Airone Verde - Andrea Partiti
Inviato: martedì 22 novembre 2016, 0:30
L’età del digiuno, tra la mia gente, arriva attorno ai nove anni.
I miei genitori non mi avevano preparato: temevano di spaventarmi. Quando i miei nonni vennero a prendermi, nei primi giorni d’estate, mi dissero di fidarmi e seguirli.
Mi portarono nella capanna rituale, c’erano altri quattro ragazzi come me, già in attesa. Quella sera mangiammo mais e fagioli e bevemmo da una zucca piena d’acqua.
Quando le pance furono tese, la nonna spiegò che all’alba sarebbe iniziato il digiuno rituale. Dieci giorni senza cibo e con poca acqua, in cui avremmo aspettato un sogno che ci avrebbe rivelato il nostro nome e il nostro dono.
Passarono tre giorni in cui giocammo e ci osservammo a vicenda diventare più inquieti e affamati, ma ci sostenemmo per non cedere, per orgoglio.
La notte del quarto giorno mi alzai, uscii dalla capanna e, trovate le scorte di cibo, mi saziai. Non potevo farla franca: la mia pelle era lucida e grassa per la trasgressione. Non fui punito, ma i miei dieci giorni ricominciarono da capo.
— Riceverai in sogno degli spiriti, ti offriranno dei doni, — disse la nonna, — rifiuta i primi, sono spiriti deboli che vogliono ingannarti. Conservati per quando la sofferenza richiamerà gli spiriti nobili.
Costruimmo feticci di legno e stoffa, perché gli spiriti trovassero noi senza nome; perché ci vedessero per la prima volta. Li appendemmo agli alberi sulla capanna rituale, dove ormai giacevamo inerti ora dopo ora.
Per tre giorni non sognai. Chiudevo gli occhi alla sera e li riaprivo al mattino. La quarta notte del mio nuovo digiuno mi si presentò un condor dorato. Mi offrì ricchezza e fortuna, ma rifiutai, ricordando i consigli ricevuti. Il condor volò via, lasciandomi solo.
Raccontai alla nonna dell’offerta e senza commentare annuì per approvare la mia decisione: — Il condor ti avrebbe portato alla rovina, ha ingannato molti giovani in passato.
Il settimo giorno mi si presentò un piviere. Stringeva nel becco un verme rosso e pulsante. Mi offrì una vita senza mai fame né sete. Ma io rifiutai, perché sentivo che voleva ingannarmi usando i crampi che sentivo anche nel sogno.
La nonna commentò, al mattino: — Hai fatto bene a rifiutare, se conosci la tua terra, non sarai mai senza cibo né acqua.
La nona notte arrivò il mio spirito, un enorme uccello che scese planando: non lo riconobbi tanto era grande. Mi offrì una vita lunga e senza malattie, e prontamente accettai, perché sentivo che non voleva ingannarmi. Salii sul suo dorso e volammo con migliaia di altri uccelli di ogni forma. Alcuni portavano ragazzi sul dorso, altri erano soli. Volammo fino all’estremo est della terra, poi all’estremo ovest. Tornammo alla capanna e scesi.
Mi disse di osservarlo mentre se ne andava e solo allora riconobbi il grande Airone Verde.
Appena sveglio raccontai del dono che avevo accettato. La nonna sorrise soddisfatta, perché era un dono raro e prezioso. Mi chiamai Airone Verde, da quel giorno, per onorare, nei molti anni di vita che mi attendevano, lo spirito che mi scelse.
I miei genitori non mi avevano preparato: temevano di spaventarmi. Quando i miei nonni vennero a prendermi, nei primi giorni d’estate, mi dissero di fidarmi e seguirli.
Mi portarono nella capanna rituale, c’erano altri quattro ragazzi come me, già in attesa. Quella sera mangiammo mais e fagioli e bevemmo da una zucca piena d’acqua.
Quando le pance furono tese, la nonna spiegò che all’alba sarebbe iniziato il digiuno rituale. Dieci giorni senza cibo e con poca acqua, in cui avremmo aspettato un sogno che ci avrebbe rivelato il nostro nome e il nostro dono.
Passarono tre giorni in cui giocammo e ci osservammo a vicenda diventare più inquieti e affamati, ma ci sostenemmo per non cedere, per orgoglio.
La notte del quarto giorno mi alzai, uscii dalla capanna e, trovate le scorte di cibo, mi saziai. Non potevo farla franca: la mia pelle era lucida e grassa per la trasgressione. Non fui punito, ma i miei dieci giorni ricominciarono da capo.
— Riceverai in sogno degli spiriti, ti offriranno dei doni, — disse la nonna, — rifiuta i primi, sono spiriti deboli che vogliono ingannarti. Conservati per quando la sofferenza richiamerà gli spiriti nobili.
Costruimmo feticci di legno e stoffa, perché gli spiriti trovassero noi senza nome; perché ci vedessero per la prima volta. Li appendemmo agli alberi sulla capanna rituale, dove ormai giacevamo inerti ora dopo ora.
Per tre giorni non sognai. Chiudevo gli occhi alla sera e li riaprivo al mattino. La quarta notte del mio nuovo digiuno mi si presentò un condor dorato. Mi offrì ricchezza e fortuna, ma rifiutai, ricordando i consigli ricevuti. Il condor volò via, lasciandomi solo.
Raccontai alla nonna dell’offerta e senza commentare annuì per approvare la mia decisione: — Il condor ti avrebbe portato alla rovina, ha ingannato molti giovani in passato.
Il settimo giorno mi si presentò un piviere. Stringeva nel becco un verme rosso e pulsante. Mi offrì una vita senza mai fame né sete. Ma io rifiutai, perché sentivo che voleva ingannarmi usando i crampi che sentivo anche nel sogno.
La nonna commentò, al mattino: — Hai fatto bene a rifiutare, se conosci la tua terra, non sarai mai senza cibo né acqua.
La nona notte arrivò il mio spirito, un enorme uccello che scese planando: non lo riconobbi tanto era grande. Mi offrì una vita lunga e senza malattie, e prontamente accettai, perché sentivo che non voleva ingannarmi. Salii sul suo dorso e volammo con migliaia di altri uccelli di ogni forma. Alcuni portavano ragazzi sul dorso, altri erano soli. Volammo fino all’estremo est della terra, poi all’estremo ovest. Tornammo alla capanna e scesi.
Mi disse di osservarlo mentre se ne andava e solo allora riconobbi il grande Airone Verde.
Appena sveglio raccontai del dono che avevo accettato. La nonna sorrise soddisfatta, perché era un dono raro e prezioso. Mi chiamai Airone Verde, da quel giorno, per onorare, nei molti anni di vita che mi attendevano, lo spirito che mi scelse.