GOLDONI

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Numa
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Messaggio#1 » venerdì 10 marzo 2023, 0:51

GOLDONI
1
Nell’età dei sogni ancora, in dormiveglia. Nel cortile c’è un’aria di mosche che sussurra.
«Sì, è bello…»
Il sole è sul pavimento, e quell’aria profuma, e sento:
«…e anche coi goldoni è bello…»
La grammatica non c’è, le mosche non parlano…di teatro poi? Mi accosto alle gelosie socchiuse: l’aria calda spira dal giardino, è odorosa di limoni, di fichi asciugati al sole, e la voce giunge a tratti.
«…e con la bocca…»
È Raffaele,
«…non so come …»
dice piano.
Un riso trattenuto risponde:
«…beato te…no... macché casino.»
È Carmine, e ridono. Vanno a governare la giumenta che l’altra sera ha partorito.
Pensai di aver capito. Non tutto, ma avevo capito. E sentii allora come un languore che partiva, lì alla bocca dello stomaco.
Spalancai le gelosie all’allegria del giorno nuovo, nella casa di campagna, da mio nonno.

2
Lei abitava, allora, in una strada stretta, dietro al palazzo dei miei nonni. Mi attraevano i capelli biondi, la magrezza ed il suo seno, seni accostati e rigonfi; e il suo nome, Ildegarda. Mi aveva colpito subito per le labbra e quelle occhiaie alla Jean Moreau. Era più grande di me. E poi non mi guardava: ed ero certo che fingesse. E perciò mi piaceva anche di più. Proprio per questo Roberto, il mio compagno di banco e di baldorie mi prendeva in giro. E mi rodeva, all’uscita del Liceo, vederla salire sulla vespa di uno, come lei, dell’ultimo anno. Ci conoscemmo proprio al suo Mac π 100. Non per caso: avevo pagato il triplo per avere un biglietto che m’assicurava di sedermi al suo stesso tavolo. Quella serata finì in rissa. Tra me e lei sarebbe finita, dopo qualche tempo, con qualche lacrima.
Fu proprio lei che mi disse di comprarli. Li chiamò goldoni. Quel giorno ebbi la sensazione d’essere diventato adulto, senza vergogna.
E mi sbagliai.
Provai imbarazzo e vergogna due giorni dopo.
Non dimenticherò mai. Eravamo nella mia stanza.
Il viso di mio padre era arrabbiato, ma, agli angoli dei suoi occhi, c’era un sorriso.
«Allora!»
esclamò, ed aprì il cassetto dello scrittoio, invitandomi con un cenno a guardare.
«Almeno stai attento!»
Come la coda colorata di un aquilone, un nastro di preservativi era disteso sul contenuto del cassetto. Mi chiesi, ricordo, se si riferisse alla mia poca attenzione nel celarli o alla necessaria attenzione per utilizzarli.
«Ora siediti qui, un po’. E stammi a sentire.»
E dopo. Dopo, lo sguardo afflitto di mia madre. Di rimprovero e di turbamento. E di preoccupazione. Come un addio. Ma nessuna parola. Per non guardarla negli occhi -avrei pianto- mi voltai verso il balcone.
Pensai di aver capito. Non tutto, ma avevo capito.
Fuori nel giardino, dagli alberi, un vento di disordine staccava le ultime foglie.

3
Con tutte le sue tinte Forcella è qui, e mi circonda. I suoi piccoli vicoli, come affluenti, ingombri di panchette multicolori, in alto i panni stesi fra finestre e palazzi, una confusione di tinte, e dappertutto in continuo le sue voci. E ingarbugliati sono anche i miei pensieri:
«…spiegami meglio… e spiega, no!»
«… sì, Robe’, alla fine mi ha detto proprio queste precise parole!: “Hai capito?”, …manco io fossi un deficiente…, sì…sì ha cinque anni più di me, e allora? …vabbe’, ma che c’entra, … è una fatalità!»
«…se, se… c’entra, c’entra…è sempre la stessa storia, ’na fissazione la tua!»
«evvabbe’ Robe’, ma che cazzo!»

Mi ero sfilato i guanti di lattice, li avevo gettati con rabbia nel bidone in acciaio. Fossette e fori cranici, inserzioni e passaggi di nervi ormai non hanno più segreti, nessun dubbio. Perfetto. E così muscoli del braccio e della spalla; e allora che ci sto a fare ancora qui? ...già!, mi ero ritrovato con il bisturi a sminuzzare, con indifferenza, …proprio io!, un pezzo di una povera vecchia e a spingerne i ritagli nei fori del tavolo autoptico…e che cazzo! …E questo perché lei mi ha detto: “Hai capito?”
Fanculo! Ma se lo sanno tutti!
Avevo detto a Roberto di risistemarli lui nel frigo i pezzi anatomici, avevo riposto bisturi e camice nell’armadietto e salutato Anastasio, solo con un cenno. E lui, l’onnipotente custode della sala anatomica -sicuramente mi teneva d’occhio- mi aveva raggiunto, trafelato, sulle scale:
«Guardate che il professore vostro nonno mi ha detto che vi aspetta, dopo la lezione, nel suo studio. Gesù… ma è vero!... sempre di più, siete proprio due gocce d’acqua!»
Passai, camminando in punta di piedi, davanti allo studio di mio nonno, è capace di riconoscere il mio passo e così i miei pensieri; si sentivano delle voci; vi trascorre molte più ore da quando è rimasto solo. E sono andato via.
Dopo San Biagio dei Librai, eccomi a Forcella. Un milione di colori sulle bancarelle, coperte dai pacchetti di sigarette.
«…Americane! ...Americaa!»
E non solo pacchetti di sigarette, sui panchetti, ci sono anche cumuli ben ordinati di ellissi dorate, con su la scritta Gold One. Sì, i goldoni, certo, i preservativi! Gli uni accanto agli altri. Cauzione e alibi reciproci, uno scambievole salvacondotto sulla veridicità della loro provenienza, per entrambi… io compro Lucky Strike senza filtro!
Ora vi dirò quello che era accaduto quel mattino, a casa di Silvia. Avevo dormito da lei e stavamo prendendo il caffè. Mi dice:
«Non devi più venire qui. Non possiamo continuare a vederci. Non riusciamo nemmeno a studiare come dovremmo. Per l’anno venturo voglio assolutamente finire e le cliniche assorbiranno completamente il mio tempo. Lo penso davvero, almeno per il momento.»
«Almeno per il momento?»
«Non devi venire più. Non voglio; altrimenti … » dice,
«Altrimenti?» dico, e mando giù il caffè,
«Non ti ho mai visto bere il caffè così celere» dice,
«Celermente» dico io,
«Celermente?» chiede lei «cosa vuoi dire?»
«Voglio dire… che facciamo adesso?»
«Se torni ancora, lo dirò a tuo nonno. Hai capito?...»
e ripete
«Hai capito?»
Sì, certo. Sì, ho capito. Come al solito non proprio tutto, ma ho capito.
Sono arrivato. In Piazzetta, all’Antica Osteria. È ora di pranzo.
«Per voi c’è sempre posto, dotto’!»



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