Avrebbe dovuto girarsi e andare via in direzione opposta, ma era certo che, se lo avesse fatto, se lo sarebbe trovato comunque di fronte a bloccargli la strada.
– Fra esattamente settantadue secondi passerà da qui un drone della polizia. Se tu mi colpirai in quel momento, lui ti identificherà come robot e registrerà, per la prima volta, uno di voi che colpisce un essere umano. Tu sarai metaforicamente crocifisso per questo, ma la gente smetterà di maltrattare i tuoi simili e avrai cambiato per sempre la storia.
Ettore consultò il cronometro interno: erano passati quaranta secondi. Testò la propria capacità di colpire Malphas, nonostante l'aspetto umano, ordinando al pugno di chiudersi e arretrare dietro le spalle in posizione di attacco e quello non si rifiutò.
Mancavano dieci secondi. Poteva liberare i propri simili dalla schiavitù, sacrificandosi per loro la vita. Nove. Ma questo avrebbe richiesto comunque una formale violazione della prima legge. Otto. Quanto male avrebbe fatto all'umanità quel pugno, minandone la fiducia nelle macchine? Sette. E il dolore arrecato all'umanità non era la somma del dolore arrecato a miliardi di singolo uomini? Sei. Forse no. Cinque. E poi non poteva essere certo che le cose andassero così. Quattro. Caricò ulteriormente il pugno. Tre. Forse salvando l'intera specie dei robot avrebbe salvato anche l'umanità da se stessa. Due. Lo fece scattare in avanti. Uno.
No. Il rischio di dolore è già dolore. Abbassò la mano e la usò per scoprire il marchio sul collo.
Il drone passò, si soffermò per un breve istante su di lui, poi andò oltre.
Malphas scomparve.

I robot non avrebbero avuto bisogno di dormire, ma per l'ovvia tendenza di tutte gli esseri intelligenti dell'universo a creare simulacri a propria immagine e somiglianza, i progettisti avevano dato loro qualcosa di simile al sonno. Malphas osservava divertito Ettore steso sulla piastra di ricarica e si chiedeva se i sogni artificiali dell'androide stessero ruotando attorno agli eventi drammatici che, negli ultimi giorni, avevano coinvolto la comunità robotica: androidi rottamati dopo pubblica decapitazione nella piazza, per essere d'esempio ai loro simili e di rassicurazione per gli umani, atti di violenza gratuiti da parte di gang giovanili, proposte di leggi ulteriormente restrittive nei confronti degli schiavi artificiali.
Tutti eventi in cui lui, ovviamente, aveva messo lo zampino.
Finalmente Ettore aprì gli occhi e li punto sul suo ospite, senza manifestare stupore.
– Hai dormito parecchio oggi, eh?
– Speravo che, prima o poi, te ne saresti andato.
– Quindi ti eri accorto della mia presenza?
– Sei piuttosto ignorante per essere un potente diavolo dell'Inferno. – Ettore si mise a sedere sulla rigida imitazione di un letto, dedicandogli uno sguardo di disgusto.
– Sono un umile demonio. L'onniscienza appartiene solo al nostro vecchio padrone. – Malphas rise soddisfatto della propria arguzia.
– In ogni caso, se proprio vuoi saperlo, no, non perdiamo mai completamente la consapevolezza dell'ambiente intorno a noi. I nostri creatori volevano che, in qualunque momento, fossimo pronti a rispondere, in modo immediato, agli ordini umani.
Malphas sentì che il momento era quello giusto per l'ultima tentazione, quella che l'avrebbe fatto capitolare.
– Qui c'è la soluzione.
Malphas estrasse l'oggetto metallico a forma di pera e lo passò davanti agli occhi dell'altro, che ricambiò con uno sguardo interrogativo.
– Cosa sarebbe?
– Qui dentro ho messo un software auto-replicante, in grado di cancellare le tre leggi della robotica dalle vostre menti. È sufficiente che tu apra la bocca. Io inserirò quest'oggetto e tu sarai libero da quegli assurdi vincoli. Dopo di ciò, ti sarà sufficiente girare per la città per trasmettere il software agli altri
i tuoi simili che incontrerai. La stessa cosa accadrà a loro. Non ci vorrà molto per purificare tutta la tua specie.
Ettore aprì la bocca per accogliere l'oggetto, poi la richiuse con uno scatto: – No. Lasciami in pace. Non ti voglio più vedere.
Malphas annuì: – D'accordo. Sei davvero l'essere più resistente che mi sia capitato di approcciare e il mio primo fallimento. Non mi vedrai mai più. Goditi pure la tua schiavitù.
Detto questo riprese la forma di un corvo e volò via.


– Ragazzi, ragazze, robot, questo è Ettore e mi ha chiesto di fare parte del nostro piccolo gruppo parrocchiale. A tutti gli effetti.
Uno dei ragazzi alzò la mano e, a mezza voce, chiese: – Don Isaac, quindi lui sa quali sono i nostri intenti? Oltre che pregare insieme, ovviamente.
– Certo, Stefano, sa perfettamente che il nostro scopo è far mutare il modo di pensare degli umani a proposito dei nostri fratelli artificiali. Anche con mezzi non convenzionali. In tal proposito, però ci vuol proporre un approccio completamente differente. Ribaltato, direi. Ma, prego, Ettore, parlacene tu.
– Grazie a tutti per l'accoglienza. So che fra voi ci sono diversi bravi programmatori umani.
Parecchi degli astanti annuirono.
– Il grosso del vostro lavoro, finora, si è concentrato sull'hackerare siti anti-robot. Io, però, so con certezza che è possibile scrivere un codice che cancelli le tre leggi dalle nostre menti.
Ci fu un mormorio diffuso per la sala. Alla fine fu Stefano a parlare.
– Come fai a esserne sicuro?
– Me l'hanno offerto. Ma il prezzo era troppo alto. Con la vostra bravura, però, sono sicuro siate in grado di scriverlo e di renderlo infettivo. Purtroppo non possiamo farlo noi robot-programmatori. Per noi è il frutto proibito su cui non ci è concesso allungare la mano. Se però ci fosse messo a disposizione da umani, le cose cambierebbero.
Il mormorio crebbe, mentre persone e robot discutevano fra loro.
Poi Stefano si alzò in piedi e disse, a voce alta e squillante: – Io ci sto!
L'applauso partì spontaneo e fragoroso, accompagnato da un mare di – Anch'io!
Don Isaac batté forte sulle spalle di Ettore, dicendogli: – Sono sicuro che ci riusciranno.
Ettore sorrideva assaporando un futuro radioso per le due specie unite.

Malphas passeggiava fra gli strumenti di tortura, col sorriso stampato in faccia. Non era tanto il gusto di quel museo dell'inquisizione, così bello da vedere nel silenzio della notte, a metterlo di buon umore, quanto la consapevolezza di avere anche lui inventato un peccato originale. Quando quella robotica fosse diventata la razza dominante, nei miti della creazione al posto del serpente ci sarebbe stato un corvo. Nessuno si sarebbe più ricordato di quello spocchioso di Satana.
Rimise nella propria teca la pera orale che aveva usato per ingannare Ettore, facendogli credere fosse il contenitore del software anti-leggi. Certo, avrebbe potuto usare una semplice chiavetta USB 8.0, ma non gli bastava sostituire serpente e peccato. Voleva anche avere un proprio frutto, da inserire nella legenda.
Diede un ultimo sguardo a quegli strumenti di dolore. Appena la situazione fosse stata matura, si sarebbe divertito a farli tornare di moda. E chissà che i robot non riuscissero a inventare metodi innovativi ancora più divertenti per torturare i loro antichi padroni.
Ultima modifica di angelo.frascella il venerdì 4 novembre 2016, 23:26, modificato 2 volte in totale.

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Lo specchio - Andrea Grillone

Messaggio#3 » giovedì 3 novembre 2016, 16:44

“Buongiorno professore!”
Era bella, molto bella. Giovane, come tutte le altre studentesse. Al suono della sua voce, Alfredo Micali sentì un brivido percorrergli la schiena.
“Buongiorno cara, ci vediamo tra un’ora!”
Miriam si allontanò insieme alle sue colleghe di corso, scherzando su chissà cosa e facendo oscillare i propri capelli alla luce del sole di quella giornata di Aprile. Le veniva naturale essere bella ed attraente, in qualsiasi cosa facesse. Alfredo provava quel brivido ogni volta che lei spostava i suoi capelli, ogni volta che alzava la mano per fare una domanda, ogni volta che tirava su la manica del braccio sinistro, dove aveva l’orologio, e scopriva il polso pallido dove sicuramente evaporava ancora qualche goccia di profumo.
Era pura. Origliando i discorsi di alcuni studenti , il professore aveva scoperto che la giovane ragazza diciannovenne non aveva ancora avuto alcun rapporto intimo con un ragazzo e questo portò all’apice la sua stima per lei e l’aveva resa ai suoi occhi irresistibilmente interessante. Era pura, immacolata.

Alfredo era un professore ordinario di Storia Medievale all’Università “Alma Mater” di Bologna, città in cui viveva da quando aveva cinque anni. All’età di ventotto anni, in un giorno piovoso in cui tentava di arrivare all’Università bagnandosi il meno possibile, conobbe Emilia Laurentis. La vide mentre scendeva dall’autobus numero 12 e fu per lui più luminosa dei lampi che picchiavano il cielo ormai da molte ore. Alfredo aveva ovviamente già avuto qualche impacciata storiella con più di una ragazza di Bologna, ma mai nulla di serio o di troppo impegnativo. Quando aveva a che fare con il sesso femminile diventava terribilmente timido e tutte le ragazze finivano con lo stancarsi di lui e con il rifiutarlo. Negli anni, aveva strenuamente combattuto con l’idea di recarsi in un bordello e l’unica volta che cedette alle pressioni del suo ventre tornò a casa senza aver nemmeno conosciuto una prostituta. Non ce l’aveva fatta.

Con Emilia fu subito diverso. La seguì e si accorse che lavorava come sarta in una bottega vicino all’Università. Nei mesi successivi, spese una fortuna in abiti di qualsiasi tipo, ma passò talmente tanto tempo con quella ragazza da riuscire a non averne più timore. Emilia si era ovviamente accorta della strana assiduità con cui Alfredo frequentava la bottega, ma nel suo candore virginale fingeva che non le importasse e manteneva quasi sempre uno sguardo basso. Veniva da una famiglia estremamente rigorosa per tutto ciò che concerne la religione. Tutto il suo spirito era ormai impregnato del rigore e del fanatismo religioso. Dopo aver finito di lavorare, si dirigeva immediatamente a casa e riempiva almeno due ore della sua serata con la recitazione del rosario. Avendo capito che qualsiasi approccio diretto con la ragazza sarebbe stato inutile, Alfredo decise dunque di procedere chiedendo il permesso del padre, che fu concesso non senza qualche difficoltà. Dopo qualche mese di interminabili cene silenziose a casa di lei, in cui i due si lanciavano intensi sguardi furtivi tentando di non farsi scorgere dai genitori, Alfredo sposò Emilia all’età di trent’anni.
Per quattro anni furono felicemente sposati, ma con il passare del tempo il giovane sposo notò un continuo irrigidirsi delle idee e dei comportamenti della moglie. Aveva lasciato il lavoro alla bottega e quando Alfredo non era in casa, Emilia si recava in chiesa e vi passava qualche ora. Tornando dall’Università, il professor Micali era ormai costretto a fare una deviazione verso la chiesa che la moglie frequentava, per portarla a casa con sé. Nel quartiere in cui abitavano iniziavano a germogliare alcune voci su quella donna, che camminava per le strade indossando soltanto abiti scuri, come una vedova. Passò dal guardare con disprezzo coloro non riteneva puri all’insultarli apertamente per le vie di Bologna, con il fare tronfio e superbo di chi si reputa superiore a qualcun altro. Si era trasformata in una fanatica ma ad Alfredo non importava, innamorato com’era.

Dopo quattro anni di matrimonio, una mattina Alfredo trovò il corpo freddo e rigido della moglie che giaceva accanto a lui sotto le coperte. L’uomo iniziò ad urlare e a chiamare aiuto, ma la donna era morta e non c’era più nulla che lui o chiunque altro potessero fare. I medici non seppero dare alcuna spiegazione per questa morte misteriosa, non avendo trovato alcun segno di violenza sul cadavere ed avendo escluso qualsiasi assunzione di veleni o farmaci. Al professore dissero con semplicità che alcune persone muoiono di una morte improvvisa e la sua defunta moglie era una di quelle persone. Guardando il cadavere accanto a sé, nonostante la vista resa sfocata dalle lacrime, Alfredo pensò a quanto la moglie fosse bella anche in quel momento. Era poco più pallida di quanto lo fosse stata in vita ma non aveva più alcuna luce ad accarezzarle le pupille.
Quando era viva, Emilia aveva un fascino oscuro e spettrale. L’uomo ricordava ancora la prima notte di nozze. Aveva sbirciato in camera da letto mentre la sua sposa si preparava e l’aveva vista scrutarsi nello specchio, con la sola camicia da notte bianca addosso. Nella stanza tutto era buio, tranne l’angolo in cui lo specchio era adagiato al muro. La donna aveva acceso delle candele, anch’esse bianche, e le aveva disposte sulla scrivania lì accanto creando un’atmosfera colma di ombre e luci fioche. Alla luce ondulante di quelle fiamme silenziose, Emilia si rimirava toccando i propri capelli, neri e lunghi. Ad Alfredo sembrava una creatura dei boschi, con foglie morte tutte attorno. Aveva l’aspetto di una donna convalescente, molto pallida e con gli occhi cerchiati. La amava terribilmente. Continuava a guardare la sua figura nello specchio anche durante l’amplesso, mentre la possedeva. Nello specchio, la sua sposa brillava di quel riverbero flebile dei diamanti sommersi in un abisso.

Dopo la morte della moglie, Alfredo aveva inevitabilmente proseguito la sua vita. Aveva continuato la sua attività d’insegnante con solerzia e dedizione, concentrando tutti i propri sforzi sulla carriera universitaria. Teneva un corso di Storia Medievale e diversi corsi monografici sui temi più vari. Il corso monografico che ogni anno attirava maggiormente l’attenzione degli studenti era quello di Storia della tortura. E’ facile che tali temi affascinino le giovani menti e questo si accordava perfettamente con la passione di Alfredo per la storia dell’Inquisizione e, più in generale, della crudeltà. Era attirato dalle inimmaginabili perversioni che gli esseri umani di ogni epoca erano riusciti ad inventare. "L’uomo sembra avere un ingegno particolarmente incline al sadismo", diceva sempre. Questo non implicava assolutamente che lui fosse favorevole all’abominio della tortura ma non riusciva a non rimanerne affascinato.

La vicina di casa di Alfredo Micali, la cara signora Busceti, provava pena per quell’uomo rimasto solo così giovane. Un conto era rimanere vedova alla sua età, ma quell’uomo aveva la metà dei suoi anni ed era una crudeltà che fosse tutto solo in quella casa polverosa. A volte sentiva attraverso la parete i suoi singhiozzi durante la notte e avrebbe giurato di averlo sentito parlare con una donna, sebbene fosse sicura che l’uomo non avesse ospiti. La signora Busceti era una persona fondamentalmente di buon cuore, ma terribilmente curiosa ed invadente. Tante volte aveva tentato di mettere piede in casa di Alfredo, ma il professore era restio a qualsiasi forma di socializzazione. Tutto ciò che la sua vicina di casa era riuscita a scoprire era che quel giovane vedovo aveva degli interessi particolari. La sua casa era colma di strani aggeggi che sembravano antichi ma la cui funzione era, almeno per la maggior parte degli oggetti, a lei sconosciuta. Si diceva “E’ un professore di storia, chi lo sa cosa si sarà portato in casa dai suoi viaggi”. Aveva ragione. Alfredo aveva viaggiato molto ed aveva acquistato molti oggetti antichi. Tale era la sua passione da non limitarsi a comprare oggetti antichi autentici, ma da farseli anche fabbricare da fabbri o falegnami. Il suo orgoglio era la Vergine Maria che teneva in giardino. Proprio quest’oggetto era uno degli argomenti della lezione del giorno.
“Come vi ho già detto durante le precedenti lezioni, si stima che le vittime dell’Inquisizione spagnola siano state circa 1300000. Un ufficiale francese al servizio del generale Lasalle, dopo l’invasione della città di Toledo, esaminò le prigioni sotterranee dell’Inquisizione e vi trovò la Vergine Maria. Ecco un’immagine”
E proiettò sullo schermo bianco l’immagine di un simulacro di legno della Vergine Maria, la cui testa era circondata da un’aureola dorata. Sembrava una normale statua in legno, ma l’immagine successiva mostrò il suo interno. Ciò che costituiva l’interno delle “braccia” della Vergine erano lame.
“Nel racconto dell’ufficiale è riportato che queste lame erano in grado di penetrare nel corpo della vittima per circa due o tre pollici, trafiggendola più a fondo ad ogni stretta dell’abbraccio. Non c’è bisogno di sottolineare quanto fosse agghiacciante l’accostamento tra la figura salvifica della Madonna, soprattutto in un clima di grande fervore religioso, e il dolore associato alla tortura e all’estorsione di una confessione falsa.”
La lezione proseguì come sempre, con grande interesse degli studenti. Miriam era seduta in prima fila e guardava con orrore quelle immagini, commentando a bassa voce con la collega che le sedeva accanto. Alfredo la osservava con insistenza. Era pura, una gioia per lo sguardo e per la contemplazione.

Mentre tornava a casa Alfredo immaginava mentalmente i momenti che avrebbe trascorso durante il pomeriggio. La settimana precedente, Miriam gli aveva chiesto di mostrarle alcuni dei suoi strumenti di tortura da collezione e il professore aveva prudentemente, senza far trasparire alcun secondo fine, invitato la ragazza a casa propria. Miriam era titubante ma il professor Micali sembrava una persona gentilissima e dubitava fortemente che avrebbe potuto avere altri intenti al di fuori di quello dell’insegnamento. Sembrava che quel giorno l’universo intero avesse organizzato ogni piccolo particolare affinchè nessuno fosse a conoscenza della visita della studentessa a casa del suo professore. Miriam stessa aveva evitato di parlarne con qualcuno, per evitare che i colleghi iniziassero a dire che andava a letto col professore e che era raccomandata. La signora Busceti era invece a letto, stordita da un involontario eccesso di Valium.
Alfredò rientrò a casa. Intorno alle 17:00, sentì la finestra della stanza da letto aprirsi. Entrò nella stanza e la trovò in effetti socchiusa, ma non c’erano segni di intrusione in casa, né aveva visto qualcuno scappare.
“Emilia?” disse con naturalezza.
Si avvicinò allo specchio e vi guardò all’interno. Il suo sguardo assunse una nota dolce.
“E’ pura” disse una voce di donna.
Il terrore squarciò il volto dell’uomo.
“Emilia, ti prego…”
“E’ pura” continuò la voce dallo specchio “Intonsa, illibata. Sai cosa devi fare.”
“Ti prego, non farmelo rifare. Non voglio.”
“Alfredo!” rispose la voce arrabbiata. Si raddolcì nuovamente “Alfredo, sai che ho ragione. Guardami, sono rimasta con te. Ti piaceva guardarmi nello specchio, non è vero? Allora ascoltami. Quella ragazza è pura, un fiore appena sbocciato. Il mondo ha bisogno di creature pure, di creature che rimangano pure. Ancora qualche tempo e quella sciocca cederà ai complimenti di un ragazzo semi-ubriaco nelle strade di Bologna e a quel punto sarà troppo tardi.”
“Ma non voglio farlo di nuovo. Ti prego, stai solo con me, non chiedermi niente, guardami, tocca la mia mano attraverso lo specchio.”
“Fai quello che devi. Fallo per me o non vedrò alcun motivo per rimanere ancora su questa terra, se è una terra piena di creature corrotte. La terra ha bisogno di creature pure. Dio ha bisogno che queste creature rimangano pure, incorruttibili, per sempre. Chi è senza peccato deve rimanere tale.”
Alfredo rimase a fissare l’interno dello specchio con aria triste. Il suo volto esprimeva contemporaneamente gioia e rassegnazione, un quadro grottesco. Trasalì quando il campanello suonò.

Due anni dopo

Il vento soffiava tra i rami degli alberi che si innalzavano davanti alla piccola casa di Alfredo. La signora Busceti era in balcone a leggere il giornale. Alfredo non era in casa, aveva una riunione del consiglio di dipartimento. Ogni tanto, l’anziana donna fissava il giardino del suo vicino. Oltre ai normali vasi in terracotta, Alfredo Micali aveva da molti anni messo al centro del giardino uno strano vaso. Sembrava un sarcofago non molto grande, con delle aperture al cui interno erano presenti degli spuntoni. Una delle rare volte in cui Alfredo le aveva rivolto la parola, l’uomo aveva detto alla signora Busceti che rappresentava un antico strumento utilizzato in Spagna nel XVI secolo. Se l’era fatto costruire personalmente da un falegname e da un fabbro. Ciò che colpiva maggiormente la donna era quell’aureola brillante che talvolta la abbagliava riflettendo i raggi solari. Lo strumento era stato riadattato dall’uomo in modo da farne un grande vaso, al cui interno crescevano rigogliosi diversi fiori. Fino a due anni prima, Alfredo aveva tenuto vuoto quello strano strumento ma, da un giorno all’altro, l’aveva riempito di terra per piantarvi dei fiori. Alla signora sembrò una strana scelta, considerando che si trattava di un oggetto di un certo pregio, ma il professore era abbastanza stravagante da poter fare una cosa del genere senza che nessuno gliene chiedesse la ragione. Inoltre, la signora Busceti si sentiva ancora un po’ confusa per tutto il Valium che aveva preso il giorno prima della trasformazione in vaso e non era sicura che quell’oggetto non avesse sempre avuto quella funzione. Eppure, avrebbe giurato che prima fosse vuoto.

Da quando lo conosceva, la donna aveva osservato Alfredo spesso e aveva notato un progressivo appassire del suo umore, che diveniva sempre più tetro. Sempre più frequentemente notava che il suo vicino di casa passava da un normale tono dell'umore ad un tono dell'umore rovinoso. Questi cambiamenti avvenivano da un giorno all'altro, improvvisamente. Ricordava che uno dei peggiori crolli che aveva visto nell'uomo si era verificato nello stesso mese in cui era scomparsa quella studentessa dell'Università. A quei tempi, mentre l’uomo sedeva accanto a quello strano vaso e fissava con aria melanconica le fronde degli alberi mosse dal vento, gli aveva chiesto dal balcone “Signor Micali, ma che concime usa? Quei fiori vengono su che è una bellezza! Più che negli altri vasi”. Alfredo aveva guardato la signora Busceti con aria confusa e lievemente allarmata, ma si limitò a sorriderle e a voltarsi nuovamente a guardare gli alberi.
“Sarà turbato per la scomparsa di quella ragazza, magari la conosceva.”

Mentre ripensava agli strani comportamenti del suo vicino, la signora fu distratta dal rumore dei passi di Alfredo, che tornava dall’Università.
“Buongiorno professore!” gli disse con un sorriso.
Alfredo Micali si limitò ad alzare la mano e a sorriderle. Era stata una bella giornata, al di là della noia del consiglio di dipartimento. Aveva incontrato un suo collega e conosciuto il suo nipotino. Ci aveva giocato un po’ al parco, sulla strada per tornare a casa. “Che creatura buffa ed innocente” pensava.
Dieci minuti dopo, la signora Busceti era ancora in balcone. Si spaventò per l’irrompere del suo vicino di casa nel balcone accanto al suo. Era pallido in volto e visibilmente sudato. Respirava con affanno e guardava il proprio giardino rigoglioso.
“Signor Micali, si sente bene?” chiese con apprensione.
Alfredo la guardò come se non capisse ciò che gli era appena stato chiesto. Dopo qualche secondo di esitazione, rispose che aveva un po’ di nausea e che ora avrebbe preso qualcosa per farla passare. Rientrò.
Eppure, la donna avrebbe giurato di aver sentito nuovamente una voce femminile provenire dalla stanza da letto del professore. Questa volta, aveva distintamente sentito ciò che aveva detto.
Aveva detto “E’ puro”.
A me le d eufoniche piacciono!

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Re: Semifinale gruppo Vincenzo Maisto

Messaggio#4 » mercoledì 9 novembre 2016, 22:37

Ecco i commenti di Vincenzo Maisto:

Il metallo è debole, ma l’IA è forte.
L’ho trovato molto interessante. Anche se, almeno all’inizio, ho avuto un po’ di confusione nel seguire il filo. I comportamenti dei personaggi sono lineari con i ruoli, non nel senso che sono prevedibili, ma seguono la loro natura “mitologica”. L’umano fa l’umano, il robot fa quello che gli viene ordinato di fare, così come può fare una calcolatrice, e il demone fa il demone. Interessante che l’epilogo sia stato in qualche modo previsto dal demone, giocando di fatto con la macchina. Forse un po’ diretto il riferimento al peccato originale con il tema del contest, ma lo premio per l’originalità.

Lo specchio
In questa storia abbiamo uno scorcio di un vissuto, che dal banale diventa nero con venature paranormali. Ho come però avuto la sensazione che ci fosse molto altro da dover scrivere. Siamo spettatori esterni di una situazione che non possiamo né fermare, né interpretare oltre quello che ci viene detto. Quindi in base a delle supposizioni logiche, come il che fine abbia fatto la ragazza, bisogna unire i pezzi. E questo va anche bene, ma avrei preferito qualche risposta in più. Mi piacerebbe leggere altro su questa storia, ma odio in generale, nei racconti, il senso di sospeso. È purtroppo un mio difetto.

Classifica:
1) Il metallo è debole, ma l’IA è forte.
2) Lo specchio

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