L'uomo che perse la testa per un cappello (Troccoli Edition) [4328]
L'uomo che perse la testa per un cappello (Troccoli Edition) [4328]
“Quello è il mio cappello! Lei ha il mio cappello, me lo restituisca!” iniziò così il nostro litigio.
Il mio tono era deciso e fermo eppure quello protese verso di me soltanto una mano vuota.
“Vuol farmi perdere la calma? Non ce la farà!” l’odioso mi guardava attonito, quasi che la colpa non fosse la sua. Era chiaro che volesse provocarmi, perciò continuai con voce più dura ma tranquilla:
“E’ un cappello come tanti, ne vendono a migliaia! Le calza bene, è vero: non le calca troppo le tempie, non le ammacca i riccioli, le dà un tono distinto ed altolocato…” mentre parlavo, vedevo che quel ladro non si scomponeva affatto, anzi quasi si sentiva lusingato dalle mie parole; fu per questo che mi affrettai ad aggiungere, furente “…ma lei resta comunque un gran maleducato!”
E’ da non credere, lo so, eppure quello sbruffone rimase lì, davanti a me, e anzi mi guardava gonfiando le guance, spingeva le scapole in avanti ed agitava l’indice in mia direzione. Scimmiottava! Che insolente! Che delinquente! Non potei più trattenermi:
“Lei è un guerrafondaio, le dico! Un presuntuoso! Un impertinente! Il mio cappello le calza bene ma non le si addice affatto: è cappello da signore e lei è solo un caciarone da osteria!”
“Mi creda, dottore, è andata così. Proprio non mi spiego come adesso il cappello sia qui sulla mia testa! Se ne sarà pentito, lo sciocco!”
Il dottore accavallò le gambe e disse: “Le dico, invece, che quel cappello è sempre stato lì.”
“Ah no, caro mio, questo glielo assicuro! Era sulla testa sua! Gli calzava bene, ma non gli si addiceva.”
Lui strabuzzò gli occhi e soggiunse: “Caro signore, da quanto tempo parla con quello sbruffone?”
“Sapesse…! La prima volta credevo che non parlasse. Mi guardava e stava sempre zitto.”
“E poi?”
“E poi mi parlò. Era di notte ed io mi ero da poco messo a letto. Mi bussò alla finestra e mi disse che potevamo essere amici. Ed io gli credetti! Che stolto!”
Il dottore mi guardò attentamente negli occhi e poi concluse: “Credo che stesse sognando.”
“Suvvia, caro dottore, capisco che la sua scienza le abbia deviato il pensiero, ma so riconoscere se sogno o se son desto! Credevo d’essermi addormentato, è vero, ero stanco ed ero a letto ma poi quello bussò ed io ci parlai.”
Il dottore sembrava, adesso, irrequieto, stufo del mio continuo parlare: “E poi che cosa successe?”
“Poi mi svegliai.”
Il dottore strabuzzò nuovamente gli occhi, incredulo: “Allora stava sognando!”
“Dottore, non so. Ora che ci penso, io già ero sveglio e parlavo alla finestra, eppure poi mi son svegliato sotto le coperte, ed era mattino e non più notte, all’improvviso.” mi aveva confuso.
“Sognava, le dico. E poi? Quando vi siete rivisti?”
“Tante volte! Aveva i miei stessi gusti ed interessi: si tagliava persino i capelli come me, e dal mio stesso barbiere!”
Sorrise: “E questo le piaceva?”
“All’inizio. Poi cominciò ad infastidirmi.”
“E perché mai?”
“Perché, dottore, voleva tutto quello che volevo io e non ci toglieva gli occhi di dosso finché non ce li toglievo anch’io. Un giorno, in pasticceria, si fiondò sull’ultimo pasticcino rimasto, proprio quello che anch’io stavo indicando. Lo fece apposta!”
Vedevo il dottore immedesimarsi, finalmente, nel mio racconto ed ero convinto che adesso avesse davvero aperto le orecchie, che avesse cominciato ad ascoltarmi sul serio.
“E lei come reagì?”
“Sbuffai ed andai via. Da allora mi fa scherzi fastidiosi, come quello del cappello: che prima me l’ha rubato e poi me l’ha rimesso in testa facendomi passare per matto! E’ per questo che sono venuto qui da lei, dottore: perché mi dica che non sono matto!”
Il dottore rimase impalato a guardarmi, poi aggrottò le sopracciglia, si grattò il naso e si mise a pensare. Pensò a lungo mentre mi fissava, teneva la bocca chiusa e mi guardava con sguardo indagatore. All’improvviso sbadigliò ed io non riuscii ad evitare di sbadigliare a mia volta. Infine mi disse:
“Amico mio, le dirò una cosa che la sorprenderà. Il ladro di cappelli altri non è che lei stesso: da giorni lei litiga con il suo specchio.”
“…e mentre diceva questo, professore, glielo giuro: si grattò il capo e, per farlo, sollevò dalla sua testa il mio cappello! Era il mio! Ne sono certo!
Dica ai miei figli di non preoccuparsi, per favore: quelli mi credono matto! Per questo mi hanno portato qui: credono davvero che io abbia perso la testa per un cappello.”
Il mio tono era deciso e fermo eppure quello protese verso di me soltanto una mano vuota.
“Vuol farmi perdere la calma? Non ce la farà!” l’odioso mi guardava attonito, quasi che la colpa non fosse la sua. Era chiaro che volesse provocarmi, perciò continuai con voce più dura ma tranquilla:
“E’ un cappello come tanti, ne vendono a migliaia! Le calza bene, è vero: non le calca troppo le tempie, non le ammacca i riccioli, le dà un tono distinto ed altolocato…” mentre parlavo, vedevo che quel ladro non si scomponeva affatto, anzi quasi si sentiva lusingato dalle mie parole; fu per questo che mi affrettai ad aggiungere, furente “…ma lei resta comunque un gran maleducato!”
E’ da non credere, lo so, eppure quello sbruffone rimase lì, davanti a me, e anzi mi guardava gonfiando le guance, spingeva le scapole in avanti ed agitava l’indice in mia direzione. Scimmiottava! Che insolente! Che delinquente! Non potei più trattenermi:
“Lei è un guerrafondaio, le dico! Un presuntuoso! Un impertinente! Il mio cappello le calza bene ma non le si addice affatto: è cappello da signore e lei è solo un caciarone da osteria!”
“Mi creda, dottore, è andata così. Proprio non mi spiego come adesso il cappello sia qui sulla mia testa! Se ne sarà pentito, lo sciocco!”
Il dottore accavallò le gambe e disse: “Le dico, invece, che quel cappello è sempre stato lì.”
“Ah no, caro mio, questo glielo assicuro! Era sulla testa sua! Gli calzava bene, ma non gli si addiceva.”
Lui strabuzzò gli occhi e soggiunse: “Caro signore, da quanto tempo parla con quello sbruffone?”
“Sapesse…! La prima volta credevo che non parlasse. Mi guardava e stava sempre zitto.”
“E poi?”
“E poi mi parlò. Era di notte ed io mi ero da poco messo a letto. Mi bussò alla finestra e mi disse che potevamo essere amici. Ed io gli credetti! Che stolto!”
Il dottore mi guardò attentamente negli occhi e poi concluse: “Credo che stesse sognando.”
“Suvvia, caro dottore, capisco che la sua scienza le abbia deviato il pensiero, ma so riconoscere se sogno o se son desto! Credevo d’essermi addormentato, è vero, ero stanco ed ero a letto ma poi quello bussò ed io ci parlai.”
Il dottore sembrava, adesso, irrequieto, stufo del mio continuo parlare: “E poi che cosa successe?”
“Poi mi svegliai.”
Il dottore strabuzzò nuovamente gli occhi, incredulo: “Allora stava sognando!”
“Dottore, non so. Ora che ci penso, io già ero sveglio e parlavo alla finestra, eppure poi mi son svegliato sotto le coperte, ed era mattino e non più notte, all’improvviso.” mi aveva confuso.
“Sognava, le dico. E poi? Quando vi siete rivisti?”
“Tante volte! Aveva i miei stessi gusti ed interessi: si tagliava persino i capelli come me, e dal mio stesso barbiere!”
Sorrise: “E questo le piaceva?”
“All’inizio. Poi cominciò ad infastidirmi.”
“E perché mai?”
“Perché, dottore, voleva tutto quello che volevo io e non ci toglieva gli occhi di dosso finché non ce li toglievo anch’io. Un giorno, in pasticceria, si fiondò sull’ultimo pasticcino rimasto, proprio quello che anch’io stavo indicando. Lo fece apposta!”
Vedevo il dottore immedesimarsi, finalmente, nel mio racconto ed ero convinto che adesso avesse davvero aperto le orecchie, che avesse cominciato ad ascoltarmi sul serio.
“E lei come reagì?”
“Sbuffai ed andai via. Da allora mi fa scherzi fastidiosi, come quello del cappello: che prima me l’ha rubato e poi me l’ha rimesso in testa facendomi passare per matto! E’ per questo che sono venuto qui da lei, dottore: perché mi dica che non sono matto!”
Il dottore rimase impalato a guardarmi, poi aggrottò le sopracciglia, si grattò il naso e si mise a pensare. Pensò a lungo mentre mi fissava, teneva la bocca chiusa e mi guardava con sguardo indagatore. All’improvviso sbadigliò ed io non riuscii ad evitare di sbadigliare a mia volta. Infine mi disse:
“Amico mio, le dirò una cosa che la sorprenderà. Il ladro di cappelli altri non è che lei stesso: da giorni lei litiga con il suo specchio.”
“…e mentre diceva questo, professore, glielo giuro: si grattò il capo e, per farlo, sollevò dalla sua testa il mio cappello! Era il mio! Ne sono certo!
Dica ai miei figli di non preoccuparsi, per favore: quelli mi credono matto! Per questo mi hanno portato qui: credono davvero che io abbia perso la testa per un cappello.”
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Re: L'uomo che perse la testa per un cappello (Troccoli Edition)
Rileggo con piacere questo tuo racconto scoppiettante, diviso fra sogno e realtà (il tuo protagonista sbadiglia e dice al medico di aver parlato con il persecutore alla finestra, per poi essersi svegliato a letto).
Il tuo protagonista è un uomo normale, in apparenza. Si esprime in modo forbito quando si sfoga con il dottore a proposito di un persecutore ossessionato dal suo cappello al punto da volerglielo rubare (e non solo quello, gli prende anche l’ultimo pasticcino rimasto, ma la persecuzione non finisce lì. Gli bussa anche alla finestra, chiedendogli amicizia). Il medico razionalizza l’accaduto dicendogli che in realtà, il persecutore non esiste (aggiunge di aver visto il protagonista litigare con lo specchio). Questo provoca la reazione del protagonista (il dottore gli ha rubato il cappello, quindi il persecutore è lui) e il conseguente ricovero presso un professore, al quale racconta del persecutore misterioso. Hai voluto scrivere una storia pirandelliana, che si rivela un circolo vizioso (per quanti professori cambierà, il protagonista vedrà in tutti loro il misterioso persecutore). Come spunto è valido, ma lo legherei meglio all’idea di fondo della paura del protagonista di vedersi soffiare il cappello (ossia specificherei che…il furto del dolcetto è una scusa per distrarlo e rubargli il cappello appoggiato al vassoio…che il bussare alla finestra è una scusa per sgraffignargli il cappello e anche il fatto di andare dallo stesso barbiere può essere visto dal protagonista come una scusa per rubare il cappello…si sedeva accanto a lui e si faceva tagliare i capelli come lui tenendo d’occhio il cappello).
Attenzione alla vicinanza fra pasticcino e pasticceria (scriverei bigné, petit four, sfogliatella, o un altro tipo di piccolo dolce per evitarla).
Aspetto notizie
Il tuo protagonista è un uomo normale, in apparenza. Si esprime in modo forbito quando si sfoga con il dottore a proposito di un persecutore ossessionato dal suo cappello al punto da volerglielo rubare (e non solo quello, gli prende anche l’ultimo pasticcino rimasto, ma la persecuzione non finisce lì. Gli bussa anche alla finestra, chiedendogli amicizia). Il medico razionalizza l’accaduto dicendogli che in realtà, il persecutore non esiste (aggiunge di aver visto il protagonista litigare con lo specchio). Questo provoca la reazione del protagonista (il dottore gli ha rubato il cappello, quindi il persecutore è lui) e il conseguente ricovero presso un professore, al quale racconta del persecutore misterioso. Hai voluto scrivere una storia pirandelliana, che si rivela un circolo vizioso (per quanti professori cambierà, il protagonista vedrà in tutti loro il misterioso persecutore). Come spunto è valido, ma lo legherei meglio all’idea di fondo della paura del protagonista di vedersi soffiare il cappello (ossia specificherei che…il furto del dolcetto è una scusa per distrarlo e rubargli il cappello appoggiato al vassoio…che il bussare alla finestra è una scusa per sgraffignargli il cappello e anche il fatto di andare dallo stesso barbiere può essere visto dal protagonista come una scusa per rubare il cappello…si sedeva accanto a lui e si faceva tagliare i capelli come lui tenendo d’occhio il cappello).
Attenzione alla vicinanza fra pasticcino e pasticceria (scriverei bigné, petit four, sfogliatella, o un altro tipo di piccolo dolce per evitarla).
Aspetto notizie
Re: L'uomo che perse la testa per un cappello (Troccoli Edition) [4328]
Ciao Claudia,
non potevo venire a dare una sbirciatina al laboratorio senza fare il tifo per te, dal momento che nella mia classifica eri in terza posizione.
Il racconto continua a piacermi e lo trovavo leggibile ed efficace anche nella versione di quasi-solo-dialogo. A mio modesto parere, si trattava di un esperimento riuscito, soprattutto in un racconto così breve.
Ovviamente chiedo la grazia.
non potevo venire a dare una sbirciatina al laboratorio senza fare il tifo per te, dal momento che nella mia classifica eri in terza posizione.
Il racconto continua a piacermi e lo trovavo leggibile ed efficace anche nella versione di quasi-solo-dialogo. A mio modesto parere, si trattava di un esperimento riuscito, soprattutto in un racconto così breve.
Ovviamente chiedo la grazia.
- maria rosaria
- Messaggi: 687
Re: L'uomo che perse la testa per un cappello (Troccoli Edition) [4328]
Ciao!
Non ho partecipato alla Troccoli edition e quindi per me questa è la prima volta che leggo il racconto.
Mi è piaciuto molto, mi ha anche divertito. Son d'accordo con Alexandra quando scrive che la storia ha un sapore vagamente pirandelliano.
Ho avuto un lieve disagio iniziale per capire chi diceva cosa, per comprendere chi avesse rubato il cappello e chi ne fosse il propietario però a una seconda lettura questo problema era già svanito.
Il resto del racconto è scorrevole e gustoso.
La figura del dottore rimane un po' asettica e fredda, ma forse questo è un effetto voluto.
Un plauso anche per il titolo divertente e azzeccato.
Quindi CHIEDO LA GRAZIA!
Non ho partecipato alla Troccoli edition e quindi per me questa è la prima volta che leggo il racconto.
Mi è piaciuto molto, mi ha anche divertito. Son d'accordo con Alexandra quando scrive che la storia ha un sapore vagamente pirandelliano.
Ho avuto un lieve disagio iniziale per capire chi diceva cosa, per comprendere chi avesse rubato il cappello e chi ne fosse il propietario però a una seconda lettura questo problema era già svanito.
Il resto del racconto è scorrevole e gustoso.
La figura del dottore rimane un po' asettica e fredda, ma forse questo è un effetto voluto.
Un plauso anche per il titolo divertente e azzeccato.
Quindi CHIEDO LA GRAZIA!
Maria Rosaria
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