L'ultimo attacco - di M.R. Del Ciello

Iscrizioni dal primo novembre, il testo di riferimento sarà "I racconti del Grande Nord e della corsa all’oro"

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maria rosaria
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L'ultimo attacco - di M.R. Del Ciello

Messaggio#1 » lunedì 28 novembre 2016, 22:16

L’ULTIMO ATTACCO di M.R.Del Ciello

Resistere al primo attacco non fu difficile. Fu solo fastidioso.
Cercai di pulire il terreno dai rifiuti che avevo trovato sversati, forse durante la notte da qualche balordo. Buste di plastica, bottiglie, lattine e cartacce varie formavano un mucchio informe e incolore che strideva con il verde acceso delle piantine di spinaci e di bieta.
Presi la pala, alcuni sacchi neri di plastica e cominciai a riempirli di tutta la robaccia che sembrava profanare quel luogo come una piaga purulenta può fare sulla pelle morbida e bianca di un bambino.
Ripulito il terreno, trascinai i sacchi ormai colmi verso i cassonetti dell’immondizia poco distanti e rimasi a contemplare il panorama.
La striscia di terra che coltivo, da quando sono in pensione, è stretta tra i palazzoni di cemento, costruiti negli ultimi anni, e la ferrovia su cui sfrecciano veloci i treni che vanno da nord a sud del paese e viceversa. La considero, questa terra, l’ultimo baluardo di un passato che resiste, nonostante tutto, agli attacchi di un presente troppo in fretta proteso verso il futuro. Come i treni che mi capita spesso di rimanere a fissare. Osservo rapito gli scompartimenti illuminati e a volte riesco a vedere al loro interno figure confuse di uomini e donne. Allora fantastico sulle loro vite e mi chiedo se sentano la solitudine come me.

La seconda volta fu quando arrivarono quei tre. Erano ragazzini annoiati, ai quali probabilmente i genitori non avevano fatto mancare nulla finora. Oppure si sentivano soli come chi si sente perso, abbandonato, pur sapendo che una guida ce l’ha ma non fa il suo dovere. Molto diversa dalla mia, di solitudine.
Arrivarono che era sera. Io stavo per lasciar tutto e tornarmene a casa. Quando il sole tramonta dietro le case e la luce va via non ha molto senso continuare a lavorare la terra. E, alla mia età, una giornata intera di lavoro si fa sentire forte nelle ossa che reclamano riposo.
Non li vidi subito, sentii solo le loro risa e ciò mi mise in allarme. Indugiai nella baracca ancora un po’, affacciato alla finestrella che dava sul campo.
Quando riuscii a scorgere le sagome era quasi buio.
— Facciamo uno scherzetto al vecchio? — disse il primo.
— Sì, dai, strappiamogli un po’ di piante e poi pisciamogli sugli attrezzi da lavoro.
— Facciamo in fretta, però, che devo tornare a casa — disse un terzo, l’unico con un po’ di umanità, forse celata solo per non far brutta figura davanti ai compagni.
Uscii all’improvviso dalla baracca e alla luce fioca della luna piena credo di essere sembrato loro un fantasma.
— Via! – gridai. — O vi faccio pentire di essere nati e cresciuti!
Fuggirono, come solo i codardi sanno fare. Ragazzacci, pensai, però quella notte decisi di passarla lì, nella mia baracca, a vegliare il mio pezzetto di terra, il solo in grado di riempirmi la vita con i suoi frutti puntuali a ogni stagione. Io che di frutti ne avevo avuti ma che, per un motivo o per un altro, non erano più con me.
Trascorsi la notte a osservare le poche stelle visibili nel cielo cittadino e ripensai ai miei figli. Me li immaginavo dentro le stanze illuminate di quei palazzoni alle mie spalle, oppure nei vagoni di qualche treno diretto chissà dove.

Il terzo attacco fu di dicembre, faceva freddo e quello era il periodo dei carciofi. Ma anche delle zucche. E ne raccoglievo tante perché la mia terra è fertile. Le zolle scure trasudano vita ogni volta che le vango e quando annaffio i piccoli virgulti appena spuntati, mi sento come il prete che battezza piccole creature di grandi speranze.
Era mattina presto. Il buio a breve avrebbe lasciato il posto a una fresca aurora e avevo tutto il giorno davanti per dedicarmi al raccolto e alla sistemazione delle nuove piante.
Avevo caricato l’Ape con i sacchi in cui avrei messo le verdure, la vanga nuova in sostituzione di quella vecchia, oramai consumata, e la zappa il cui manico avevo fatto riparare da un amico falegname.
Io non sono razzista, ho anche origini ebree e so cosa vuol dire essere cacciati o perseguitati. Però la prepotenza non mi è mai piaciuta.
Così quando quella mattina mi accorsi che un gruppetto di Rom stava occupando la mia baracca e il mio campo, non ci vidi più. Quella era la mia terra, accidenti, me l’aveva regalata mio padre che a sua volta l’aveva avuta da mio nonno e nessuno mi avrebbe cacciato da lì.
Compresi subito di non poter cavarmela con un semplice Via! come avevo fatto con i ragazzini della volta precedente. Rimisi quindi in moto l’Ape e tornai a casa. Lì, in camera da letto, in un baule in cui conservo i cimeli di famiglia, c’era un vecchio fucile e dei proiettili. Pregai la Madonna che fosse ancora funzionante e con quello, nascosto in un sacco, tornai al campo.
Il sole era oramai alto ma il freddo si faceva sentire. Fermai l’Ape poco distante per non dare avvisaglie del mio arrivo. Scesi e, a piedi, il fucile in spalla, mi diressi verso i Rom i quali, nel frattempo, avevano anche iniziato a raccogliere i carciofi.
Li vidi agitarsi appena si accorsero di me e cominciarono ad apostrofarmi in una lingua a me sconosciuta. Avevo paura, ero solo, loro erano parecchi, il mio fucile chissà se avrebbe funzionato e non ero neanche sicuro di avere il coraggio di usarlo.
— Dovete andarvene da qui! — urlai. — Questa è la mia terra!
Non so se compresero le mie parole, però vidi due di loro avvicinarsi, come se avessero annusato la mia paura, e l’espressione non presagiva nulla di buono. Resistetti. Feci finta di non avere alcun timore e impugnai il fucile. In realtà cominciavo a vedermi scorrere tutta l’esistenza davanti, come fosse l’ultimo istante di vita.
Fu allora che lui arrivò. Era un gheppio, elegante e grosso come non ne avevo mai veduti, un’apertura alare che per alcuni istanti oscurò il sole al pari un’eclissi. Planò sopra le nostre teste e si avventò con foga verso il gruppetto dei nomadi continuando a volteggiare minaccioso sopra di loro e lanciando un verso stridulo.
Era il verso di un uccello, eppure mi sembrò di udire il richiamo di tutti coloro che avevano difeso quella terra prima di me. Una voce ancestrale proveniente dal passato ma anche da profondo della mia anima.
I Rom indietreggiarono, impauriti. Le donne gridarono e si nascosero dietro un paio di alberi lungo la ferrovia. Gli uomini parlottarono un pochino tra loro, poi li vidi prendere fagotti e carabattole e allontanarsi in fretta.
Avevano rovinato le piantine di verza, quelle ancora da raccogliere, calpestato alcune sementi appena germogliate, però avevo vinto. In più, ora avevo un amico, quel gheppio che sparì non appena gli intrusi se ne furono andati.
Avrei voluto ringraziarlo, dargli qualcosa da mangiare, carezzarlo e dimostrargli gratitudine, ma tutto ciò non fu possibile perché non lo vidi più per parecchio tempo.

Ricomparve durante l’ultimo assalto.
Era arrivata la ruspa. Sapevo che prima o poi sarebbe accaduto, avevo ricevuto una raccomandata in cui mi intimavano l’esproprio del terreno a favore del Comune per una non ben definita opera pubblica.
Avevo protestato, ero andato anche in Municipio per dimostrare che la mia proprietà era in regola, ma non c’era stato niente da fare.
Così quella mattina, mentre zappettavo e innaffiavo i fagiolini appena piantati, il rumore sordo della ruspa mi avvisò che forse la fine stava arrivando. Quando il motore si spense, la grossa scavatrice era a pochi metri dalla mia baracca. Alzava e abbassava la benna come un elefante muove la proboscide in tono di sfida e io ero lì, impietrito e incredulo.
Sarebbero bastati un altro paio di metri e i legni del casotto sarebbero spariti, travolti e triturati dalla ruspa.
Il verso del gheppio, però, mi svegliò dal torpore. Era tornato e questa volta si era appollaiato sulla mia spalla. Sembrava attendere qualcosa, forse un cenno.
L’uomo sulla ruspa gridò: — Vecchio, devi toglierti. Facci lavorare!
Io allora risposi: — Questa è la mia terra, non me ne vado. Dovrete passare sul mio cadavere!
L’uomo scese lentamente dalla ruspa e con un saltello mise i piedi per terra. Mi accorsi che l’uomo era più piccolo di quello che sembrava a cavalcioni del suo veicolo, mentre i muscoli guizzavano aggressivi sotto la maglietta sporca e bagnata di sudore.
— Levati o dobbiamo chiamare la polizia!
— Io non mi muovo di qua! — replicai.
Quello non insistette, continuò a masticare una gomma americana e risalì sul suo bolide.
Come spinto da non so quale forza, quasi senza rendermene conto, carezzai il rapace fermo sulla mia spalla e dissi: — Andate via!
L’animale allora si lanciò dritto verso il volto dell’autista, innalzando poi il suo volo al di sopra della ruspa. L’uomo imprecò per lo spavento e ingranò la marcia per tornare indietro. Lo vidi girare il veicolo e sparire dietro i palazzoni di cemento inseguito dalle ampie ali del gheppio.

Sono mesi che nessuno si fa più vedere da queste parti per reclamare la mia terra, ma mi aspetto che da un momento all’altro possano tornare e togliermela per sempre.
Continuo a coltivare le verdure su questo campo che era di mio padre, il quale a sua volta lo aveva avuto da mio nonno.
Di tanto in tanto un grosso gheppio viene a posarsi davanti la mia baracca, sta un po’ lì, mentre io sorseggio tè freddo in estate o fumo Marlboro d’inverno.
Oggi, per esempio, ho preso una mela dalla bisaccia per merenda. Con un coltellino svizzero l’ho tagliata in quattro parti. Per ognuna, con precisione geometrica, ho inciso via un solco per toglierne il torsolo. Ho mangiato i croccanti quarti di mela, uno dopo l’altro, assaporandone il succo asprigno e guardando l’orizzonte, oltre la ferrovia, dove si staglia, appena accennato nella foschia, il contorno del centro città.
Lui era lì, davanti a me. Mi osservava immobile.
Sembrava volermi dire qualcosa. Forse che gli va stretto questo scampolo di verde tra i palazzoni e la ferrovia. Si merita di più, ne sono convinto. Però, finché abbiamo questo terreno, possiamo sopravvivere. Possiamo resistere, così penso. E sono sicuro che lo pensi anche lui.


Maria Rosaria

Fernando Nappo
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Re: L'ultimo attacco - di M.R. Del Ciello

Messaggio#2 » domenica 4 dicembre 2016, 16:15

Ciao M.R.,
anche nel tuo caso, l'ambientazione nostrana, coi riferimenti ai sacchi della spazzatura, ai palazzoni in cemento, all'Ape, ma ha portato lontano da London, perché, come avrei capito se hai letto i miei altri commenti, non riesco a fare a meno di identificare London con una determinata ambientazione e tipicamente quella della prima dozzina di racconti del testo di riferimento, gli unici che sono riuscito a leggere, il che condiziona e limita il mio giudizio in questo camaleonte.
Anche il tuo racconto è una bella storia di resistenza, di voglia di vivere, di gente che vive ai margini e vuole restistere (situazioni tutto sommato piuttosto londoniane), e il tuo protagonista che difende il suo piccolo orto da persone incivile e espropri comunali (spesso una vergogna per costruire strade/ponti o altre opere spacciate per indispensabili, per il progresso, quando forse sarebbe più progresso l'operazione contraria) mi è molto simpatico. Un po' meno quando imbraccia il fucile, per la verità, ma se a lui sta bene così...
Molto bella l'immagine del protagonista che, mentre annaffia i virgulti, si paragona a un prete che battezza i neonati.
Insomma, anche il tuo racconto è un buon racconto, a prescindere da London, che gira intorno a un tema che trovo affine. Non mi spingo oltre riguardo a ambientazione e stile narrativo perché, come ho già fin troppe volte sottolineato, in questo giro mi trovo più in difficoltà del solito.

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maria rosaria
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Re: L'ultimo attacco - di M.R. Del Ciello

Messaggio#3 » lunedì 5 dicembre 2016, 10:29

Ciao Fernando.
Grazie del commento. Approfitto per spendere due righe sulla genesi di questa storia e il mio approccio a questo capitolo del Camaleonte.
Avevo letto qualcosa di London in gioventù (Richiamo della foresta, Zanna bianca), ora a parecchi anni di distanza ho letto qualcosa del suo La strada e alcuni suoi racconti (Prepararsi un fuoco, La bistecca, e altri).
In questo capitolo ho cercato di fare miei i temi cari a London e mi sono chiesta: "cosa scriverebbe Jack London se fosse vivo?".
E' uscita fuori questa cosa in cui ho voluto riassumere la lotta dell'uomo per la sopravvivenza, l'ineluttabilità di un destino che vede sempre vincere il più forte, a prescindere da considerazioni etiche.
Per questo il vecchio imbraccia fucile di fronte ai Rom, per imporre una sua (relativa) supremazia.
La natura qui, a differenza dei racconti di London, è forte, viva e resiste ma è anch'essa vittima, al pari del vecchio, di una urbanizzazione feroce. Può sembrare una cosa distante da London, ma io sono convinta che un London redivivo potrebbe narrare anche di questo.
Mi sarebbe piaciuto utilizzare le ambientazioni care a London (grande Nord, mari del Sud) ma non ho voluto rischiare: ho preferito un'ambientazione a me conosciuta (quella cittadina) per non commettere ancora più errori di quanti non ne abbia commesso così.
Lo stile: mi sono fatta l'idea che nello scrivere London alternasse, in alcuni suoi racconti, il narrato (le azioni) alle descrizioni dell'ambiente circostante (paesaggi, natura, descrizioni di uomini e animali). Ho provato a fare qualcosa di simile senza calcare la mano che sennò mi sembrava di copiare.
Ad ogni modo sono andata un po' di pancia.
Ciao a tutti!
Maria Rosaria

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AmbraStancampiano
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Re: L'ultimo attacco - di M.R. Del Ciello

Messaggio#4 » martedì 6 dicembre 2016, 18:13

Ciao Maria Rosaria,
sono d'accordo con te: se London fosse vivo, scriverebbe qualcosa del genere.
Ho apprezzato molto il tuo racconto, l'idea dell'essere umano che tenta di stritolare la natura nella morsa delle sue città e la natura che, comunque, resiste attraverso il gheppio e il tuo protagonista.
Ottima scelta per il protagonista, che a me ha ricordato il Clint Eastwood di Gran Torino (e più in generale Clint Eastwood). Lo trovo molto ben caratterizzato, e la sua voce da narratore è perfettamente credibile tranne in un punto:
La seconda volta fu quando arrivarono quei tre. Erano ragazzini annoiati, ai quali probabilmente i genitori non avevano fatto mancare nulla finora. Oppure si sentivano soli come chi si sente perso, abbandonato, pur sapendo che una guida ce l’ha ma non fa il suo dovere. Molto diversa dalla mia, di solitudine.

Qui mi piace moltissimo il confronto tra solitudini, ma la frase in cui il vecchio ipotizza il comportamento dei genitori mi sembra un po' zoppicante, secondo me puoi fare molto di meglio ;)
Il gheppio che spunta a metà racconto per rimanere è stato una gran bella sorpresa, e anche il finale sul suo desiderio di libertà mi è sembrato perfetto.
Per ciò che riguarda lo stile, sono d'accordo con la tua analisi: London spezza il narrato per inserire descrizioni ambientali molto accurate. E secondo me lo hai fatto anche tu, molto bene e senza dar l'impressione di copiare. :)
Insomma, lo trovo un ottimo lavoro. Bravissima!
Qui giace il mio cervello, che poteva fare tanto e ha deciso di fare lo stronzo.

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maria rosaria
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Re: L'ultimo attacco - di M.R. Del Ciello

Messaggio#5 » mercoledì 7 dicembre 2016, 12:00

Grazie Ambra.
Mi fa piacere che il protagonista ti abbia ricordato il (grande) Clint di Gran Torino.
Forse, a pensarci bene, ci vedrei meglio uno Spencer Tracy in età avanzata... ;)
Immagine

Un abbraccio
Maria Rosaria

valter_carignano
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Re: L'ultimo attacco - di M.R. Del Ciello

Messaggio#6 » giovedì 8 dicembre 2016, 19:00

ciao
racconto che inizialmente non mi ha appassionato, non so nemmeno io bene perché, forse solo la scelta di termini che io non userei: per esempio, trovo che 'colmo' sia un termine 'letterario' che sostituirei con 'pieno'... ma è davvero una cosa mia personalissima, una cosa di puro gusto, tipo menta o liquirizia. Non è una critica.
Dal secondo paragrafo le cose cambiano, e si va in un crescendo d'interesse di pari passo con la difficoltà delle sfide che l'uomo si trova a dover affrontare. Ma dio è con lui, o la Natura, o il caso, e non cede.
Belli i parallelismi, basta poco per rendere una vita, un carattere, e mi sembra che tu ci riesca bene.
Per quello che posso dire, personaggio molto londoniano, che lotta con tutti pur di affermare il suo diritto. Che poi a questo punto non è più nemmeno diritto o no, è la propria vita stessa che lui non vuole lasciare, e l'orto diventa il pretesto per non finire sconfitto e vecchio, superato, inutile, a parlare di calcio nel bar sottocasa.
Brava.

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maria rosaria
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Re: L'ultimo attacco - di M.R. Del Ciello

Messaggio#7 » venerdì 9 dicembre 2016, 10:22

Ciao Valter e grazie del commento.
Sì, a rileggerlo credo tu abbia ragione. Era meglio usare pieni anzichè colmi. Non fosse altro perchè colmo mi fa pensare più a un liquido che ad altro. Anche se non è necessariamente così.
Contenta che la storia ti sia piaciuta.
:-)
Maria Rosaria

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giuseppe.gangemi
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Re: L'ultimo attacco - di M.R. Del Ciello

Messaggio#8 » domenica 11 dicembre 2016, 16:59

Ciao Rosaria,
concordo con i giudizi sul tuo racconto scritti dagli altri partecipanti. Il mio giudizio è positivo. Sono presenti molti elementi di London all'interno di questo moderno "western urbano".
Il racconto mi è piaciuto molto.
Tuttavia ho dei dubbi sul finale. Purtroppo alla lunga il protagonista del tuo racconto si dovrà piegare. Il successo ottenuto dal tuo protagonista è soltanto una vittoria di Pirro. Io non sarei andato avanti a scrivere dopo questo successo. Tu parli ancora parecchio tempo dopo questo fatto, quando io me lo immagino già espropriato.
Per continuare a scrivere dopo questo successo devi introdurre nuovi attori.
Puoi farlo vincere soltanto rendendolo meno solitario e introducendo nella tua storia i piccoli proprietari dei lotti vicini e gli abitanti del quartiere. Persino un'"alleanza" con i rom non sarebbe da escludere. Ti avvicineresti ancor di più a Gran Torino.
L'idea del tuo racconto è molto romantica ma un pensionato e un rapace non possono piegare il sistema da soli. Però possono essere la scintilla del cambiamento.
Il titolo è un po' statico, presumo numerosi successivi attacchi.
Buona prova.

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Peter7413
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Re: L'ultimo attacco - di M.R. Del Ciello

Messaggio#9 » domenica 11 dicembre 2016, 18:31

Bello, mi è piaciuto. Forse troppo schematico nel suo districarsi linearmente lungo gli attacchi, ma alla fine la scelta paga perché, grazie anche al tuo tuo talento che di mese in mese vedo rinforzarsi, il racconto avvinghia il lettore. Ottima anche la scelta di trattare il gheppio alla pari con il protagonista: non sta difendendo lui, ma la terra, la sua terra. Perché non è solo del vecchio, quell'appezzamento, ma della Natura stessa che attraverso il volatile insorge per dire la sua. Per quanto riguarda London, ci sta che il protagonista debba lottare in quanto vige la legge del più forte. Non sono contrario neppure alla scelta del contesto italiano, mi è piaciuto e, pur non disdegnando, limitatamente a questo Capitolo, scelte diverse, trovo che ci stia.

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alessandra.corra
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Re: L'ultimo attacco - di M.R. Del Ciello

Messaggio#10 » martedì 13 dicembre 2016, 11:37

Ciao Maria Rosaria,

anche il tuo racconto mi è piaciuto molto. Bella soprattutto la forza che ha il protagonista: il senso di appartenenza alla sua Terra, il desiderio di opporsi e resistere da coloro che vogliono invadere i suoi diritti e i suoi spazi. Interessante anche la riflessione che ne viene fuori: gli uomini spesso mettono in secondo piano la natura per ricorrere a valori commerciali, urbanizzando così tutti i territori, un fatto davvero grave.
Forse avrei accorciato un pò la storia, sfumando alcune descrizioni e terminando il racconto direttamente dopo che il gheppio si lancia contro coloro che volevano espropriare la terra, senza aggiungere altre considerazioni finali.
Nel complesso però è una buona prova. Brava!

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Lo Smilodonte
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Re: L'ultimo attacco - di M.R. Del Ciello

Messaggio#11 » giovedì 22 dicembre 2016, 19:12

Ciao Maria Rosaria. Devo ammettere, le ultime battute mi hanno fatto venire il groppo in gola. Quanto al racconto, l'ho apprezzato davvero molto (e in questo senso devo dire che tutti i racconti di questa edizione mi sono piaciuti, siete stati bravi!). Buono l'andamento spezzato, ottimo il tema della resistenza sociale ad oltranza, e infatti in questo racconto c'è assai poco dei testi di riferimento, ma si sentono gli echi degli scritti più sociali di London. Hai citato a ragion veduta La Strada, non a caso. Mi lascia perplesso - in termini di coerenza narrativa - la capacità del vecchio di non farsi espropriare il terreno; Peppino ha fatto delle osservazioni assai pertinenti, ma che necessiterebbero di molto spazio. E se il gheppio fosse un vero simbolo? Un martire? Gli uomini della ruspa lo potrebbero uccidere, o ferire, e il vecchio userebbe la forza per combattere, finanche a un triste epilogo (anche se il racconto finirebbe meglio in sospensione, con il vecchio fucile che fa fuoco, in una escalation di tragicità). Inoltre attenta alla struttura a tre, dove per i secondi due attacchi mi inserisci il gheppio e per la prima invece c'è solo il vecchio. Purtroppo, anche psicologicamente, la serializzazione del personaggio gheppio rimane per il lettore mancante a posteriori. Basta inserirlo mentre vola in alto, in un foreshadowing di ciò che sta per accadere. Comunque brava, anche tu. Proprio un bel racconto.

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Re: L'ultimo attacco - di M.R. Del Ciello

Messaggio#12 » giovedì 22 dicembre 2016, 21:19

Bellissima idea quella di ambientare il racconto in un ambiente urbano.
Ci vedo la guerra fra la natura e l'esigenza di comunità che spesso è presente nei racconti di Jack
ho ritrovato molti dei temi cari al vecchio Jack, lo scontro con la società e generazionale, la denuncia, l'ineluttabilità della sconfitta.
Molto bella l'idea della natura non come avversario da combattere ma come alleato insperato, a livello di tematiche londoniane è molto rara ma non totalmente assente quindi ci sta anch'essa.
Solo un piccolo appunto sui giovinastri che mi è sembrata una scena debole rispetto alle altre (ma non mi soffermo perché non è questione di tematiche e stile)

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