La legge dello Yukon

Iscrizioni dal primo novembre, il testo di riferimento sarà "I racconti del Grande Nord e della corsa all’oro"

Moderatore: Camaleonte

Fernando Nappo
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La legge dello Yukon

Messaggio#1 » mercoledì 30 novembre 2016, 23:31

La legge dello Yukon

di Fernando Nappo


Non esiste musher che abbia trascorso almeno un inverno lungo le piste del Grande Nord che non nutra per la propria muta di cani la stessa considerazione che egli ha per se stesso, quando non maggiore. Egli sa che dalle condizioni dei suoi cani può dipendere la sua stessa vita, soprattutto quando l’inverno diventa più aspro, e tanto più il freddo scende sotto lo zero tanto più le piste si fanno lunghe e impervie. Egli si cura di tenere la propria muta nel pieno delle forze, in salute e ben pasciuta e si prodiga affinché tra i cani regni l’armonia. E se è pur vero che qualcuno è sopravvisuto agli stenti e alla morsa del gelo cibandosi dei propri cani, è altrettanto vero che quella decisione estrema è sempre stata dettata dall’imprescindibilità della lotta per la vita e presa tenendo nel massimo rispetto gli animali, sopprimendo dapprima quelli più deboli, quelli non più in grado di proseguire oltre e ormai destinati a morte certa.
Tom Raleigh solcava la pista per lo Yukon spronando i cani ora con rumorosi schiocchi di frusta, ora incitando il capomuta: «Forza! Baldy! Dai!»
Dopo giorni di duro cammino era stanco e a corto di provviste e non vedeva l’ora di arrivare a Circle City per rifocillarsi e fare rifornimento. Inoltre, benché di carattere schivo e incline alla solitudine, il lungo isolamento aveva acceso in lui il desiderio di incontrare qualche vecchio amico col quale trascorrere alcune ora a chiacchierare, bere whisky e raccontarsi le rispettive avventure, le dure fatiche e le vicissitudini.
La neve aveva smesso di scendere da diverse ore e la pista scivolava veloce sotto i pattini della slitta, tanto che Tom contava di arrivare alla meta con un certo anticipo.
Il suo sguardo cadde su di una piccola sagoma distesa nella neve ai margini della pista. Fermò la slitta e s’accorse che si trattava d’un cane da slitta; un malemute, senza ombra di dubbio. Dal corpo non ancora del tutto congelato, dedusse che era morto da non più di due o tre ore. Di una cosa era però certo: in vita, l’animale doveva aver patito non poche sofferenze: il manto era rado e la pelle troppo esposta al gelo e tirata sulle costole, probabilmente a causa di fatiche estenuanti ricompensate con scarse razioni di cibo; sul corpo erano evidenti diverse ferite, alcune sicuramente dovute alla frusta, altre che parevano morsi di animali. Si sarebbe detto un cane da slitta ormai sfinito, diventato preda degli altri cani della muta, forse fuggito o forse abbandonato al suo destino.
Negli ultimi tempi, la corsa all’oro aveva richiamato nella regione una moltitudine di uomini, molti dei quali, cercatori o cacciatori improvvisati, pagavano a caro prezzo la loro inadeguatezza e incapacità di fronteggiare la durezza della vita di frontiera.
Tom spronò i cani. «Mush, avanti!». Le tirelle si tesero e la slitta riprese la sua corsa verso la meta. La giornata era serena e il cielo terso. L’immensità del paesaggio ricoperto di neve e la profondità del silenzio, disturbato solamente dal rumore dei pattini della slitta, non smettevano di affascinare Tom, il quale non poteva immaginare per sé altra vita se non quella. Nonostante il freddo, che lo costringeva a tenere la barba lunga, malgrado questo non fosse di suo gradimento.
Essendo i cani in ottime condizioni, diverse miglia scivolarono via senza grosse difficoltà, fino a quando una figura in lontananza spezzò il candore del paesaggio. Tom rallentò un poco la corsa e si avvicinò con circospezione. Quando fu abbastanza vicino, vide che si trattava di una slitta ferma lungo la pista.
Tom fermò la slitta proprio vicino all’albero presso il quale giaceva un uomo. Scostò il parka e prese la pistola, pronto a qualunque evenienza. La scena che si trovò a ispezionare era straziante. L’uomo era gravemente ferito. I cani giacevano sulla neve, tre di essi respiravano a fatica ed erano feriti, gli altri due erano morti, uccisi da un colpo di arma da fuoco. Non gli ci volle molto a capire la tragedia che si era compiuta tra quei ghiacci silenziosi. I cani, stanchi e affamati, avevano smesso di tirare e cominciato a lottare nella speranza che il più debole di loro soccombesse. L’uomo era intervenuto nel tentativo di fermare la rissa, aveva ucciso un paio di cani, ma era stato a sua volta assalito e ferito.
Con ogni probabilità il cane che aveva incrociato alcune miglia addietro era stata con la prima vittima di quella sfortunata spedizione.
Ripose l’arma e si si avvicinò all’uomo. Respirava a stento e aveva le labbra cianotiche. Gli ispezionò le mani, trovandole ormai completamente assiderate, e il corpo martoriato dai morsi dei cani. Gli sfilò gli stivali e, usando la lama del coltello, scostò con delicatezza le dita dei piedi per verificare fino a che punto fosse arrivato il congelamento. Tom non era un medico, ma gli parve subito chiaro che l’uomo era ormai spacciato; non gli restavano che poche ore di vita. Non avrebbe potuto fare nulla per salvarlo.
Si alzò e si diresse verso la slitta abbandonata dell’uomo. Nonostante fosse poco carica, si era evidentemente rivelata un carico troppo oneroso per una muta di cani sparuta e, chissà, forse anche male assortita.
Scoprì il carico, e lo ispezionò brevemente. Non c’era nulla di valore, nulla per cui valesse la pena di morire in quel modo. Prese il winchester che l’uomo teneva vicino al posto di guida e ne verificò la carica. C’erano colpi a sufficienza per ciò che doveva fare. Si avviò verso i tre cani ancora in vita. Gli animali rimasero immobili; respiravano a fatica e mossero appena gli occhi in direzione di Tom, quasi fossero consapevoli che la loro sofferenza era giunta al termine.
Tre colpi ruppero il silenzio.
Con della neve, coprì velocemente le cinque carcasse per ridurre il rischio che l’odore del loro sangue e degli organi ancora caldi attirasse qualche animale e tornò verso l’uomo. Si accucciò al suo fianco, appoggiando il winchester sulle ginocchia.
«Come ti chiami?» disse.
Il respiro dell’uomo era ormai ridotto a un rantolo. Con grande sforzo sussurò appena: «Frank».
«Stammi a sentire, Frank» disse. «Vuoi che porti un messaggio a qualcuno? Hai una moglie? Un figlio?».
Frank, ormai troppo sfinito per proferire parola, si limitò a un debole gesto di diniego.
«C’è qualcosa del carico che desideri far avere a qualcuno?».
Frank scosse di nuovo il capo.
Tom gli mise una mano su una spalla. «Mi dispiace per come ti è andata» disse.
Per tutta risposta l’uomo socchiuse gli occhi, tossì, e con uno sforzo oltre ogni limite mormorò qualcosa in modo così flebile che Tom non potè capire. Avvicinò l’orecchio alla bocca dell’uomo e lo invitò a ripetere.
«No lasciarmi qui... così...»
Con un brivido e un groppo in gola Tom si scostò. «Non temere, non lascerò che tu possa diventare cibo per i lupi o per gli orsi» disse.
Pronunciata quella frase, si alzò e arretrò di qualche passo.
L’eco di uno sparo corse rapidamente lungo le piste.
Per qualche istante, Tom rimase a fissare il corpo ormai privo di vita dell’uomo. È triste essere costretti a prendere una decisione del genere riguardo alla vita di un proprio simile, ma Tom non aveva nulla di cui rammaricarsi giacché Frank era stato il principale fautore del proprio destino. Forse per incapacità, forse per inesperienza; poco importava, ormai.
Tom si riscosse. Tornò alla sua slitta, ripose il fucile e prese qualche razione di cibo che distribuì ai propri cani. Li voleva tranquilli e in forze, in grado di lanciarsi ventre a terra verso la loro destinazione non appena avesse finito di seppellire Frank.
Recuperato il piccone prese a scavare una fossa di fianco all’albero dove l’uomo s’era accasciato. L’operazione gli richiese più tempo del previsto, anche a causa delle condizioni del terreno, ghiacciato in profondità. Riuscì comunque a scavare una buca sufficientemente profonda da contenere il corpo dell’uomo e garantirgli, oltre a una degna sepoltura, di non diventare cibo per gli animali selvatici della foresta. Per ulteriore scrupolo, avvolse il corpo dell’uomo nel telo che egli aveva usato per ricoprire la propria slitta, quindi lo adagiò nella buca. Ricoprì la fossa con la terra e uno spesso strato di neve che, una volta ghiacciata, avrebbe fornito un ulteriore riparo al corpo dello sfortunato viaggiatore.
Ma aveva speso molto tempo e non poteva indugiare oltre.
Dalla slitta dell’uomo recuperò per sé, oltre al winchester, una padella e un paio di guanti nuovi. Nient’altro. Non voleva appesantire oltre la sua slitta, già ben carica.
Tirò alla bell’e meglio la slitta di Frank ai margini della pista e lì la abbandonò. Forse qualcosa del carico sarebbe potuta tornare utile a qualche viaggiatore di passaggio.
Delle carcasse dei cani, invece, se ne sarebbe occupato ben presto lo Yukon.
Era ora di ripartire; la notte non avrebbe tardato a scendere e parecchie miglia lo separavano dalla sua destinazione. Si concesse solamente un breve momento coi i sui cani, li accarezzò ad uno ad uno, raccogliendo guaiti di gioia e scodinzolii riconoscenti, poi salì sulla slitta.
«Mush! Avanti!» ordinò. «Portatemi via di qui il più in fretta possibile.»



Fernando Nappo
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Re: La legge dello Yukon

Messaggio#2 » sabato 3 dicembre 2016, 11:03

Un breve commento al racconto, come ormai tradizione nel Camaleonte: purtroppo non sono riuscito a leggere tutti i racconti del testo di riferimento, perciò ho potuto farmi solamente un'idea di massima dello stile di London, nonostante le letture pregresse (Zanna bianca, Il richiamo della foresta e Martin Eden) qualcosa abbiano lasciato. Anche riguardo a tematiche e ambientazioni, sono rimasto vincolato a quelle presenti nei racconti letti; non se se negli altri London proponga tematiche o ambientazioni differenti. Continuerò comunque a leggere i racconti del Grande Nord, di cui mi affascinano le le tematiche e le ambientazioni, e prima o poi affronterò il libro che tengo sul comodino da mesi: il vagabondo delle stelle.
Tornando al racconto, rispetto ai capitoli precedenti, in cui avevo tentato di imitare lo stile di scrittura adattandolo a tematiche e ambientazioni di mia creazione - pur con scarso successo -, in questo caso ho preferito affrontare la sfida al contrario: ho adottao alcune tematiche, quella dell'uomo solo contro la natura e della esigenza di sopravvivere, quella del rispetto della natura stessa, e l'ambientazione, sperando di essere riuscito almeno in parte a riprodurre la capacità di London di descrivere i grandi ambienti immacolati e silenziosi delle regioni del Grande Nord.
Riguardo al lessico, mi sono tenuto alla lontana da descrizioni troppo tecniche - fatto salvo un riferimento alle tirelle delle slitte, che comunque non è un termmine così inusuale e specifico, e alla definizione di musher (il conducente di slitte) benché London non vi faccia mai riferimento nel testo di riferimento. Ho cercato qualche immagine evocativa, spero giunga ai lettori, e, da questo punto di vista, poco altro.
Quello che più di tutto ho cercato di fare è stato di seguire un consiglio di London preso dal suo prontuario, ovvero cercare in ogni modo di nascondere lo scrittore e lasciare spazio al racconto. Spero di esserci riuscito.
A rileggerci.

Edit: ho scordato di dire che troverete qualche ripetizione di parole, talvolta nella stessa frase, tavolta in frasi vicine. L'ho trovato in alcuni racconti; nonostante non possa dire se si tratti davvero di un'abitudine di London o di una questione legata alla traduzione, l'ho mantenuta (cosa per me non difficile, visto che tendo a farlo già di mio).
Adesso basta davvero. Vado a leggere gli altri racconti.

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maria rosaria
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Re: La legge dello Yukon

Messaggio#3 » martedì 6 dicembre 2016, 17:49

Ciao Fernando.
Sei riuscito, a mio avviso, a scrivere un racconto che molto somiglia a un racconto scritto da Jack London.
Hai scritto nel commento qui sopra:

Fernando Nappo ha scritto:in questo caso ho preferito affrontare la sfida al contrario: ho adottato alcune tematiche, quella dell'uomo solo contro la natura e della esigenza di sopravvivere, quella del rispetto della natura stessa, e l'ambientazione, sperando di essere riuscito almeno in parte a riprodurre la capacità di London di descrivere i grandi ambienti immacolati e silenziosi delle regioni del Grande Nord.


Be', secondo me sei riuscito benissimo nel tuo intento.
Benchè io abbia adottato un'ambientazione diversa (per mia scelta) da quelle tipiche londoniane devo ammettere che le tue descrizioni e la tua storia mi hanno calato perfettamente in quell'ambientazione tipica di Jack London in cui la natura la fa da padrona ma un posto di rilievo lo ha anche quella durezza degli uomini che banalmente potrei sintetizzare in un "mors tua vita mea".
Nella tua storia non c'è spazio per i sentimentalismi, si lotta per la sopravvivenza, uomini e cani accomunati dallo stesso destino e dalla stessa voglia di raggiungere una meta, una destinazione. La pietà ferma l'uomo quel tanto che basta per renderlo diverso dalle bestie, ma poi si tira avanti che la strada è lunga e il clima inclemente.
Sì, mi è piaciuta molto la tua storia, finale compreso che ho trovato azzeccatissimo.
Complimenti!
:-)
Maria Rosaria

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AmbraStancampiano
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Re: La legge dello Yukon

Messaggio#4 » venerdì 9 dicembre 2016, 19:58

Ciao Fernando,
la mimesi nel tuo racconto funziona alla perfezione: potrebbe appartenere benissimo a una qualsiasi raccolta di London sul grande nord.
La storia non è molto originale, ma dipingi egregiamente bene il quadro del Grande Nord, la durezza della vita, i ghiacci freddi come le persone. Secondo me è un ottimo lavoro!
Ho trovato l'incipit davvero molto ben scritto, e funziona bene nella sua dimensione introduttiva, ma secondo me passi poi all'azione e al vivo del tuo racconto in maniera un po' troppo brusca, senza segnalare il passaggio neanche con un rigo bianco. Ecco, questa è l'unica imperfezione che ci trovo.
Per il resto, la storia fila e i termini tecnici (pochissimi) che hai scelto di usare sono ottimamente inseriti nel testo, il racconto sebben molto lineare affronta una tematica interessante e molto londoniana e tutto mi sembra perfettamente costruito :)
Qui giace il mio cervello, che poteva fare tanto e ha deciso di fare lo stronzo.

valter_carignano
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Re: La legge dello Yukon

Messaggio#5 » sabato 10 dicembre 2016, 20:50

ciao
racconto indubbiamente con vicenda londoniana che di più non si può, un plauso assoluto per questo e per come ti sei calato nell'ambientazione. In un certo senso, concordo con Ambra riguardo l'incipit e il passare bruscamente da quello all'inizio della vicenda vera e propria, ma per quello che ho letto di London mi sembra ci possa stare, che sia in linea con un certa 'rudezza' di stile che gli è propria.
Invece, a mio modestissimo parere, la prosa a volta è un poco troppo ricercata, o meglio troppo ricca di subordinate e incisi. Mi sembra che London ne faccia meno uso. Ma forse abbiamo letto racconti diversi, semplicemente.
Detto questo, un racconto a mio parere ottimo.

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giuseppe.gangemi
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Re: La legge dello Yukon

Messaggio#6 » domenica 11 dicembre 2016, 17:21

Ciao Fernando,
il tuo racconto va bene. Hai scritto un racconto classico alla London. Sono presenti numerosi aspetti di questo scrittore. Devo ammettere che una delle idee per il racconto che poi non ho postato era simile alla tua, soprattutto per la presenza di un viaggio in slitta.
Forse ti sei attenuto troppo al compito e non hai introdotto qualcosa di nuovo. Il tutto fila un po' troppo come ci si immagina che finisca.
Secondo me dovresti far dire al moribondo qualcosa che costituisca per il tuo protagonista guai futuri. Devi mettere un po' di pepe alla tua storia e un finale con sviluppi ulteriori potrebbe dare qualcosa in più al tuo racconto.
Hai comunque fatto tutto quello che il camaleonte ti chiedeva.
Complimenti.

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Peter7413
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Re: La legge dello Yukon

Messaggio#7 » domenica 11 dicembre 2016, 19:21

Bello, decisamente. Molto Londoniano e con in più una storia che, nella sua semplicità, contiene in se una grande forza. Ben resa anche l'ambientazione, ma ti chiedo: per seminare un po' d'Italia non è verosimile mettere un italiano emigrato come protagonista? Sono ignorante in materia e non so quanto sia fattibile, ma lo fosse sarebbe da fare, secondo me (e caratterizzarlo attraverso i ricordi della sua terra). Altra questione, quella delle ripetizioni. Attendiamo il responso dei moderatori, ma se fosse davvero solo un problema delle traduzioni credo sarebbe meglio sistemarle, anche perché non ti appartengono, proprio per niente. Per me il migliore di questo Capitolo. Bravo.

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alessandra.corra
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Re: La legge dello Yukon

Messaggio#8 » lunedì 12 dicembre 2016, 13:20

Ciao Fernando,

ahimé, con gran ritardo arrivo finalmente a commentare anche io...
Comincio con il tuo racconto che ho trovato molto ben costruito, preciso e interessante per tanti aspetti. Soprattutto è davvero molto aderente alle tematiche di Jack London.
La trama riesce a essere avvincente e si legge con piacere. Evoca in modo molto oggettivo le atmosfere del Grande Nord, senza esplicitare giudizi di alcun tipo, ma raccontando in modo credibile e diretto la lotta dell'uomo per la sopravvivenza in un ambiente ostile, il rapporto tra l'uomo e i cani e la morte che che arriva senza preavviso forse per chi ha troppo sottovalutato la natura e le sue leggi.
Forse per gusto personale avrei preferito una storia più originale, calata in un contesto più vicino al tuo, preso da un'esperienza conosciuta e vissuta direttamente.
London, infatti, per scrivere i suoi racconti si calava in esperienze che aveva vissuto in prima persona, o raccontava esperienze di persone da lui conosciute. Credo che la grandezza della sua opera derivasse proprio dalla sua capacità di osservare ciò che lo circondava, la realtà intorno a lui, riuscendo in secondo tempo a elaborare il tutto nelle sue grandi storie.
Ma a parte questa considerazione, puramente soggettiva, è un buon lavoro, ben scritto e ben strutturato. Complimenti.

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Lo Smilodonte
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Re: La legge dello Yukon

Messaggio#9 » giovedì 22 dicembre 2016, 11:05

Ciao Fernando. Taglio corto perché davvero, ho pochissimi appunti da fare. Il tuo racconto è - nell'ottica della mimesi allo stile e ai temi di London - perfetto. Sono davvero soddisfatto di tutto, e già il primo paragrafo mi segnalava che eri perfettamente instradato. Hai fatto bene a limitare il gergo tecnico perché nei racconti del nord è di solito molto limitato, cosa che non accade invece nei racconti di mare dove Jack, amante delle imbarcazioni, si lasciava andare a complicatissime descrizioni. Molto, molto bene anche la durezza delle condizioni descritte, il contrasto quasi "etico" (ed è questo un aspetto importantissimo) tra i due: lo sprovveduto Frank soccombe e non sarebbe potuto essere altrimenti (ricordo ancora la scena de "il richiamo della foresta" dove la slitta di cercatori improvvisati e resi ancora più deboli dai litigi interni finisce per affondare nel ghiaccio, unico epilogo per degli inadatti alla sopravvivenza come loro), mentre Tom, che ama i propri cani, li nutre con affetto e dai quali viene ricambiato con l'amore che riveli con eccezionale tempismo nella penultima frase, non può che sopravvivere. È l'adamantina logica di London (che sostiene anche quando sembra il contrario; basti pensare a Martin Eden che, nonostante il superuomo che contiene in sé e che riesce a esprimere con la fatica e lo sforzo, viene sopraffatto da una società non adatta a lui) condensata. Gli appunti: Tom è fin troppo premuroso (sono diversi i passaggi in cui London fa abbandonare corpi di amici in mezzo alla neve - vedi Love of Life) ma trattandosi di un personaggio nel pieno delle proprie forze è comunque comprensibile. Ottimo invece l'atto di pietà verso i morenti. Che dire, lavoro svolto davvero bene: il racconto non è certo fantasioso né originale, ma d'altronde non era questa la richiesta; ti sei concentrato sul tema e sullo stile, e hai toccato i punti giusti. Infine un appunto su quanto detto da Alessandra: è vero, per raggiungere il top avreste dovuto fare riferimento a esperienze d'avventura vissute in prima persona, come faceva spesso London. Mi rendo anche conto che nessuno, ormai, vive più certe situazioni, quindi mi sento di passare tranquillamente sopra a questo aspetto :)

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lordmax
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Re: La legge dello Yukon

Messaggio#10 » giovedì 22 dicembre 2016, 21:24

Un racconto incentrato sulla denuncia sociale e sulla durezza dei partecipanti, ottima scelta.
Ovviamente l'ambientazione scelta è una delle preferite di London, ho però sentito la mancanza della lotta contro la natura sempre presente nei suoi racconti.
benché sia presente la durezza dell'ambiente, l'ineluttabilità della situazione e la conseguente durezza del protagonista, questi sembra perfettamente adattato all'ambiente in cui si muove, sicuro di sé e perfetto nelle sue decisioni, tanto che sembra la natura gli venga in aiuto facendogli trovare l'altro uomo.
Anche il commento "Dalla slitta dell’uomo recuperò per sé, oltre al winchester, una padella e un paio di guanti nuovi. Nient’altro. Non voleva appesantire oltre la sua slitta, già ben carica." dimostra come lui non stia combattendo la natura ne la sua personale ne quella esterna ma anzi è perfetto in questa situazione, pronto e ricco di risorse.
Il moribondo non dice nulla di utile alla scena, non pone un dilemma al protagonista che si muove tranquillo e preparato mentre quasi sempre nei racconti londoniani il dilemma morale è motore di trama.
L'incipit è molto interessante e molto londoniano la parte finale un po' meno
Il racconto è bello, prende e interessa manca proprio solo quel pizzico di pepe che lo possa lanciare oltre, sicuramente un lavoro pubblicabile con poche correzioni.

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