Il figlio di Caino (di Francesco Nucera)

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ceranu
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Il figlio di Caino (di Francesco Nucera)

Messaggio#1 » sabato 25 febbraio 2017, 0:29

Lamech, la schiena ricurva e i piedi indolenziti dal lungo viaggio, seguiva Ada attraverso il deserto. A ogni passo sentiva i calzari stringersi attorno alle dita sanguinanti.
Di contro, la sacerdotessa, avvolta in una pesante tunica nera, avanzava indifferente alla fatica e al caldo.
Erano settimane che camminavano senza sosta; i viveri sul carro scarseggiavano e il mulo era stremato.
Le ossa di Lamech scricchiolarono. Mantenere la posizione eretta gli pesava, sarebbe stato meglio se avesse potuto camminare aiutandosi con le mani, come faceva quando era solo, ma Ada non voleva che si mostrasse per l'essere che era, diceva che l'uomo non era pronto ad accettarlo.
«Manca ancora tanto?» chiese Lamech, provando a guardare l'orizzonte. Sollevò la fronte; una fitta partì dalla gobba e lo costrinse ad abbassare lo sguardo.
«A breve vedremo le mura di Eridu.»
«Perché dobbiamo passare di lì invece di andare verso il mare?»
«Dobbiamo chiedere il lasciapassare a Re Alarat, altrimenti gli daremmo la scusa per ucciderci.»
«Se vorrà, lo farà lo stesso.»
«Non oserà toccarti, tu porti il segno…»
Istintivamente, Lamech tirò fuori la lingua e se la passò sul labbro superiore fino agli incisivi lasciati scoperti dalla deformazione alla bocca. Per evitare gli sguardi inorriditi aveva l'abitudine di coprirsi la bocca con un panno.
«Ma potrebbe toccare voi.»
«Io sono una sacerdotessa, valgo molto più da viva. Ora guarda.» Ada sollevò una mano e indicò un punto lontano.
Lamech, giunto in cima a una duna, inclinò la testa di lato e sollevò lo sguardo. A un'ora di marcia si stagliava Eridu, la più grossa città che l'uomo avesse mai costruito.
«Camminerai sulle gambe fino a quando non saremo lontani da questa terra e non mostrerai a nessuno la tua bocca. Ricorda che questo è un popolo abituato a lottare contro giganti, grifoni e chimere; non sopravvivono grazie ai loro modi cortesi.»
«Se vi attaccheranno, io…»
«Tu nulla, non farai nulla.»
Lemech annui, abbassò lo sguardo e ricominciò a camminare. Ada era l'unica persona che gli fosse stata accanto e da sempre l'aveva preparato per quel viaggio: non le avrebbe disobbedito per nessun motivo al mondo.

***

Viste da sotto, le mura di Eridu erano ancora più alte. Lamech non riusciva a scorgerne la fine, il suo sguardo si fermava alle feritoie scavate nella pietra.
Legarono il mulo a un palo e Ada recuperò dal carro un oggetto avvolto in un panno leggero. Doveva essere lungo due braccia, dall'espressione della sacerdotessa sembrava pesare molto.
«Lo porto io» sì offrì Lamech.
«Faccio da sola. Da qui in poi, fa parlare me. Tu fingi di non capire.»
Una guardia, l'elmo e l'armatura di bronzo con finiture di cuoio, gli si parò davanti con la mano poggiata sull'elsa della spada. Li squadrò, abbozzò un sorriso, si voltò e disse qualcosa di incomprensibile a un altro uomo in armatura. I due scoppiarono a ridere.
«Signore, chiediamo di poter vedere Alarat. Sono Ada, sacerdotessa di Ezion, città sul mare del Sud.»
La guardia smise di ridere e tornò a fissarli. «Perché il Re dovrebbe ricevere una stracciona e uno storpio?» chiese, con una parlata gutturale.
Ada sollevò l'oggetto che aveva in mano. «Perché abbiamo fatto molta strada per portargli questo.»
L'uomo glielo strappò dalle mani e lo poggiò a terra. Senza perdere di vista i due, iniziò a slegare il tessuto che proteggeva il dono. Il sole si riflesse sulla lama di rame ricurva di una spada.
«Io e il mio servitore vi saremmo grati se foste così gentili da dire al Re che è un regalo da parte nostra.»
La seconda guardia raggiunse di corsa quella che reggeva la spada. I due confabularono qualche istante, poi li guardarono e gli fecero cenno di seguirli.
In silenzio, attraversarono il portone di Eridu.
L'interno della città era una calca di persone. Dei mercanti dalla pelle olivastra e dagli occhi leggermente allungati offrivano statue fatte con una pietra verde. Altri chiacchieravano dietro ai banchetti ricolmi di ciotole da cui provenivano strani odori.
Incuriosito, Lamech si fermò davanti a un uomo seduto a terra a gambe incrociate con affianco una grossa anfora. Si avvicinò, guardingo, e si sporse per spiarne il contenuto. Sembrava vuota ma, all'improvviso, due occhi si spalancarono sul fondo e gli si fiondarono addosso. Prima che potesse ritrarsi, qualcuno lo afferrò per il colletto e lo lanciò a terra.
«Dì al tuo animale di stare attento, non è saggio curiosare nel mercato!» Una delle due guardie si rivolse ad Ada e fulminò con lo sguardo Lamech.
Seduto a terra, Lamech guardò l'anfora da cui sbucava un animale simile a un serpente ma che al posto delle squame aveva dei peli neri.
«È la coda di una Chimera» sussurrò Ada, passandogli accanto.
Lamech si alzò senza nemmeno scrollarsi la polvere di dosso: non si sarebbe più allontanato dal gruppo.

***

«Aspettate qui.» La guardia con in mano il dono per il re aprì una porta, entrò in un'altra stanza, si inchinò e sparì alla loro vista.
Lamech guardò Ada che si limitò ad annuire. L'ambiente in cui erano era illuminato dal sole che entrava dalle finestre e si rifletteva su degli scudi lucidi. C'era silenzio, troppo a confronto del caos delle strade.
«Vi concede udienza» disse la guardia, riaffiorando dalla porta.
La stanza in cui entrarono era priva di soffitto. Alcune palme formavano delle zone d'ombra. Animali, che Lamech non aveva mai visto, erano legati ai fusti secolari delle piante. Decine di donne, coperte con abiti di stoffa trasparente, sedevano attorno al trono ricavato del torace di un gigante, da cui il Re li fissava. Era un uomo anziano con capelli e barba bianca. Una veste rosa lo copriva ma lasciava intravedere l'addome gonfio.
«Sommo Re Alarat, Vi ringraziamo per il tempo che ci concedete.» Ada si genuflesse e poggiò la fronte a terra. Lamech la imitò.
«Hai fatto tanta strada, strega.»
«E altra ne devo fare» rispose la sacerdotessa, senza muoversi.
«L'animale che è con te è il dono per me?»
«Maestà, Lamech e io siamo in viaggia verso Nod. Da voi vorremmo l'autorizzazione per attraversare le terre di Eridu.»
«Andreste a morire in quella terra e sarebbe un peccato.» La voce del Re si fece più vicina, così come il rumore dei suoi passi. «Ma forse posso darti il mio benestare. Vediamo cosa c'è sotto quelle vesti!»
Qualcuno afferrò per le braccia Lamech e un piede lo costrinse a terra. Il ragazzo alzò lo sguardo. Quattro guardie tenevano ferma anche Ada.
Il Re, un ghigno dipinto in volto, avanzava piano. Sfilò la veste e rimase nudo con il membro eretto. Raggiunse la sacerdotessa, le poggiò la mano sotto il mento e la costrinse a guardarlo.
«Non ho mai scopato una donna di Ezion. La vostra figa è uguale a quella delle altre?» Fece un cenno con la mano e le guardie girarono la donna.
Lamech si trovò a guardare in faccia Ada che, una smorfia dipinta in volto, si morse il labbro inferiore senza emettere un fiato.
«Alza il culo, non vorrai fare inginocchiare un Re.»
Lei obbedì.
Re Alarat le mise una mano sotto la veste e scoppiò a ridere. «Anche le streghe di Ezio ce l'hanno come le altre.» Portò la stessa mano al naso e l'annusò. «E devo dire che puzza meno di molte di voi!» disse, voltandosi verso le donne ancora ferme al loro posto. «Vediamo se anche dentro sei come le mie puttane!» Si mise tre dita in bocca e le tirò fuori, un rivolo di bava le seguì.
Lamech si concentrò sul volto del Re, non aveva il coraggio di guardare in faccia Ada.
Re Alarat emise un mugugno, sgranò gli occhi e iniziò a oscillare avanti e indietro. «Direi di sì.» Si leccò il labbro superiore e aumentò la velocità.
Lamech socchiuse gli occhi e contrasse i muscoli, le rotule scricchiolarono e si disarticolarono. Avrebbe potuto sbarazzarsi facilmente delle guardie che lo tenevano fermo e forse anche delle altre, ma poi si sarebbero trovati braccati da un intero esercito.
Re Alarat, in una smorfia di piacere, incrociò il suo sguardo. «Toglietemi da davanti quello scherzo della natura!» ordinò, ansante.
Le guardie afferrarono Lamech per il collo e in quel momento il panno, che gli teneva coperta la bocca, scivolò via mostrando la sua storpiatura. Il Re, gli occhi e la bocca spalancata, si ritrasse e fece due passi indietro. Aprì e richiuse la bocca senza emettere un verso. Si voltò, recuperò la veste da terra e corse verso il trono. «Puttana di una strega, hai portato un Figlio di Caino nella mia casa. Che tu sia maledetta. Vai a morire nella terra di Nod con quell'abominio!»
Lamech fu improvvisamente libero. Gattonando con le ginocchia piegate nel verso opposto a qualsiasi uomo, raggiunse Ada e sfregò la testa contro la sua. La donna sorrise, abbassò la veste e si alzò. «Voglio un mulo fresco per riprendere il viaggio» disse, rivolgendosi al Re.
«Quello che vuoi, a patto che riprenditi la spada e ti allontanati con la maledizione che ti porti dietro!»

***

Lamech lasciò la mano di Ada, si acquattò a terra e si inerpicò su un sentiero che costeggiava il monte Nod. A illuminare la via c'erano poche stelle, eppure lui procedeva spedito, era come se il suo corpo conoscesse quel luogo di cui non aveva memoria. Afferrò una roccia con le dita dei piedi, lunghe quanto quelle delle mani, e si diede la spinta che lo portò su uno spiazzo. Una nube coprì il cielo, il buio si fece totale e l'aria immobile.
«VIENI DA ME…» sussurrò una voce lontana.
Lamech non aveva paura, si sentiva a casa. Avanzò di pochi passi e si trovò su una roccia in cima a una vallata piena di quegli esseri che gli avevano insegnato a temere. Un centauro si fece spazio tra due arpie, alzò la testa, portò la mano al capo, fece un cenno e si inchinò. Alle sue spalle, giganti, sfingi, chimere e altre razze di cui non conosceva nemmeno il nome, abbassarono il capo.
«VIENI DA ME…» ripeté la voce, questa volta dalle sue spalle. Si voltò e tutto divenne nero.


Lamech si svegliò di soprassalto, la fronte madida di sudore e il cuore che batteva all'impazzata. Dall'entrata della caverna, in cui si erano fermati a dormire, entravano i raggi del sole ancora alto in cielo. Al suo fianco, Ada lo guardava. «Il solito incubo?» chiese la sacerdotessa.
Lamech si limitò ad annuire. Da quando aveva scorto il monte Nod il suo sonno era agitato e man mano che avanzava il sogno diventava più nitido. Era come se dentro di lui si stesse risvegliando qualcosa.
«Tra poco sarà buio e potremo ripartire. Mangia qualcosa.»
Lamech afferrò la carne secca che la donna gli porse e l'addentò. «Voi come state?»
«Non preoccuparti per me; il tempo sta lenendo il mio fisico.»
Era la prima volta che il ragazzo accennava a quello che era successo con Re Alarat. «E lo spirito?»
Ada sorrise. «Sono una donna, ci insegnano certe cose fin da quando siamo piccole.»
La tranquillità con cui gli rispose, lo spronarono ad andare avanti. «Perché ti ha chiamato strega?»
Ada si inumidì le labbra e sbuffò dal naso. «Il popolo di Alarat è legato ai vecchi culti. Crede nei Viaggiatori che popolavano la terra e vede in noi seguaci dell'unico Dio una setta di folli.»
Lamech addentò un'altra striscia di carne. Masticò in silenzio, senza guardarla, ma un dubbio si fece spazio dentro di sé. Alzò lo sguardo verso Ada e la vide vulnerabile come mai prima. Lei era la donna che lo aveva allevato lontano dagli occhi della loro gente, che l'aveva protetto. «Perché mi ha chiamato “Figlio di Caino”?» chiese, in un impeto che reprimeva da sempre. Non era solo Re Alarat ad avere paura di lui, ma tutte le persone che l'avevano sempre scansato.
La sacerdotessa gli si inginocchiò accanto, gli poggiò la mano sulla testa e, con dolcezza, gli fece poggiare il volo sulle gambe. «Re Alarat è un vecchio superstizioso. Crede nelle antiche leggende che accusano Caino di essere il colpevole della partenza dei Viaggiatori. Sostengono che abbia ucciso Enoch, uno di loro, e che sia stato condannato all'esilio sulla terra. Lo sfregio che hai in faccia sarebbe il segno della sua maledizione.»
Lamech si raggomitolò sulle gambe di Ada. «Non è così?» domandò.
«Non proprio. I Libri dicono che Caino uccise suo fratello Abele e per questo gli fu imposto il Segno che porti. Tu sei un discendente dei Figli di Dio, forse l'ultimo nato sulla terra, e per questo credo tu possa risvegliare Enoch dal suo torpore eterno. Le scritture dicono che lui “camminò con Dio e non fu più”. Invece, dopo aver trascorso anni sui Libri, credo che Dio portò Enoch sul monte Nod e l'abbia fatto addormentare. Forse con lui troveremo anche la Spada di Tubalkain, o qualunque cosa ci possa permettere di riprenderci il nostro posto nel mondo. So che sarai tu a salvarmi!»
Sapere che Ada confidava in lui lo rinfrancò. Chiuse gli occhi e si concentrò sulla mano che gli stava carezzando la guancia. Mancava ancora molto al tramonto, quando la loro marcia sarebbe ricominciata. Respirò l'odore di Ada e si addormentò.

***

«Dobbiamo abbandonare il carro e continuare a piedi.»
Lamech si scosse dai suoi pensieri e guardò Ada. La sacerdotessa era già impegnata a recuperare il cibo che gli sarebbe servito per il resto del viaggio.
«Andrò avanti da solo» disse, lapidario.
La donna si voltò di scatto e lo fulminò con lo sguardo. «No!»
«Lo sapete meglio di me che devo farlo.» Da quando avevano parlato, Lamech aveva l'impressione che i suoi non fossero incubi, ma messaggi.
«Non sai nemmeno dove devi andare…»
«La voce mi guiderà.»
«E se incontrassi qualcosa? Viaggiare di notte potrebbe non bastare.»
«Sono più agile di voi a scalare. Me la caverò.»
«Prendi almeno la spada…»
«No, non ne avrò bisogno.»
Ada si morse il labbro inferiore. Scosse la testa e una lacrima gli bagnò una guancia. «Ti aspetterò qui, ma se non tornerai entro due notti verrò a cercarti.»
Lamech accennò un sorriso, si alzò sulle gambe e l'abbracciò. «Tornerò a prendervi» le sussurrò. Si girò e cominciò la scalata.

***

Le dita dei piedi e delle mani lasciavano macchie di sangue sulle rocce, ma Lamech non sentiva dolore, era come se fosse finalmente a casa. Raggiunse una sporgenza e si mise a sedere. In cielo era già sorto il sole, eppure non temeva di essere visto.
Il grido di un'aquila squarciò il silenzio. Lamech la osservò volare, maestosa e fiera. Un altro grido, più forte del primo, provenne dall'alto. Una folata di vento lo costrinse ad aggrapparsi a un masso con i piedi.
Un essere, dal corpo piumato e la testa di una donna, si fiondò sull'aquila e l'artigliò. L'animale sbatté le ali, ma la sua resistenza durò pochi attimi: quella che sembrava un'arpia gli recise il collo e l'uccise.
Lamech indietreggiò e premette la schiena contro la parete della montagna. Osservò l'arpia disegnare un arco in cielo e tonare verso la vetta ma, appena iniziata la risalita, gli occhi rossi del mostro si fermarono su di lui.
L'arpia mollò la presa e l'aquila volteggiò in aria senza vita, un grido rimbalzò sulle pareti della montagna.
«SCAPPA!» Lamech sentì la stessa voce dei suoi sogni. Si voltò, poggiò una mano sulla roccia e si issò. Portò i piedi più in alto del viso e si diede una spinta. In una frazione di secondo, raggiunse uno spiazzo. Si gettò in avanti e, gambe e braccia tese allo spasmo, si mise a correre. Le grida alle sue spalle si moltiplicarono, non c'era più una sola arpia. Il vento alle sue spalle si fece più forte e il battito delle ali più vicino. Serrò la mascella e spinse ancora più forte.
«NEL BUCO!» gli ordinò la voce.
Con la coda dell'occhio individuò l'apertura: era a meno di due metri. Spostò il peso in avanti e spiccò un balzo. L'artiglio di un'arpia gli graffiò il polpaccio, ma non riuscì ad afferrarlo.
Lamech si infilò nell'apertura tra le rocce e sentì il vuoto sotto di se. Cadde per una decina di metri, urtò un gomito contro una roccia, poi un ginocchio e ancora il gomito. Strinse le braccia a protezione della testa e si rannicchiò. Più prendeva velocità e più era certo che la fine fosse vicina. Di colpo si fermò.
Aprì gli occhi e si ritrovò in una caverna illuminata da una strana luce blu. Dei tavoli erano poggiati contro le pareti e sopra di essi c'erano oggetti che non conosceva.
Guardò verso il basso, il pavimento era a una spanna da lui. Allungò braccia e gambe e la forza invisibile che lo sosteneva lo lasciò andare. L'impatto con la pietra liscia fu delicato. Ciò nonostante, il gomito cedette. Fece scattare le ginocchia e si mise in piedi.
Dall'alto provenivano ancora le urla delle arpie, che ora emettevano un suono meno aggressivo.
«VIENI A ME!»
Un fascio di luce rossa illuminò una statua, alta quanto sei uomini, dalle sembianze simili alle sue. Era fatta di un materiale lucido, forse rame, ma senza il tipico colore rosso.
Avanzò piano e la raggiunse.
«BENTORNATO, LAMECH!»
Il ragazzo tese il braccio e appoggiò la mano contro il piede della statua: la caverna sparì.

Era circondato da una mare di stelle, fra esse c'era una sfera blu che si avvicinava e diventava sempre più grande. La chiamarono Terra.
Da un'arca immensa scendevano le persone che camminavano come lui seguite dagli animali catturati sugli altri pianeti. Riconobbe una chimera e scorse un gigante.


Qualcosa lo afferrò e lo sollevò da terra.

Ci fu un esplosione, la gente scappava e Enoch gli gridava di mettersi al sicuro. Si guardò attorno e si infilò in una fessura tra due rocce. Un'altra esplosione, la terra che lo copriva e il buio.

Lo misero a sedere su qualcosa di morbido e la luce attorno svanì.

Una voce lo chiamava da lontano. «Lamech, figlio di Enoch, torna a camminare tra i vivi.»
Lui aprì gli occhi e vide il volto giovane di Ada.
«Ce l'ho fatta, ho risvegliato il salvatore!»


Lamech si svegliò chiuso nella cabina di comando del DIO.
Con il flusso di immagini era tornata la memoria. «Accensione» disse, in una lingua diversa da quella che parlavano gli uomini.
«SCANSIONE MODULO CENTRALE.»
«Vieni qui, non ti faremo male.» Le grida delle arpie erano diventate voci stridule, ma comprensibili.
Lamech attese che il DIO finisse i controlli. Sorrise e si spinse verso l'alto, più con il pensiero che con il corpo. L'interfaccia era perfetta, si sollevarono da terra.
«Amiche mie, è ora di tornare dal vostro padrone» disse alle arpie aprendo il varco che lo portò all'esterno.
Gli animali gli volteggiarono attorno, planarono sulle sporgenze delle rocce e abbassarono il capo.

***

Lamech stese il braccio in avanti e il DIO fece lo stesso. Il pugno impattò contro le mura di Eridu che crollarono. Un'orda di mostri attraversò la breccia con l'unico ordine di fare scempio di chiunque avessero incontrato.
Fece un balzo e atterrò al centro del giardino in cui Re Alarat attendeva seduto sul suo trono. Il sovrano si mise in piedi e afferrò la falce al suo fianco. La fece roteare sulla testa e menò un fendente che si infranse contro il metallo del DIO.
All'interno della cabina di controllo, Lamech scoppiò a ridere. «Espelli» sussurrò.
La parete davanti a sé sparì e lui si lanciò verso il sovrano. Gli piombò addosso e l'afferrò con mani e piedi bloccandogli le braccia.
«Guarda l'abominio, il Figlio di Caino!» Gli urlò i faccia, sputando saliva.
Spinse le ginocchia verso l'alto e i gomiti in contrapposizione. Uno schiocco, seguito da un urlo del Re, indicò la rottura delle braccia. La falce ricadde a terra.
Lamech spinse il Re contro il trono e si acquattò sul pavimento. «Ho una sorpresa per te» disse, digrignando i denti. «Espelli passeggero.»
Il DIO si abbassò e una scaletta di metallo comparve dall'addome. Ada scese a terra con in mano la spada di Rame.
«Vediamo se anche tu, dentro, sei come tutti gli altri…» La sacerdotessa affondò la lama nella pancia del Re e la sollevò aprendo uno squarcio lungo fino alla gola. «Direi di sì, anche se le tue viscere puzzano!»
Il corpo del sovrano ricadde a terra. Con un piede, Ada lo fece rotolare di lato liberando il passaggio. Fece un lieve inchino in direzione del ragazzo. «Ecco il suo trono, Lamech, sovrano delle terre emerse. Da oggi governeremo il mondo!»



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Vastatio
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Re: Il figlio di Caino (di Francesco Nucera)

Messaggio#2 » lunedì 27 febbraio 2017, 14:09

C'è Ren. Tempo perso commentare gli altri.

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Re: Il figlio di Caino (di Francesco Nucera)

Messaggio#3 » martedì 28 febbraio 2017, 17:05

Ciao,

DIO è un robottone arrivato sulla Terra insieme a uno zoo di chimere,arpie, giganti, ecc. Ha la mente di uno scimmione con labbro leporino, ma tutto il resto fa da sé, come il vecchio Re si fa la suora "tant pur passer" che l'ha risvegliato (lo scimmione, non il Re). Ho capito giusto?
In realtà il tutto è molto più serio e coerente (per quanto il robottone alla fine sia un grosso "NO DAI").
Mischi tanta roba, pescando un po' a destra e sinistra. Animali dell'immaginario classico fantasy (senza che però questo basti a farne qualcosa di fantasy), "mitologia" sacra, teorie sulla genesi. Non so quanto la zuppa sia di mio gradimento.
Intanto se peschi in qualcosa di "vicino", come Caino e Abele, Enoch, Lameth e figlio corri il rischio, o forse era voluto, di far credere che quella di cui stai parlando sia la NOSTRA Terra in un futuro/passato.
Oppure è solo una Terra alternativa e va bene, ma mi obblighi a cercare su google i riferimenti.
Quello di cui sento tanto la mancanza è una caratterizzazione adeguata di Ada. Mi dai un Re ben tratteggiato nella sua lascivia, prepotenza e violenza tanto che poi Ada risulta in ombra e scialba.
Eppure dovrebbe essere un personaggio "forte", per intrapendere questo viaggio così faticoso, risvegliare Lameth ("Lameth, svegliati!" A posto fatto... e fammi vedere qualcosa!), subire una violenza umiliante senza battere ciglio e poi...
poi niente, una battuta tamarra in chiusura... cos'è, niente pompini al regista?
Nel momento spiegone, in cui mi sbrodoli tutta la tua (o meglio la sua) comprensione del mito e degli eventi passati, accenni a un suo stato di "vulnerabilità" senza che io in effetti ne capisca il motivo: hanno ripreso il cammino, sono sempre più vicini alla meta, il "peggio" dovrebbe essere passato.
Per carità, può essere che sia perché è in terra straniera, per il ricordo dello stupro subito ("Sono una donna ci spiegano queste cose da piccole", va che bel posticino, ma non era una sacerdotessa/strega? mondo tuo, regole tue), ma non riesco a entrare in sintonia con lei e con le sue motivazioni.
Il resto scorre senza particolare enfasi, la voce che lo guida fino a raggiungere DIO e il ricordo consapevolezza di loro (alieni) che arrivano sulla Terra.
La fine è, come anticipato, tamarrissima. Se poi riesci anche a farti piacere la deriva del robottone...

Tema: posso forse definirla "arte", ma non certo sottile.

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ceranu
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Re: Il figlio di Caino (di Francesco Nucera)

Messaggio#4 » mercoledì 1 marzo 2017, 0:01

Ciao Roberto. La scena finale vuole essere tamarra. Mi piaceva buttare via tutto il seminato con un finale degno di un film di tarantino (per questioni di spazio non ci sono scene splatter).
Per quanto riguarda Ada, sono nascoste nell'ambientazione. Sebbene a stuprarla sia un Re di un'altra terra, lei ti dice che non è un problema, che le hanno insegnato da piccola queste cose (il dominio dei maschi). La sua è una riscossa, tanto che è lei la "sottile" dominatrice del mondo.
Il mix tra leggenda, religione e mito è una libera interpretazione della teoria secondo cui la Bibbia parli di alieni. Mi piacerebbe far leggere il racconto ai seguaci di Biglino, probabilmente potrei diventare il nuovo Joseph Smith, Jr.
Se non passo il turno lo elaboro e lo trasformo ne "Il libro di Lamech" e inizio a predicare la sua parola.
Ci vediamo in piazza ;)

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Sonia Lippi
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Re: Il figlio di Caino (di Francesco Nucera)

Messaggio#5 » giovedì 2 marzo 2017, 11:32

Ciao Francesco

il racconto mi è piaciuto, ma più all'inizio che alla fine.
nel senso che l'inizio mi sembra coinvolgente, mi prende nella lettura, mi fa immaginare bene il personaggio di Lameth, ma lasci però un pochino evanescente Ada secondo me che invece è l'attrice non protagonista che fa girare il racconto.
la fine non l'ho capita, ma forse è un incapacità mia, il re si fa ammazzare così? senza fare nulla? nessuno che lo proteggeva?
insomma è sempre un Re!

per il resto non ho altro da dirti.,... mi piacciono sempre i tuoi racconti

baci :-)

Sonia

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ceranu
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Re: Il figlio di Caino (di Francesco Nucera)

Messaggio#6 » giovedì 2 marzo 2017, 23:19

Ciao Sonia. Effettivamente potevo mettere le guardie (pensavo più alle loro frattaglie sotto i piedi del robot), ma l'impotenza del Re è dovuta alla differenza di potenza.
Il finale è fatto per destabilizzare il lettore. Nell'idea originale doveva esserci un Golem, ma lo trovavo troppo "normale" e ho voluto osare un po'.
Ciao

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Linda De Santi
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Re: Il figlio di Caino (di Francesco Nucera)

Messaggio#7 » domenica 5 marzo 2017, 11:28

Ciao Francesco!
Sarà che ho sviluppato un gusto per i finali che mandano a gambe all’aria le premesse e che risultano pure tarantinianamente tamarri, ma a me il tuo racconto è piaciuto molto.
Il riferimento alla Genesi ci dev’essere, rende più forte la scoperta di com'è nata la Terra.
L’unica cosa, servirebbe un migliore bilanciamento tra le due parti. Rispetto alla parte iniziale, che indulge nel racconto del viaggio, la chiusa è troppo frettolosa: Lamech ci mette un attimo a capire chi è, com’è arrivato sulla Terra e come si guida DIO, arriva dall’imperatore e lo fa fuori troppo facilmente: se c’è un robottone di mezzo, mi aspetto almeno un purè di guardie, palazzi in fiamme e urla di terrore.

Per il resto, una prova molto buona, e, come dice il saggio: “qualunque cosa è migliore se c’è un mecha.”

Alla prossima! :)

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