L'uomo del treno

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Andrea Vanacore
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L'uomo del treno

Messaggio#1 » domenica 16 maggio 2021, 22:24

Capitolo I


Dal finestrino gli alberi scorrono con un ritmo ipnotico. La signora accanto a me poggia la testa sul vetro. Di fronte, una coppia si tiene per mano. Lei ha il pancione. Le ginocchia di lui urtano le mie. Mi raddrizzo sullo schienale e poggio un piede oltre il bordo che delimita i sedili dal corridoio. Oggi il vagone è più affollato del solito.
Siamo in arrivo a Monte Sibilla. La voce metallica risuona dagli altoparlanti. Tiro fuori il cellulare dalla tasca: le sette e quarantacinque. Ho ancora tre quarti d’ora per arrivare a lavoro.
Il treno inizia a rallentare. Alcuni trafficano sui sedili e si alzano. Si forma una fila in direzione delle porte. La puzza di sudore aleggia tutt’intorno. È mai possibile che così tanta gente esca senza lavarsi la mattina?
Qualcosa mi schiaccia il piede. Stringo gli occhi e lo ritiro entro il bordo del sedile. Un signore corpulento tiene la sua valigetta marrone a un dito dalla mia faccia. Sicuro non si sarà accorto di niente.
Le porte si aprono, la fila scorre e il vagone si svuota. Sale una manciata di persone. Meno di quante ne siano scese, per fortuna. Un uomo sui sessanta zoppica lungo il corridoio, appoggiato a una stampella. Si avvicina e mi fissa negli occhi attraverso un paio di spesse lenti.
«Si vuole sedere, signore?»
Il suo volto si apre in un sorriso. «Grazie mille. Sa, con questa gamba…»
Mi alzo e faccio un passo indietro. Lui si aggrappa al bordo e si tira su a fatica. Si sistema al mio posto.
Afferro la maniglia accanto al sedile e contrasto la spinta del treno che riparte.
L’uomo si gira verso di me. «Giornata grigia, oggi.»
«Già, è un febbraio piovoso.» Non ho molta voglia di fare conversazione, ma mi pare brutto non assecondarlo.
Accenna un altro sorriso, tira fuori dal borsello un Block Notes e una penna e scribacchia qualcosa in una grafia incomprensibile.
Alzo le sopracciglia. «È uno scrittore?»
L’uomo ridacchia. «Più o meno. Mi piace scrivere racconti ispirati alla vita quotidiana delle persone.» Si guarda intorno. «Per questo amo viaggiare sui treni. C’è sempre tanta varietà di tipi umani da osservare.»
Comincio a incuriosirmi sul serio. «E adesso che sta scrivendo?»
«Oh, la storia di un tale Mario Rossi, un impiegato sui cinquanta.»
Mario Rossi. Curioso, proprio il mio nome. Beh, è talmente comune! Però io ho anche cinquant’anni e sono impiegato. Che strane coincidenze…
L’uomo avvicina il pugno alla bocca e tossicchia. «Sa, ho scelto questo nome perché mi sembrava la quintessenza dell’anonimato, della “normalità” intesa in senso peggiore. È un nome così… insignificante.»
Una piccola fitta di fastidio mi attraversa lo stomaco. Se adesso gli dicessi che mi chiamo Mario Rossi lo metterei in imbarazzo. Meglio di no, non è colpa sua. E poi il mio nome è davvero come dice lui, c’è poco da fare.
Mi costringo a sorridere. «E che cosa succede a Mario Rossi nella sua storia?»
«Devo ancora decidere come va a finire.» L’uomo si sfila gli occhiali e il pulisce con un fazzoletto. «Mario lavora come impiegato in una piccola ditta che vende articoli per la casa. Tutti i giorni percorre lo stesso tragitto in treno, da vent’anni. Il lavoro però non gli dà grandi soddisfazioni. È frustrato. Si trascina nella routine giorno dopo giorno, senza uno scopo.»
Il senso di fastidio si trasforma in inquietudine. Le prime coincidenze potevano essere curiose, certo, ma ora ha tirato fuori anche i viaggi in treno, la ditta che vende articoli casalinghi. È dura ammetterlo, ma anche la frustrazione e la schiavitù della routine fanno parte della mia vita. È come se questo racconto parlasse… di me.
«Tutto ok?» L’uomo mi fissa. Devo essermi incantato per qualche secondo.
«Sì, mi scusi.» Scuoto la testa. «Sono ancora un po’ assonnato. Sa, la sveglia suona presto.»
«Ah, la capisco, la capisco. Le dicevo che il mio protagonista, Mario Rossi, ha anche una moglie, Laura, che lavora alle poste, e un figlio adolescente, Stefano, che tra poco ha la maturità.»
Le gambe mi tremano. Come fa a sapere tutte queste cose? Come conosce il nome di mia moglie e di mio figlio? C’è qualcosa di sbagliato…
Si schiarisce la voce. «In realtà lui vuole bene alla sua famiglia, solo che col tempo si è raffreddato. È tiepido con la moglie e col figlio riesce a malapena a scambiare due parole. Ma come in ogni storia, a un certo punto Mario sarà messo di fronte a una scelta, e allora si vedrà di che pasta è fatto.»
I battiti del mio cuore accelerano. «C-che tipo di scelta?»
«Oh, non ho ancora deciso. Ho scritto solo la prima parte del racconto.»
Siamo in arrivo a Monte Verità. La voce metallica echeggia di nuovo. Il treno comincia a rallentare.
L’uomo afferra la stampella e la pianta in mezzo al corridoio. «Beh, io sono arrivato. Grazie mille per il posto e per la bella chiacchierata!»
Abbasso gli occhi. «Di niente, si figuri.»
L’uomo si avvia alla porta, seguito da una manciata di persone.
Gira la testa e mi fa un cenno col mento. «Magari ci rincontreremo, un giorno di questi. Così potrò raccontarle il finale della storia.»
Faccio un sorriso stiracchiato e annuisco.
Spero davvero di non incontrarlo mai più.

***

Un sole pallido fa capolino attraverso la finestra dell’ufficio. Mi stiracchio sulla poltrona davanti alla scrivania.
Il posto di fronte al mio è sempre vuoto. Tiziano non si fa vivo ormai da più di tre mesi. Non so perché abbia deciso di mettersi in aspettativa.
Certo, avere l’ufficio tutto per me non è male, ma dopo un po’ mette tristezza passare le giornate senza scambiare due chiacchiere con nessuno.
Un rumore di passi proviene dal corridoio. Si fa più vicino. Gregorio compare sulla soglia, nel suo smoking impeccabile. Sembra che sia nato in giacca e cravatta. Chiunque capirebbe che è il capo alla prima occhiata.
Mi guarda con la sua solita espressione grave. «Mario, puoi venire un momento nel mio ufficio?»
Che vorrà adesso? Qualche rottura di scatole, sicuro.
Annuisco, mi alzo. Lui si volta e si avvia lungo il corridoio. Mi richiudo la porta alle spalle e lo seguo.
Gregorio entra nel suo ufficio e m’invita a sedermi con un cenno della mano. Mi accomodo sulla poltrona di fronte alla scrivania. Lui pesca un grosso blocco di fogli A4 rilegati ad anelli, me lo piazza davanti e si siede a sua volta.
Una pellicola trasparente protegge la prima pagina del tomo.
Mi sporgo a leggere il titolo. «Legislazione aziendale.» Sorrido. «Immagino siano dispense da studiare per qualche test.»
Gregorio solleva lo sguardo. «Legislazione aziendale è solo la prima parte. Poi ci sono i protocolli di sicurezza e le pratiche anticorruzione. Un bel malloppo, come vedi.»
Annuisco. Non ho ancora capito dove voglia andare a parare.
Si gratta un orecchio e impugna una matita.
«L’azienda è in crisi, questo lo sai già… Beh, chi mai non è in crisi oggi in Italia?» Si rigira la matita fra le mani. «C’è bisogno di un taglio al personale. Non dovrei dirtelo, questo, ma penso sia meglio mettere subito le cose in chiaro.»
Fa un’altra pausa. Continuo a non capire dove voglia arrivare.
Prende un respiro profondo.
«C’è almeno una persona di troppo sul libro delle buste paga. Non possiamo più permetterci di pagare gli stipendi a tutti.» Intreccia le dita.
«Perciò il ventuno di marzo sarà somministrato a ogni dipendente un test, che verterà sugli argomenti spiegati in queste dispense.» Batte la mano sulla pellicola che copre il blocco di fogli. «La persona che otterrà il punteggio più basso dovrà andarsene.»
«Ah.» Deglutisco a fatica. Quel mostro di carta… Dovrei essere preparato ad affrontare un test su tutta quella roba nel giro di un mese? Santo Dio…
Gregorio si schiarisce la voce. «Beh, non credo ci sia altro da aggiungere. Puoi tornare al tuo lavoro.»
Faccio per alzarmi dalla sedia.
«Ah, Mario…» Punta la matita contro il bestione ad anelli. «Quello lì è tuo. Puoi portartelo via.»

***

Le mie dita corrono in automatico sulla tastiera. L’ordine di cancelleria è quasi pronto, mancano solo i raccoglitori e qualche risma di carta.
Un mese. Solo un mese ci danno per preparaci al test. È chiaro che vogliono metterci in difficoltà. Forse, se riescono a far sì che i risultati siano un totale sfacelo, avranno una scusa per mandare via più di una persona.
Sono trent’anni che non prendo in mano un libro, a eccezione dei romanzi. Nei test di formazione aziendale mi sono sempre fatto passare le risposte dai secchioni. Come la maggior parte di chi lavora qui, del resto. Ma stavolta non si potrà fare. A tutti verranno distribuiti i fogli con le domande nello stesso momento.
Qualcuno bussa alla porta dell’ufficio.
«Avanti!»
Sbuca il volto di una ragazza. «È permesso?»
Ha lunghi capelli castani e labbra piene. Gli occhi grandi sono adombrati da un filo di occhiaie.
Sorrido e le faccio un cenno con la mano. «Vieni, vieni…»
La ragazza entra. È alta e snella, se non fosse per il pancione che sbuca dal vestito premaman.
«Buongiorno, signor Rossi. Il dottor Capaldi mi ha detto di venire da lei.»
Il dottor Capaldi. È una vita che nessuno chiama Gregorio in quel modo.
«Ti prego, dammi del tu, sennò mi fai sentire vecchio.»
Le scappa un risolino.
Mi alzo dalla sedia e le tendo la mano. «Io sono Mario.»
«Margherita.» Sorride e la stringe. «Sono stata trasferita ora dal piano di sotto. Ho fatto uno stage di due mesi e da tre mesi sono sotto contratto. Il dottor Capaldi mi ha assegnato lei come tutor. Ha detto che nel suo ufficio c’è un posto libero.»
«Ah, sì.» Faccio un cenno verso la scrivania di fronte. «Il mio collega Tiziano è in aspettativa, non si sa ancora quando tornerà. Puoi sistemarti lì, se vuoi.»
Margherita annuisce. C’è qualcosa di strano nel suo sorriso, di forzato. Gli occhi sono arrossati, come se fosse rimasta ore davanti al computer, senza mai fare pausa.
Una lacrima le scende lungo la guancia. Il corpo è scosso da un tremito.
«Va tutto bene?» Le metto una mano sulla spalla. Dio, quanto devo sembrare goffo in questo momento…
Lei annuisce. «S-sì, scusami. Sono solo… gli ormoni. Sai…» Appoggia una mano sulla pancia.
«Certo, certo, non preoccuparti. Aspetta.» Le giro intorno e vado alla scrivania di Tiziano. Prendo la poltrona con le rotelle e la faccio scorrere fino a piazzarla accanto alla mia.
«Ecco, mettiti qui.» Mi risiedo e lei si accomoda vicino a me.
Sorrido. «Allora… ti hanno mai fatto vedere come si fa una richiesta d’acquisto?»

***

Margherita gira il caffè col bastoncino di plastica. Il distributore borbotta e mi avvisa con un bip che è pronto anche il mio.
«È davvero assurdo.» Afferro il bicchiere e butto giù un sorso. Orribile. «Non capisco perché siamo costretti a scendere fino al pian terreno per prendere il caffè. Gliel’ho detto un sacco di volte, a Gregorio, che bisogna installare un distributore anche da noi.»
«Già.» Margherita annuisce e sorseggia il suo caffè.
Sono proprio un gran conversatore, non c’è che dire. Ci manca solo che mi metta a parlare del tempo. La verità è che questa ragazza mi mette a disagio.
«Senti…» Prendo un respiro profondo. «Se c’è qualcosa che ti preoccupa, qualunque cosa sia… Voglio dire, lo so che non mi conosci nemmeno, ma insomma—»
«Ho capito, sì.» Mi getta un’occhiata e si volta dall’altra parte. «Grazie.»
Si strofina le mani e alza lo sguardo al soffitto. Si gira di nuovo e mi fissa dritto negli occhi.
«Vedi, il fatto è che il dottor Capaldi ha detto che ci saranno dei tagli al personale. Mi ha dato da studiare un pacco enorme di dispense e—»
«Sì, lo so. L’ha detto anche a me.» Mi massaggio la fronte con pollice e indice. «Il ventuno marzo ci faranno un test e licenzieranno chi farà la figura peggiore.»
Gli occhi di Margherita si arrossano di nuovo. Tira su col naso e scuote la testa.
«Non sono mai stata una grande studentessa. I miei vivono giù, in Calabria. Ho un monolocale in affitto qui in città e… Lui è scappato via.» Si accarezza il pancione. «È scappato appena ha saputo. Mi ha lasciato sola. Se perdo questo lavoro, io…»
Mi avvicino e le appoggio una mano sulla schiena. «Sta’ tranquilla, non lo perderai.» Accenno un sorriso. «Guarda che ci sono un sacco di somari qui dentro, eh!»
Ride tra le lacrime. «Scusami, devo sembrarti patetica.»
«Ma dai, smettila!»
Fa un respiro profondo. «Devo andare un attimo in bagno. Puoi aspettarmi qui, così torniamo su insieme?»
«Ma certo… fa’ pure con calma.»
Si allontana ed entra nel bagno delle signore.
Merda, che situazione… Gregorio sarebbe capace di licenziarla senza batter ciglio, se il punteggio più basso fosse il suo. Lo conosco bene, il farabutto.
E io? Che succederebbe a me?
Rigiro il cucchiaino di plastica sul fondo del caffè. Cosa farei, se rimanessi senza lavoro? Beh, ho una casa di proprietà e c’è lo stipendio di mia moglie: di fame certo non moriremmo. Stefano sta per terminare gli studi e ha detto che non vuole andare all’università. Anzi, ha già contattato lo zio di quel suo amico, Claudio, perché gli trovi un posto da assistente informatico. È un ragazzo in gamba.
Passeggio avanti e indietro lungo il corridoio. Non è facile trovare lavoro a cinquant’anni, specie di questi tempi. Ma è pur vero che io ho un curriculum niente male e potrei prendermi tutto il tempo necessario per cercarlo…
Come aveva detto l’uomo del treno stamattina? A un certo punto Mario sarà messo di fronte a una scelta, e allora si vedrà di che pasta è fatto. Già. Di che pasta sono fatto, io?
Margherita esce dal bagno e mi viene incontro. È stata molto più rapida di quanto mi aspettassi. Sorride, ma gli occhi sono ancora gonfi.
Le cedo il passo e ci avviamo all’ascensore.
La sua bellezza è la bellezza della gioventù. Il pancione che le gonfia il vestito è il fardello di una vita ancora in sala d’attesa.
È lei il futuro. Io sono il passato, ormai.
Appena arrivo a casa, stasera, quel pacco di dispense finisce dritto nel cestino della carta straccia.



Capitolo II


Mi massaggio le tempie coi polpastrelli. La testa mi sta esplodendo. Abbandono la schiena contro la poltrona della scrivania e chiudo gli occhi.
È stato un massacro, questo test. Un autentico massacro. Mai dovuto affrontare niente di così difficile in vita mia. Del resto me lo dovevo aspettare, visto che ho buttato le dispense senza nemmeno aprirle.
Margherita siede alla scrivania di Tiziano con lo sguardo perso nel vuoto. Chissà che le passa per la testa…
Il pancione è diventato enorme. Ho paura che un giorno o l’altro il bambino deciderà di venir fuori qui in ufficio, senza darle neanche il tempo di correre in ospedale.
Bussano alla porta dell’ufficio.
Margherita avvicina una mano alla bocca e inizia a mordicchiarsi le unghie.
Mi schiarisco la voce. «Avanti!»
Gregorio compare sulla soglia, con la solita espressione di circostanza stampata in faccia.
È il momento della verità. Ora mi dirà che il viaggio finisce qui. Liquidato dopo vent’anni. Spero solo che si sbrighi e non la tiri troppo per le lunghe.
Mi lancia un’occhiata e sposta lo sguardo su Margherita. «Signorina Silvestri, mi dispiace, ma purtroppo risulta che lei abbia totalizzato il punteggio più basso al test.»
Margherita si copre la faccia con le mani e scoppia in un pianto dirotto. La schiena è scossa dai singhiozzi.
Lo stomaco mi si attorciglia. Com’è possibile?
Questo significa che non sarò licenziato, che non dovrò cercarmi un altro lavoro e che mia moglie e mio figlio non saranno costretti a tirare la cinghia.
Gregorio si agita sul posto, a disagio. «Su, signorina, non faccia così…»
Margherita abbandona un braccio sulla scrivania e ci poggia sopra la testa, come se non ce la facesse a reggerla.
Il disgusto per me stesso invade ogni centimetro del mio corpo. Il senso di sollievo si trasforma in vergogna e in rabbia. Sono arrabbiato con me. Sono arrabbiato col mio capo. Sono arrabbiato con l’azienda e coi suoi metodi disumani.
Scatto in piedi. «Perdonami, Gregorio.» Mantengo un tono di voce controllato. «Possiamo parlare un momento nel tuo ufficio?»
Alza le sopracciglia. «Va bene, seguimi.»
Poggio una mano sulla spalla di Margherita. «Scusami, torno subito.»
Lei non dà segno di avermi sentito.
Esco dall’ufficio e seguo Gregorio lungo il corridoio. Si è già sistemato sulla sua scrivania e mi aspetta.
Mi accomodo di fronte a lui. «Adesso mi spieghi come accidenti è possibile.»
Aggrotta le sopracciglia. «Cosa? Che quella ragazza abbia combinato un disastro peggiore di quello che hai fatto tu, dato che non ti sei degnato nemmeno di dare un’occhiata alle dispense?»
Un calore mi risale le guance. Allora l’ha capito.
Mi fissa dritto negli occhi. «Beh, se proprio ci tieni a saperlo… non l’ha fatto.»
«Cosa?»
«Hai sentito bene. Il tuo test è andato peggio del suo.»
«E allora licenzia me!»
«No.» Sbatte un pugno sulla scrivania.
Sospiro. «E potrei sapere perché?»
Il volto di Gregorio si contorce in una smorfia di rabbia. «Perché hai voluto fare il buon samaritano, ecco perché. Ti conosco da vent’anni, Mario. Hai una famiglia sulle spalle, delle responsabilità.»
«La famiglia non è tutta sulle mie spalle. Mia moglie lavora.»
Gregorio sbuffa e alza gli occhi al cielo. «Sta’ a sentire: la ragazza è giovane, troverà un altro lavoro. Molto più facilmente e velocemente di quanto faresti tu.»
«Ma sta per avere un figlio!»
«Come sei melodrammatico… che sarà mai?» Fa un sorrisetto. «E poi è molto carina. Magari troverà un marito che la mantenga.»
Mi alzo di scatto. «Gregorio! Io—»
Scatta su anche lui. «No, Mario, basta così. Ti ho assecondato fin troppo.» Avvicina la faccia alla mia e punta un dito fuori dalla porta. «Te ne vuoi andare? Bene, vattene pure. Ma sta’ certo che questo non servirà a salvare la pivella. Vorrà dire che l’azienda risparmierà su due stipendi al mese, anziché su uno solo.»
Apro bocca per ribattere, ma subito la richiudo. Non ho idea di che cosa rispondere…
Gregorio incrocia le braccia. «Allora, che vuoi fare? Vuoi tenerti il posto o vuoi andartene?»
Abbasso la testa. Che altro potrei fare, a questo punto?
«Voglio tenermi il posto.»

***

Gli alberi scorrono fuori dal finestrino con un ritmo ipnotico. Ho la testa poggiata contro il vetro. Non ricordo di aver mai avuto una giornata peggiore. Non riesco a togliermi dalla testa l’immagine di Margherita che mi stringe la mano, sorride tra le lacrime e mi ringrazia per averla difesa. E senza che io le abbia detto nulla del tentativo di barattare il mio posto col suo.
Quell’idiota di Gregorio… È giovane. Se la caverà. Troverà un marito che la mantenga. Che imbecille. Non mi sorprende che abbia due divorzi alle spalle. Quale donna rimarrebbe accanto a un uomo del genere?
Siamo in arrivo a Monte Verità. La solita voce metallica annuncia la prossima fermata. Giro lo sguardo intorno. Il posto accanto al mio e quelli di fronte sono vuoti. Neanche me n’ero accorto.
Il treno si ferma e le porte si aprono. Salgono due o tre persone. Un tonfo ritmico si fa via via più vicino. Dagli scalini sbuca la sagoma di un uomo sulla sessantina, che cammina reggendosi a una stampella. È lui. È quello con cui ho parlato circa un mese fa, il giorno in cui ho saputo del test, il giorno in cui ho conosciuto Margherita.
Mi giro di nuovo verso il finestrino. Spero che non mi riconosca…
I tonfi si fanno più vicini. Un movimento sul sedile accanto si trasmette al mio. Merda, si è seduto proprio qui.
«Signore? Ehi, mi scusi…»
Volto la testa. Il tizio mi punta addosso gli occhiali dalle spesse lenti. «Non ci siamo già visti, io e lei?»
Inutile far finta di niente. Sollevo le sopracciglia per simulare stupore. «Ah, sì, certo. Un mesetto fa, mi pare.»
Sorride. «Sì, sì, esatto. Era di mattina, se non sbaglio. Il treno andava al verso opposto. Stava andando al lavoro, non è vero?»
«Già.»
L’uomo si sfrega le mani. «È vero, è vero. Le ho parlato dei miei scritti. Le stavo raccontando della storia di Mario Rossi, se ben ricordo.»
Speravo se lo fosse dimenticato…
«Sì, sì, mi ricordo.»
«Beh, posso dirle come va a finire, se vuole. Ho messo il punto appena due giorni fa.»
«Davvero?» Un senso d’inquietudine inizia a risalirmi il petto. Vorrei mettergli una mano sulla bocca e farlo tacere.
«Eravamo rimasti a quando Mario si trovava davanti a una scelta. Beh, l’ha fatta, ed era quella giusta. Ma purtroppo a volte non basta.»
Annuisco. «Già, a volte non basta…»
L’uomo si stiracchia sul sedile. «Ci vuole una gran forza d’animo, sa, per portare avanti una decisione. Una forza che non tutti hanno. Purtroppo lui è tra quelli che non ce l’hanno.» Alza le spalle. «È un debole. Un rinunciatario. Considera sé stesso un fallito e come tale si trascina nella sua grigia esistenza.»
La mascella mi si irrigidisce. Ti prego, fa’ che smetta di parlare. Fa’ che diventi afono per magia.
Devo calmarmi.
Prendo un respiro profondo. Un altro.
Devo fingere indifferenza. Sì, questa è la soluzione.
«Già, un vero fallito.» Mi gratto la nuca. «E mi dica, come finisce la storia?»
L’uomo abbassa la testa. «Amico mio, nelle storie niente succede per caso.» La sua voce si fa profonda e seria. «Ogni successo viene premiato. Ogni fallimento viene punito. Tutto ha un equilibrio. Tutto ha un senso.»
Un brivido mi attraversa la schiena. Strizzo gli occhi e inspiro dal naso. «E quindi?»
«Quindi… il nostro povero Mario Rossi viene colto da un infarto, in un giorno come tanti. Muore da solo, senza che nessuno lo aiuti.»
Stringo i pugni. Gocce di sudore freddo iniziano a imperlarmi la fronte.
Siamo in arrivo a Monte Sibilla, gracchia la voce dall’altoparlante. Il treno perde velocità.
L’uomo afferra la stampella e si tira su dal sedile.
«Beh, eccomi arrivato. Arrivederci e tante buone cose!»
Sorride e si avvia verso la porta, sul lato del mio finestrino.
Riappoggio la testa sul vetro. Tre persone sono uscite dal vagone: un palestrato con la testa rasata, una ragazza coi capelli rosa e una signora impellicciata. Si dirigono a passo svelto verso l’uscita. Il capotreno fischia e le porte del treno si richiudono.
Il cuore mi balza in gola. Dov’è finito l’uomo con la stampella?

***

Il vento fischia e mi arriva dritto in faccia. Fa freddo, per essere primavera. Il cielo si tinge di rosso, è quasi il tramonto.
Percorro il marciapiede deserto a passi veloci. Appena arrivo a casa propongo a Laura di andare a cena fuori. Se Stefano non si organizza coi suoi amici gli posso ordinare una pizza a domicilio. È troppo tempo che io e lei non passiamo una serata da soli.
Mi dice sempre che le piacerebbe visitare Parigi. Quest’estate potremmo andarci. Perché no? Ho le ferie arretrate e un po’ di soldi da parte. La Tour Eiffel dev’essere un vero spettacolo. E anche gli Champs-Élisées, il Louvre
Il sudore mi copre la fronte. Ho l’affanno. Il petto mi si stringe. Potremmo andare a Disneyland. Stefano mi pregava sempre di portarcelo, quand’era piccolo, ma non avevamo abbastanza soldi…
Una fitta lancinante mi attraversa lo sterno. Mi fermo e appoggio la schiena al muro. Il dolore s’irradia alla spalla e al braccio. Una sensazione di nausea mi risale lo stomaco.
Scivolo fino a sedermi e mi accascio sul marciapiede. Non passa anima viva, da nessuna parte.
Tutto si fa più scuro intorno a me.
E così è questa la fine della storia? Niente Parigi, niente cena fuori con Laura?
Niente. C’è solo il dolore.
Il dolore e il buio.



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GiulianoCannoletta
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Re: L'uomo del treno

Messaggio#2 » lunedì 24 maggio 2021, 10:02

Ciao Andrea, piacere di averti letto.
Un racconto un po' più lungo di quelli che si incontrano qui su MC, lo avevo "puntato" da un po' e ho approfittato di un momento libero.
Mi è piaciuto davvero molto, sei riuscito a creare una tensione inusuale in uno spaccato di vita/ lavoro che poteva rimanere fin troppo banale.

Mi sono segnato un paio di appunti: hai usato frasi molto corte, cosa che in sé mi piace, ma la parte iniziale mi sembra davvero troppo frammentata, ho fatto un po' fatica a leggerla. Dà un effetto a mio avviso un po' troppo "a singhiozzo".

Il testo scivola via molto bene ed è molto immersivo. L'unica parte che mi ha tratto in inganno è l'inizio del secondo capitolo. Leggendolo in prima battuta avevo capito che avesse concluso/ consegnato il test in quell'istante, invece stanno aspettando il risultato.

Poca roba, come vedi. Spero comunque di esserti stato utile.
A rileggerci presto!
Giuliano
“Uno scrittore argentino che ama molto la boxe mi diceva che in quella lotta che si instaura fra un testo appassionante e il suo lettore, il romanzo vince sempre ai punti, mentre il racconto deve vincere per knock out.”
Julio Cortázar

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Andrea Vanacore
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Re: L'uomo del treno

Messaggio#3 » lunedì 24 maggio 2021, 22:04

Ciao Giuliano! Grazie mille per il commento e per essere stato il primo ad avere la pazienza di leggere tutto il racconto! Vado subito a rileggere le parti che mi hai segnalato e a rifletterci sopra.

P.S. Questo è un racconto che ho scritto un po' di tempo fa come allenamento personale, quindi al di fuori dell'ambito MC, e in cui ho provato a sviluppare l'intero arco di trasformazione, seppure in modo embrionale. Cercherò di essere un po' più sintetico nei prossimi ;-)

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Michael Dag
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Re: L'uomo del treno

Messaggio#4 » martedì 25 maggio 2021, 11:50

Wow…bel racconto, davvero. La storia mi è piaciuta.
ho empatizzato subito col protagonista, un povero cristo come tanti che si affanna in una routine esistenziale meccanica e frustrante. Tutti l'abbiamo provata, chi per lungo tempo che meno.
lo stile è semplice e scorrevole, ottima gestione del flusso di lettura (cosa che ti invidio un sacco, è il mio scoglio più duro!). approvo la scelta della 1presente, perche l'immersione del lettore è molto più rapida, e nei racconti la rapidità d'azione è importante.

Come ha detto giuliano, l'incipit è molto singhiozzato, con troppe frasi corte in sequenza.

sempre nell'incipit parli di una ragazza incinta. Poi entra in scena una ragazza incinta… che non è la stessa. E questo mi ha spiazzato perché in una serie di coincidenze incredibili (il racconto del vecchio) c'è questo dettaglio che mi aspettavo c'entrasse qualcosa… invece no.

Mi sfugge però il senso finale della storia.

Scatta su anche lui. «No, Mario, basta così. Ti ho assecondato fin troppo.» Avvicina la faccia alla mia e punta un dito fuori dalla porta. «Te ne vuoi andare? Bene, vattene pure. Ma sta’ certo che questo non servirà a salvare la pivella. Vorrà dire che l’azienda risparmierà su due stipendi al mese, anziché su uno solo.»

voglio dire… non mi pare che mario abbia una vera scelta. Lui era disposto a sacrificarsi per salvare la ragazza, ma al momento che il suo sacrificio non sarebbe servito a nulla, a quel punto si tiene il lavoro. Non l'ho visto come un debole rinunciatario anzi, mi pare che comunque sia abbastanza impensierito dal perdere il lavoro. Eppure sbaglia di proposito il test, e NON LO NASCONDE!
magari le fantasie su parigi e roba varia potevi seminarle PRIMA di conoscere il risultato del test.
lui è li, convinto di essere licenziato, inizia a fantasticare su cosa farà dopo… e POI si trova davanti alla scelta. E a quel punto non centra più margherita (che avrebbe perso il lavoro comunque) ma LUI STESSO.

comunque sia, un racconto molto valido che ho letto volentieri.

Ti faccio qualche appunto di stile:

Comincio a incuriosirmi SUL SERIO… lo trovo superfluo,
È come se questo racconto parlasse… di me. Anche questa frase, secondo me si può benissimo tagliare, spiattella troppo il pensiero del pg, che si capisce già benissimo dal resto

Il pancione che le gonfia il vestito è il fardello di una vita ancora in sala d’attesa…. Bella frase, davvero.

Fa’ che diventi afono per magia… bho, secondo me questa frase non centra nulla col resto, la trovo forzata

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Andrea Vanacore
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Re: L'uomo del treno

Messaggio#5 » martedì 25 maggio 2021, 16:59

Ciao Michael! Grazie mille per il commento. Anche tu mi hai dato un sacco di spunti preziosi. Sono contento che il racconto ti sia piaciuto. A presto!

keziarica
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Re: L'uomo del treno

Messaggio#6 » venerdì 25 giugno 2021, 10:33

Ciao, Andrea.
A quanto pare ho scelto uno dei racconti più lunghi per cominciare... il fatto è che mi ha attirato subito il titolo e, leggendo, non sono riuscita a fermarmi. La scrittura semplice e scorrevole ha dato alla storia la spinta giusta. Sei riuscito a rendere interessante qualcosa che, di solito, mi risulta noioso: la vita d'ufficio, le dinamiche delle società nella loro veste piatta e poco attraente. L'uomo del treno ha sicuramente dato una bella spinta, ma è il modo che hai di raccontare il quotidiano che dona a questa storia la giusta prospettiva.
Anche secondo me, i troppi punti fermi nella prima parte danno alla scena un che di dinamico che, a mio parere, non serviva, trattandosi di una mera descrizione dell'ambiente circostante; tuttavia, ci sono frasi che mettono a punto la scena in maniera impeccabile, tipo: "Afferro la maniglia accanto al sedile e contrasto la spinta del treno che riparte." con poche parole hai dato un senso di movimento alla frase, hai trasmesso al lettore una sensazione conosciuta che, proprio perché facile a tornare alla memoria di tutti, non è semplice da rappresentare senza cadere nella banalità.
La frase: "Il pancione che le gonfia il vestito è il fardello di una vita ancora in sala d’attesa" è davvero intensa e racconta in pochissime battute una cosa enorme, davvero bravo.
Forse avrei preferito un finale meno amaro, in fondo si tratta di un uomo come tanti che, come tanti, ha pensato a sé e alla propria famiglia, non credo meritasse un infarto. Però, la storia è tua ed è giusto che tu la finisca come ritieni più opportuno.

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Andrea Vanacore
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Re: L'uomo del treno

Messaggio#7 » giovedì 1 luglio 2021, 17:38

Grazie mille Keziarica, sono contento che il racconto ti sia piaciuto :-)

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Signor_Darcy
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Re: L'uomo del treno

Messaggio#8 » mercoledì 20 ottobre 2021, 12:02

Bel racconto, che si prende i suoi tempi e non si perde per strada.
Lascia forse un senso di incompiuto, per la situazione in ufficio quantomeno; ma del resto non è questo un po' il senso di una morte improvvisa?
Qualche osservazione minore: block notes minuscolo; lo smoking in ufficio mi pare quantomeno eccessivo; "È alta e snella, se non fosse per il pancione che sbuca dal vestito premaman": meglio "sarebbe".

Guarda, senza pensarci troppo chiedo la grazia.

alexandra.fischer
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Re: L'uomo del treno

Messaggio#9 » venerdì 7 gennaio 2022, 18:14

Racconto molto particolare, dove lo scrittore in stampella diventa la metafora della coscienza di Mario Rossi. Certo, ha passato il test di aggiornamento professionale a scapito della collega in stato interessante e la freddezza del direttore, da Gregorio a Dottor Capaldi mi fa pensare a una difficoltà di lavoro e di esperienza di vita anche al Nostro (una maternità passa in almeno tre anni, ma cinquant’anni sono la strada verso la vecchiaia lavorativa, con tutto il rispetto vero la Legge Fornero). Due capitoli scritti molto bene, ma non sono un racconto. Per me sono validi come continuazione di romanzo.

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Il Dottore
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Re: L'uomo del treno

Messaggio#10 » martedì 17 maggio 2022, 9:02

Ciao Andrea.

Il racconto è fermo da diversi mesi.
Vuoi lavorarci ancora o lo sposto in archivio?
Sono pronto a vivisezionare i vostri racconti... soffriranno, ma sarà per il vostro bene!

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