Il Supplente - di Angelo Frascella

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angelo.frascella
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Il Supplente - di Angelo Frascella

Messaggio#1 » domenica 26 febbraio 2017, 0:13

"Perché devo fidarmi di un Dio che non posso vedere? Come posso credere esistano davvero Paradiso e Inferno?"
Arnold stava guardando verso l'albero quando era apparso il prete con indosso i paramenti. Doveva essere stato portato lì, ovunque fosse lì, nel bel mezzo di una messa. Ma non se n'era ancora accorto e continuava a parlare con gli occhi chiusi e un dito verso il cielo.
"Se me lo chiedete, è perché sapete che Dio mi parla tramite visioni."
Il prete aprì gli occhi e si guardò attorno, stralunato.
"Che non erano mai state così realistiche" bofonchiò alla fine.
"Anch'io credevo fosse un sogno" ribatté Arnold. "Un momento ero in laboratorio" indicò il camice bianco che ancora indossava, "e un attimo dopo ero qui. Poi è arrivata quella donna, si è messa in quella posizione, senza dire niente, e non si è più spostata."
Arnold indicò la ragazza orientale rasata e vestita di arancione, che sedeva poco più in là, imperturbabile, nella posizione del loto, o almeno in una sua versione parziale. Il braccio destro, infatti, era amputato all'altezza del gomito.
Il prete studiò il luogo. Prima il suo sguardo si posò sull'albero, nero come la notte, vicino al quale si era materializzato; proseguì la corsa accarezzando il bosco luminescente; arrivato al mare violaceo, risalì verso il monastero in cima alla collina per fermarsi sul cielo senza stelle.
"Questo posto mi è familiare. Il Signore me lo mostra da quando sono piccolo. Avete notato il profumo di resina che lo permea? E il senso di pace che abbiamo dentro? Siamo stati sbalzati qui in un istante e non sentiamo un filo d'ansia! Questo è senz'altro il regno di Dio. Finalmente sono morto e sono stato ritenuto degno di entrarvi."
"Dev'essere un dio di larghe vedute" precisò Arnold, alludendo alla monaca Zen.
"Il Suo gregge è colmo di pecore smarrite ricondotte all'ovile" gli rispose l'altro. Poi tese una mano verso di lui. "Sono Don Franco. Ma puoi chiamarmi solo Franco."
"Io mi chiamo Arnold. Sono fisico presso il MIT."
"E parli anche l'italiano? Bravo!"
"Credevo fossi tu a parlare inglese. Com'è possibile?" iniziò a dire Arnold, ma subito si allontanò, temendo che l'altro cianciasse di Spirito Santo. Raggiunse la donna e chiese: "Rimarrai zitta per sempre?"
Lei si alzò e fece un inchino. "Mi chiamo Haru. Il gruppo è completo. Possiamo andare."
Arnold ci mise un attimo a comprendere le parole della ragazza, preso com'era dal movimento delle labbra incoerente con le parole che le sentiva dire. Ora che lo sapeva, gli pareva di guardare un film doppiato male.
"Potrebbero arrivarne altri" obiettò alla fine.
"Siamo tre, come cielo, uomo e terra" disse lei, indicando in successione il prete, se stessa e Arnold. "O, se preferisci una visione più occidentale, il numero perfetto."
"D'accordo. In fondo, siamo fermi da troppo tempo" concluse Arnold, incamminandosi verso una direzione a caso.
"Guardate. Ci sono i miei fratelli e le mie sorelle" urlò il prete.
Arnold si voltò. Attorno all'altro sedevano diverse persone, diafane come fantasmi o immagini riflesse su un vetro, e non sembravano accorgersi di loro.
Il gruppetto scomparve e il prete cadde in ginocchio fra le lacrime.
Quando si fu calmato, la ragazza indicò la salita col braccio mutilato e disse: "Di là."
Arnold ebbe la sensazione di vedere, al termine del moncherino, un braccio di luce.
Forse aveva ragione il prete: erano morti e quello era il loro inferno.

"Da quanto stiamo camminando?" La voce del prete era rotta dall'affanno.
"Per essere morto, sei un po' fuori forma." Anche Arnold si sentiva affaticato, ma non poteva perdere l'occasione di lanciargli una frecciatina.
"Se imparaste a considerare il corpo per ciò che è, non vi lascereste governare dalle sensazioni" disse Haru, con un sorriso a fior di labbra. Nonostante ciò si fermò.
Arnold approfittò per guardarsi attorno. Erano saliti di parecchio. Il mare era pieno di isole, alcune prive di vegetazione, altre piatte, altre dominate da immani catene montuose. Nessuna di esse sembrava terrestre: le montagne erano troppo alte e contorte, le pianure troppo piatte e i deserti troppo variopinti.
"Questi frutti!" esclamò il prete.
Arnold si voltò e lo vide afferrare un pomo azzurro, grande e lucido, che pendeva da un fusto avvolto su se stesso come una spirale. Sul tronco punti di luce verde si muovevano in file ordinate.
"Devo assaggiarli" disse il prete, strappando via il frutto. Il ramo a cui era attaccato si spezzò e un denso liquido rosso colò dalla ferita.
"Non farlo" urlò Arnold. "Potrebbe essere velenoso."
La pozza rossa ai piedi dell'albero iniziò a ribollire e ingrossarsi fino a prendere la forma di un cane tozzo e muscoloso, con feroci occhi bianchi, denti affilati e un paio di corna.
D'istinto, Arnold scansò il prete, ma si ritrovò per terra sovrastato dal cane. Dalla bocca della bestia, una saliva verdastra colava sulla faccia di Arnold. L'alito dell'essere aveva un intenso odore metallico e il verso ricordava il rumore di legno che battesse su pentole di ferro.
Le fauci si allargarono in modo innaturale e la testa scattò in avanti. Una mano di luce si infilò fra le mascelle della bestia, che scattarono attorno all'arto inesistente, senza riuscire a chiudersi fino in fondo. Haru e il cane iniziarono a lottare, in una danza priva di musica.
Arnold avrebbe voluto accorrere ad aiutarla, ma era inchiodato a terra, come se la bava che il mostro gli aveva lasciato addosso pesasse troppo.
La voce del prete giunse profonda e sicura: "Ti ho visto nelle mie visioni, lupo, sangue di albero, guardiano della soglia, cerbero nel regno sbagliato. Hai fame, vero?"
Lanciò il frutto azzurro all'animale e quello si staccò da Haru e lo afferrò al volo. Poi si accucciò e iniziò a mangiarlo.
Solo allora Arnold riuscì ad alzarsi. Avrebbe voluto chiedere a Haru dell'arto luminescente, ma il pudore lo bloccò. "Come sapevi che il frutto l'avrebbe calmato?" chiese invece al prete.
"Dio me lo aveva mostrato. Credevo fosse un'allegoria del Male, non un guardiano del Paradiso."
"Sei così sicuro che questo sia l'aldilà. Ma forse vi sto solo sognando e tu non esisti neanche."
"Estis, ergo sum" affermò con un sorriso Il prete, mentre si avvicinava di nuovo all'albero.
"Non ho capito" disse Haru, mentre riprendeva fiato dalla lotta.
"Qualunque cosa traduca le nostre lingue, evidentemente non capisce il latino. Franco ha detto: voi esistete, dunque io esisto."
Il prete afferrò un altro frutto, questa volta facendo attenzione a non rompere il ramo e lo morse. "Nelle mie visioni gli uomini li mangiavano senza problemi."
Haru iniziò a raccoglierne un po': "Serviranno un po' di provviste. Io posso rimanere sette giorni senza mangiare né bere, ma dubito che voi possiate sopportare più di un giorno di digiuno."
Anche se la frase pareva sprezzante, il tono era ironico e Arnold si sorprese a guardare la donna e a pensare che fosse davvero bella.
Il prete si tolse i paramenti e li legò per formare un sacco per le scorte.
"Andiamo ora" sbuffò, alla fine, Arnold.
"Da che parte?" chiese il prete.
"Sono stanco. Imbocchiamo la discesa."
Il cane si alzò di colpo e gli si parò davanti: non sembrava più aggressivo ma non aveva intenzione di farlo passare. Arnold arretrò e allora l'animale lo condusse a spintoni alla salita e indicò il monastero col muso.
"Vuole che andiamo in cima" disse il prete, superandoli col sacco sulla spalla. "Nel monastero incontreremo il Signore."
"E chi siamo noi per contraddire un cane rabbioso e un prete pazzo?" disse Arnold seguendolo. Guardò Haru, che gli camminava accanto e stava sorridendo della battuta. Poi lanciò uno sguardo alle proprie spalle e vide che il cane si stava liquefacendo.

Superarono alberi rosa, arancioni o neri come la notte e gruppi di fantasmi, come quelli dei parrocchiani il primo giorno. A volte avevano forme umanoidi, altre sembravano animali mostruosi. Alcuni non somigliavano a esseri viventi, ma ad ammassi informi o, persino, a fluidi.
"Sei sempre sicuro che siamo in Paradiso, prete?"
L'altro scacciò la domanda con un gesto della mano, poi, all'improvviso si fermò: "Avete sentito?"
"Cosa?"
"Un gemito."
Riprese a muoversi con l'orecchio teso. Dopo qualche passo si chinò. Solo allora Arnold si accorse del vecchio accasciato sotto un albero.
"Ho fame" disse con un filo di voce. Il prete gli passò un pomo azzurro e lo aiutò a sedersi.
"Che ti è successo?" chiese Arnold.
"Volevo prendere un frutto, ma ho danneggiato la pianta e il guardiano di quell'universo mi ha assalito."
"Guardiano di che?" proruppe Arnold.
"Non sai dove siamo?" chiese il vecchio che, ora che aveva mangiato, sembrava stare meglio.
I tre pellegrini si guardarono e Arnold rispose per tutti: "Abbiamo solo ipotesi."
Il vecchio sorrise: "Questo è l'Universo Madre, l'unico che è sempre esistito e sempre esisterà. Qui nascono tutti gli altri universi."
Arnold scosse la testa. Quella spiegazione gli sembrava peggiore di quella del prete: "E dove sarebbero tutti questi universi?"
"Tocca un albero."
Arnold eseguì. Il mondo attorno a lui scomparve e si ritrovò a galleggiare fra stelle, cavalcare immani esplosioni, nuotare fra minuscole particelle. Staccò la mano e si sedette sul prato, senza fiato.
"E noi che ci facciamo qui?" chiese.
"Alcuni esseri viventi sono vicini, con alcune loro parti, alla frequenza di risonanza dell'universo madre. Più sono vicini, più è facile che attraversino la barriera che tiene i vari universi separati."
"Io avevo già visto questo mondo" sussurrò il prete.
"Allora gli occhi sono la tua parte risonante. Siete stanchi. Dormite un po'. Farò io la guardia."
Non si potevano fidare di un vecchio debole, si disse Arnold. Però era a pezzi e si lasciò andare su quella lanuggine gialla profumata di pop-corn, che faceva da erba.

Si svegliò e vide che Haru, distesa sul fianco accanto a lui, lo osservava con un lieve sorriso.
"Parlavo nel sonno?"
"Blateravi di esperimenti ed equazioni."
Arnold si voltò verso di lei e, subito, ne percepì l'odore: un gradevole misto di incenso e mandorle, nonostante la pesante camminata.
"Ho sognato il test che stavo per svolgere prima di arrivare qui."
"Di che si tratta?"
"Un esperimento che mi avrebbe consentito di verificare l'ipotesi degli universi paralleli."
Lei sgranò gli occhi. "Allora è il cervello il tuo organo in risonanza."
"O magari il mio esperimento ha funzionato oltre le aspettative."
"Franco è molto sicuro di cosa sia questo posto. Tu lo sei di ciò che non può essere. Eppure almeno tu dovresti coltivare l'arte del dubbio."
Arnold rise. "Quale sarebbe la tua parte in risonanza?"
"L'anima" disse, lei mostrando l'arto di luce. "O il corpo astrale come preferisco chiamarlo."
Arnold vide, per un attimo, un clone luminoso della ragazza staccarsi dal corpo.
"Entrai nel monastero cinque anni fa. Questo strano fenomeno del braccio astrale mi spaventava a morte. Speravo che i monaci mi avrebbero aiutato a entrare in contatto con il mio spirito e a capire come gestirlo. È stato lì che ho imparato a riconoscere le mie passioni e governarle, ma non per staccarmi da esse. È pilotandole che riesco a guidare il corpo astrale."
Arnold scosse la testa: "Tutto ciò che ci sta accadendo deve avere una spiegazione logica e connessa alle leggi della natura."
"Quelle che conosci, però, sono una piccola parte. Prendi il sesso. Conosci quello normale. Forse hai sentito parlare del sesso tantrico. C'è molto di più."
Iniziò a passargli la mano di luce sul viso e poi a scendere lungo il petto.
Arnold sentì il proprio corpo percosso da corrente elettrica, senza però il corrispondente dolore. La mano astrale scorreva lungo il suo petto come un liquido caldo che però non lasciasse tracce d'umidità.
Provò a fermarla, in un misto di piacere e paura, intimità e imbarazzo, ma lei continuò. Scese verso fino all'ombelico, provocando onde di piacere che si espandevano concentriche. Chiuse gli occhi e sentì la mano luminescente entrargli nella pancia diffondendo energia e chiudersi su una luce che non sapeva di avere dentro.
"Ho trovato il tuo chakra di fuoco. Apri gli occhi."
Arnold si trovò sospeso ad alcuni metri dal suolo, assieme ad Haru. Si guardò le mani: era il proprio corpo astrale quello che vedeva? Guardò in basso: i loro corpi fisici si muovevano l'uno sull'altro ritmicamente e quel piacere lo sentiva amplificato centinaia di volte dentro di sé.
Haru gli afferrò le mani e si accorse che loro due cominciavano a fondersi, a partire dalle dita, poi i corpi che, come acqua fredda e calda, vorticavano l'uno dentro l'altro e alla fine esplosero in una sfera di luce, fino a ritrovarsi di nuovo separati.
"Non avrei mai creduto fosse possibile una cosa del genere" disse lui, gettando uno sguardo ai loro corpi che ora giacevano supini e ansimanti.
"Riposati ora" disse lei.
Chiuse gli occhi, mentre lei salmodiava: "Ciò che vedi è vuoto. Ciò che vedi è forma. La forma è vuoto. Il vuoto è forma."
Precipitò nel proprio corpo fisico, sentendolo per la prima volta come un peso che lo ingabbiava e, subito, si addormentò.

Riaprì gli occhi di colpo e si accorse di una presenza che incombeva su Haru con una lancia di legno. Pareva pronto ad affondarla nello stomaco della ragazza.
"Fermo!" Saltò in piedi e gli si lanciò contro.
L'essere fece un passo indietro, allargò due creste ai lati del viso appuntito ed emise un urlo acuto.
Arnold si guardò attorno e vide che il vecchio stava lottando contro una belva dalla pelle chiazzata, mentre il prete continuava a dormire.
Il nemico ruotò la lancia sulla testa, muovendosi lateralmente.
Forse non conosceva la capacità di Arnold e non voleva combattere a viso aperto. Questo era l’unico vantaggio che Arnold aveva al momento e doveva sfruttarlo. Atteggiò la faccia nell'espressione più aggressiva che gli riuscisse e assunse la posa degli judoka dei film.
Doveva aver osato troppo, perché l'altro puntò la lancia contro di lui e iniziò ad avvicinarsi troppo velocemente.
Arnold provò a scansarlo, ma fu Haru a intervenire colpendo il mostro con la propria mano astrale. L'essere non subì danno, anzi la scagliò lontano come un insetto fastidioso.
Arnold indietreggiò e inciampò su una pietra. Si ritrovò seduto per terra e vide la lancia affondare verso il viso.
Chiuse gli occhi e sentì un botto. Quando li riaprì, il vecchio stava spingendo l'essere verso un albero fatto di fiamme mutevoli e brillanti, con la stessa tecnica di un lottatore di sumo. L'umanoide provava a resistere, ma inutilmente.
Quando furono vicini alla pianta, il vecchio strinse la creatura in un abbraccio: "Quando capirete che nessuno può prendere il controllo di questo posto, per usarlo ai propri scopi?"
A quel punto saltò nelle fiamme insieme a lui. Entrambi scomparvero.
Per quanto conoscesse il vecchio da poche ore, Arnold si sentì come Frodo quando perde Gandalf. Si mise in piedi, allungò la mano verso Haru e l'aiutò ad alzarsi.
Poi la condusse verso l'albero di fiamme e lo toccò. La visione di un universo saturo di dolore lo indusse a interrompere subito il contatto.
"Che bella dormita che ho fatto!"
Arnold si voltò e vide il prete che si stiracchiava con aria soddisfatta.

Avevano finalmente raggiunto il monastero. Arnold avrebbe volto fermarsi per gustare quelli che potevano essere gli ultimi momenti con Haru. Lì dentro poteva esserci la fine di quell'esperienza. Ma il prete aveva fretta di incontrare Dio e Haru non pareva avere nulla in contrario.
Varcarono la soglia e si trovarono in un cortile pieno di creature aliene. Lumache colossali strisciavano pigre, giganti con troppe braccia si muovevano come se danzassero, grandi sfere dotate di lungi arti mollicci giravano come trottole.
"Dove siamo? Nella cantina di Mos Eisley?" chiese Arnold.
All'improvviso gli esseri si bloccarono.
Il Monaco apparve, come se si fosse materializzato dal nulla. Indossava un vecchio saio consunto e teneva il cappuccio calato sulla testa.
Il prete cadde in ginocchio, mormorando "Mio Signore..."
Dalle maniche del saio venne fuori una mano bianca e rugosa che, con delicatezza, si posò sul mento del prete e gli fece cenno di mettersi in piedi: "Alzati, figliolo. Non sono chi tu credi io sia."
Il prete obbedì, con espressione affranta.
Il Monaco tolse il cappuccio, svelando il volto del vecchio che lo aveva salvato dalla lancia dell'alieno.
"Chi sei veramente?" chiese
"Un pellegrino, come voi, richiamato troppo tempo fa da chi, allora, governava questo mondo e gli universi che da esso sbocciano."
"Perché ti portò qui? Perché l'hai fatto a noi?" chiese il prete, con voce stridula.
"Come voi, stavo per render nota agli uomini l'esistenza di questo mondo."
Arnold rifletté su quelle parole: le visioni del prete, le capacità di Haru e il suo esperimento erano pezzi di un puzzle che avrebbe rivelato l'universo madre e la sua natura. E l'umanità non era pronta.
"Perché sei venuto da noi, senza presentarti?" Questa volta la domanda proveniva da Haru.
"Volevo vedervi da vicino e capire con chi avevo a che fare. Mi avete aiutato quando ero bastonato, solo e sconfitto e vi siete aiutati l'un l'altro. Se, un giorno, uno di voi dovesse prendere il mio posto, so che proseguirebbe il mio compito. E vi ho fatti giungere fin qui, per darvi il tempo di iniziare a comprendere questo mondo, prima di conoscere chi lo governa."
"Saremo costretti a trascorrere qui il resto delle nostre vite?" Il prete aveva fatto un passo avanti e gridato la frase, rosso in viso.
Il monaco sorrise benevolo. "Nessuno di voi sarà obbligato a rimanere. Ovviamente lo spero. Chi sceglierà di farlo potrà esplorare, senza essere visto, gli infiniti universi e, un giorno forse, potrà prendere il mio posto. Se deciderete di tornare sulla Terra, la vostra scelta sarà irreversibile."
"Mandami indietro." Le mani del prete tremavano violentemente davanti al viso. "Non sopporto l'idea di un mondo senza Dio, ma meno ancora posso accettare di vivere insieme a colui che si è arrogato il ruolo di suo supplente. Devo aiutare i miei fedeli: se non possono sperare in un Dio che li ama, che almeno abbiano un uomo che conosce la verità e sta dalla loro parte."
"E voi?"
"Come potrei tornare in un mondo limitato, con tutta la conoscenza del multiverso a disposizione qui?" decise Arnold.
"Anch'io rimarrò" annuì. "Chi rinuncerebbe al Deva?"
"Avete fatto la scelta giusta" sancì il Monaco: poi levò una mano e il prete bruciò rapidamente in una fiammata bianca.
Quando di lui fu rimasto solo un mucchietto di cenere, il Monaco si scusò: "Mi spiace per il vostro amico. Se lo avessi lasciato andare, prima o poi sarebbero arrivati eserciti di conquista. È già successo."
Si calò di nuovo il cappuccio sulla testa e scomparve.
Arnold allungò la mano verso Haru e sentì che anche lei tremava. La guardò negli occhi e l'abbracciò.
Erano insieme e, per ora, contava solo questo.



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Vastatio
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Re: Il Supplente - di Angelo Frascella

Messaggio#2 » lunedì 27 febbraio 2017, 14:10

C'è Ren. Tempo perso commentare gli altri.

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angelo.frascella
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Re: Il Supplente - di Angelo Frascella

Messaggio#3 » lunedì 27 febbraio 2017, 14:22

Vastatio ha scritto:C'è Ren. Tempo perso commentare gli altri.


Dimmelo almeno con un meme!
(e comunque gli altri dal secondo al quarto posto devi classificarli :P)

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Sonia Lippi
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Re: Il Supplente - di Angelo Frascella

Messaggio#4 » martedì 28 febbraio 2017, 15:59

Ciao Angelo,
il racconto mi è piaciuto, ovviamente non ho nulla da dire sul tuo stile di scrittura, è piacevole, scorrevole e chiaro.

avrei voluto più ambientazione quello si, ma capisco anche ( ed è anche un mio limite) che è difficile soddisfare tutto in 20.000 caratteri, qualcosa purtroppo deve essere sacrificato.

bello il finale, il prete mi stava antipatico

Altro non ho da dirti

buona giornata

Sonia

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Vastatio
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Re: Il Supplente - di Angelo Frascella

Messaggio#5 » martedì 28 febbraio 2017, 17:06

Ciao,

Un prete, uno scienziato e una monaca entrano in una specie di giardino dove i colori sono scelti in base al massimo fastidio che possano causare all'occhio umano. Il prete ha le visioni da quando era piccolo, lo scienziato ha ancora addosso il suo camice da laboratorio e la monaca sono cinque anni che non si fa uno scienziato. Che culo averne uno a disposizione!
L'idea del tuo "centro stella" di tutti gli universi è interessante, così come il "pericolo" che incombe sul giardino per via di tutto quelli che vorrebbero conquistarlo.
Mi è piaciuto il riferimento al giardino dell'eden, con alberi e mele (il prete dovrebbe pur saperlo che non si mangiano i primi frutti che si vedono a un albero) a ricollegare i miti.
Forse un po' troppo "razionale", visto dove ci stai buttando, la spiegazione della risonanza degli organi. Spezza un po' la magia del luogo, ma non credo che il tuo scopo fosse quello di creare un ambiente "magico".
Quella che trovo un po' forzata è la dinamica tra i protagonisti, tre personalità molto diverse, e volendo "estreme", che collaborano in un ambiente sconosciuto e surreale con un pragmatismo incredibile, limitandosi a poche frecciatine.
In generale mi sono sentito smarrito nel tuo mondo, ma senza la tranquillità dei tuoi protagonisti.

Tema: non credo che l'eccesso di colori si possa definire "arte" di conquistare il mondo (o i mondi), né sottile, né spessa.

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angelo.frascella
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Re: Il Supplente - di Angelo Frascella

Messaggio#6 » martedì 28 febbraio 2017, 22:48

Grazie, Sonia.

Per Roberto:

Vastatio ha scritto: Un prete, uno scienziato e una monaca entrano in una specie di giardino dove i colori sono scelti in base al massimo fastidio che possano causare all'occhio umano.


ROTFL

Vastatio ha scritto:
Tema: non credo che l'eccesso di colori si possa definire "arte" di conquistare il mondo (o i mondi), né sottile, né spessa.


Per quello che riguarda la sottile arte di dominare (e non conquistare) il mondo (anzi, in questo caso i mondi) è quella esercitata dal "monaco".

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ceranu
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Re: Il Supplente - di Angelo Frascella

Messaggio#7 » mercoledì 1 marzo 2017, 23:30

Ciao Angelo, già che ci sono passo anche da te.
Il racconto è molto bello, il posto in cui si ritrovano è evocativo e i personaggi ottimamente delineati. Mi piace.
Però occhio al finale,la scelta sembra presa più secondo degli stereotipi piuttosto che dai personaggi. In fase di revisione concentrati su quella parte e allungala un po' concedendo ai personaggi di avere dei dubbi. Per esempio, lo scienziato avrebbe la possibilità di rientrare e terminare la ricerca che sa essere giusta. Lei prende addirittura la decisione perché dice di essere arrivata dove doveva. Il prete, di contro, fa l'egoista.
Non so, nessuno di loro ha affetti da cui tornare? Mogli, figli, madri. Usa le 1000 battute per rendere la scelta combattuta.
Comunque, ottimo lavoro!

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angelo.frascella
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Re: Il Supplente - di Angelo Frascella

Messaggio#8 » mercoledì 1 marzo 2017, 23:43

Grazie, Francesco.

ceranu ha scritto:Usa le 1000 battute per rendere la scelta combattuta.

Ok (ammesso di arrivare alla semifinale :)

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Linda De Santi
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Re: Il Supplente - di Angelo Frascella

Messaggio#9 » domenica 5 marzo 2017, 21:27

Ciao Angelo, bello il tuo racconto. Riecheggia molto certe atmosfere e certi elementi del film di Dottor Strange. Mi sono piaciute soprattutto le descrizioni, per quanto sia una che non ama le descrizioni lunghe e dettagliate, in questo caso mi sarebbe piaciuto che le tue fossero più lunghe.
A mio avviso dovresti rendere Arnold un po’ più indeciso nella parte finale; tra la monaca che è già convinta di restare e il prete che non vuole farlo, lui avrebbe potuto essere quello che rimane più a lungo a ponderare la scelta fino ad arrivare alla sua decisione finale.
Per il resto, ottimo lavoro. Alla prossima!

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angelo.frascella
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Re: Il Supplente - di Angelo Frascella

Messaggio#10 » lunedì 6 marzo 2017, 22:56

Grazie, Linda.

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