Il mulinello nella corrente
Il mulinello nella corrente
Una giornata a correre. Ora sono le 18 e 34, la sveglia è suonata alle 6 e 50 e non ho ancora finito. Costantemente rincorso dalla fretta, un tetris umano continuato, almeno non devo parcheggiare la macchina. Click sul telecomando e la serranda si apre, garage, quasi casa.
Esco dall’auto, chiudo la portiera, metto le chiavi nella tasca della giacca; prevedo il loro cozzare contro quelle di casa, ma niente, non succede. Pongo altra mano in altra tasca, e di nuovo niente. Tasca destra pantalone, nada, tasca sinistra pantalone... nulla.
Passo alla fase dei movimenti nervosi e un po' convulsi, setaccio la borsa del lavoro ma delle chiavi neanche traccia! Riapro macchina, perlustro l’abitacolo con frenesia, niente di niente, merdaaaaaaaa.
In garage c’è uno sgabello, lo uso quando scendo a fare piccoli lavori e per imbottigliare quando arrivano le damigiane di dolcetto e barbera che ogni anno diligentemente con gli amici Jimmi e Koba andiamo a recuperare nelle langhe.
Mi siedo, sospiro. Decreto le chiavi di casa disperse, chissà dove?
Guardo intorno.
Il mio garage, beh mio, lo affitto. Il mio garage è una sorta di elaborato misto di funzionalità e ricordi.
C’è la cassetta degli attrezzi, le catene invernali per l’auto, la dispensa dei cibi che si conservano a lungo e dei quali non è male avere una certa scorta.
Ma oltre la voce: meticolosa organizzazione della casa; vi è quella parte che funge da scrigno dei ricordi, un’intera parete di scaffali che si potrebbe appellare: la miniera dei tempi che furono, tesori senza ori e qualche dolore di tenue colore.
Faccio una torsione celebrale per evitare i cul de sac della mia mente, mi alzo dallo sgabello e inizio tramite la coordinazione di vista e tatto a tastare con gli occhi e ad osservare con le mani; comincio a sentire le esperienze che attraverso il contatto con questi oggetti: rivivono.
Accarezzo il pallone da basket e sento il rumore della sfera sul cerchio di ferro del canestro, e i lunghi attimi di dubbio atroce prima che attraversasse la retina per decretare la vittoria dei Castor, la nostra squadra, nel campionato regionale 2005/06!
Riprendo tra le mani il telescopio regalatomi per natale quando ero in prima media, e mi coglie il ricordo dell’emozione di quella notte stellata in cui per la prima volta lo misi a fuoco. Ciò avvenne mentre con Cate, mia sorella, cercavamo di individuare la costellazione di Orione, i primi tempi lo chiamavamo “il magico telescopio interstellare”. Era un po' come essere più vicini alle stelle e così essere partecipi anche solo un poco dell’immenso firmamento, con lo sguardo di piccoli aspiranti astronauti.
Poi passo le punte dei polpastrelli sui pennelli ancora dolci che usavo per dipingere in acrilico, ma insieme ai getti di colore ed alle forme profuse, ricompare dentro tutta l’irrequietezza che mi faceva dire: “con la pittura ho trovato un modo per esorcizzare la mia follia, la schizzo e la contorno su tela”. Durante un viaggio tutto d'un tratto mi scoprii a dipingere immagini di rara bellezza, della gioia emerse all’improvviso e poi, in una strana sera di altrui furia umana innescata da mie parole, scomparve di nuovo.
Tolgo uno scatolone dallo scaffale e ne estraggo alcuni quaderni di appunti, cerco quello del corso di Etnologia dell’Oceania, sfoglio le pagine scritte fitte fitte. Proprio seguendo questo corso ebbe origine l’idea della mia ricerca di tesi sulla risignificazione dell’uso del tatuaggio tradizionale da parte dei giovani di origine Maori in Nuova Zelanda.
Tesi sperimentale, condotta in loco con ricerca sul campo: ricordo gli incontri, la natura totale di quei luoghi e poi la faticosa scrittura, fino al giorno della discussione. Un successo, forse effimero, sorrisi ed un gran sospiro finale.
Ma ecco che la mano destra continua il suo viaggio tra gli scaffali della miniera e incontra loro!
Maestose e compatte al tempo stesso, si ergono in verticale, determinate e disposte a tutto anche mentre sono appoggiate in un anfratto di seminterrato. Sono due, sono le canne da pesca regalatemi da Nonno Ettore.
Il dito indice della mano destra si muove delicato sul contorno della prima, partendo dall’alto, dagli occhielli che compongono un disegno di cerchi, dal più piccolo al più grande uno in sequenza ravvicinata all’altro nella canna ritratta.
Ritratta ma pronta al dispiegamento telescopico per entrare in azione qualora ce ne fosse necessità.
Il dito scende con una carezza evocativa e rispettosa e arriva al mulinello, ancora innestato sull’asta. Il polpastrello zigzaga tra le parti di questo piccolo, perfetto ingranaggio.
È scorrendo sul semicerchio di acciaio, chiamato guidafilo, che dall’indice parte come una scossa elettrica rivelatoria che si innesta nella mente.
Scaturisce così il pensiero che ogni ricordo, per lontano che sia, si svolge “adesso”, nel momento in cui la mente lo richiama. Più si ricorda una cosa, più la mente riesce a rifinire l’esperienza originaria, perché ogni ricordo ricrea l’esperienza, non è una riproduzione.
“La pesca è un’arte”, parole di Nonno Ettore, la pesca come modo di confrontarsi con il mondo.
“Lo ha spiegato bene l’Ernesto”, così diceva di Hemingway, “l’ha insegnato a tutto il mondo, in un libricino come «Il vecchio e il mare» ha trovato il modo di dire cose che altri si sognano di scrivere in una vita”.
Perchè il pesce lo devi sentire, Nonno mai sarebbe andato in pescheria, al mercato del pesce o peggio che mai ad un supermercato, il pesce che si mangia va tratto, va conquistato.
Unica eccezione per la pasta tonno e piselli che si preparava quando Nonna era impegnata in qualche settimana di accudimento di noi nipotini presso le nostre case ad aiutare solidalmente con la concreta presenza le nostre madri, necessario momento di sollievo e comprensione intragenere di mamme intergenerazionali.
Tornando al Nonno: pescare, il suo modo di confrontarsi con la natura e con sè stesso. Questo modo di intendere la pesca a me, suo nipote, lo aveva trasmesso in pieno.
Quando si andava a pescare insieme era una gioia ma anche un bell’impegno, sveglia presto la mattina e pranzo al sacco, per me ogni volta un’avventura.
Salendo al fiume sui sentieri Nonno mi diceva il nome degli alberi, ne sapeva un sacco, e mi raccontava storie di montagna, di contrabbandieri e di partigiani, “le storie dei partigiani sono le più importanti ma sempre si incontrano con le altre” e anche di queste, come per i nomi degli alberi, ne sapeva un sacco.
Io ascoltavo e imparavo, e nel montare le canne insieme avveniva la trasmissione di tanta cura, dedizione e attenzione.
Io in particolare sono sempre rimasto estasiato dal mulinello, dal suo movimento, quel salire e rotare, circolarmente perfetto e poi senza interruzione alcuna ritornare e riprendere il medesimo movimento, lo stesso ma diverso, ricorsivo gesto di fisica meccanica.
“Il momento più importante della pesca è quando il gallegiante va giù, il pesce ha abboccato alla lenza e comincia la lotta, la canna si inarca e l’animale tira, e il pescatore è predatore”.
È lì, il mulinello che così tanti giri identici ha compiuto a vuoto, ora è a pieno titolo impegnato in un’impresa unica, ne ha già viste tante, né vedrà altre, ma questa sarà comunque a modo suo unica.
È a questo che pensavo quando portavo Nonno a pescare le ultime volte, lui che era così meticoloso ora aveva incontrato la svilente condizione della degenerazione neurologica.
I primi sintomi erano cominciati quando iniziò a mettere oggetti di suo uso in luoghi strampalati, la tenaglia da lavoro in dispensa, il cibo per gatti nell’armadio dei vestiti, la tanica di miscela per il decespugliatore in cantina a fianco alle bottiglie di vino.
Poi iniziò perdere il senso dell’orientamento, per alcuni periodi di tempo era come se entrasse in una parentesi d’ignoto, non era semplice da controllare questa cosa.
Perché finché la questione era rinvenire i suoi oggetti in luoghi anomali, era una stranezza ma tutto lì, ma poi quando Nonno cominciò a trovarsi in qualche parte di Torino senza sapere più dove fosse e senza ricordarsi indirizzo di casa né tantomeno approssimativamente la zona dove fosse collocata, diventò un gran casino.
È si perché poi mica lo capivi nei primi tempi che poteva arrivare quello stato di alterazione lì, che Nonno passava così repentinamente dalla lucidità al caos. E la prima volta che successe fu lo spavento maggiore, proprio perché inatteso, le volte successive quando Nonno non rincasava sull’orario previsto, Nonna dopo mezzora lanciava l’allarme e tutti eravamo mobilitati in pattugliamenti per cercarlo. Io partivo a razzo con il mio scooter.
E quando lo trovavamo, a volte dopo ore di ricerche, lui poi quando si riorientava minimizzava tutto. Anche perché quando era lucido, lo era proprio in pieno.
Con noi nipoti che siamo tanti, nove, sui i nomi ha sempre fatto un po' di confusione, è anche comprensibile, e comunque diceva “che cambia, vi voglio un gran bene a tutti, voialtri Gianburrasca”.
Ma poi accadde che un giorno quando mia Mamma passò a portargli il risultato di una visita medica, quando Nonno andò alla porta per aprirle, ecco, lui non la riconobbe.
Per mia Mamma fu un colpo al cuore, inizialmente non capiva cosa stesse succedendo, finché non succede non lo si può capire. Un genitore che non riconosce un figlio è straniante, una negazione di senso. L’Alzheimer è una bestia difficile da affrontare.
Così cominciò a non riconoscere le persone, a volte si, a volte no, gli amici del circolo, il panettiere, e anche noi di famiglia.
In quel periodo ancora andavamo a pesca, non spesso ma una volta al mese, più o meno, succedeva, i ruoli si erano un po' ribaltati perché ora ero io a portare il Nonno a pescare e non viceversa.
Fisicamente era ancora in gamba, anche perché dopo una gioventù contadina aveva intrapreso la migrazione verso al città per entrare nelle officine meccaniche. Risultato: il suo fisico era rimasto scolpito e segnato da una vita a lavorare con la forza delle braccia e dall’appassionata pratica ciclistica.
Ogni volta che s’andava c’era da litigare perché provava sempre a dire che doveva guidare lui, ma poi di fronte all’aut-aut “o così o niente pesca”, accettava bofonchiando. L’incazzo durava qualche minuto ma poi Nonno si rianimava appieno appena iniziavamo a parlare di pesca, degli esemplari da prendere, delle lenza da usare, dei piombini da mettere, di quale filo montare e tutto il resto.
I mulinelli erano sempre lì con noi a disegnare il loro movimento perfetto.
Ecco, Nonno aveva cominciato ad avere le amnesie rispetto al riconoscerci, i familiari e anche con me accadeva. Al punto che Mamma mi chiese se me la sentivo ancora di andare a pesca con lui.
Certo qualche dubbio mi era venuto, ma poi pensavo che me la sentivo, eccome.
La pesca era stato un suo dono e io glielo avrei donato a mia volta.
Ogni sessione di pesca da sempre era stata unica, e sempre una sfida, avrebbe continuato ad essere così.
É perché in quel fare pratico, in azione, il corpo aveva il suo bagaglio di memoria, di movimenti, che interagiscono con la mente, ma non dipendono da essa. È un sapere diffuso.
E anche perché nei momenti di pesca, esperienza viva, continuava quella sfida, del confronto con il pesce e con sé stesso. E in quei momenti era libero, libero davvero.
E perfetto a modo suo, come il movimento del mulinello.
E così era e così è, e mentre eravamo in sessione intensa di pesca, accadde, il galleggiante scese sottacqua, la canna si curvò con movimento brusco, un bel pesce aveva abboccato.
Nonno teneva salda la canna tra le mani ma faceva fatica perché il tiraggio era forte, io ad un metro e mezzo di distanza lo osservavo.
In quell’improbabile momento, Nonno si girò verso di me e proruppe con sguardo guardingo: “e tu chi sei?”, capivo che quello era un lampo in mezzo ad un flusso, una discrasia in un momento topico, era il movimento del mulinello che si inceppa, privo di senso sarebbe stato cercare di collocarmi all’interno dell’albero famigliare, in quanto figlio di sua figlia.
In quel momento ero altro, in quel momento stavamo vivendo entrambi per quel momento, senza nient’altro, niente altro che potesse frapporsi, che potesse immischiarsi…
Nonno mantenendo salda la tensione della canna incurvata che serrrava il filo teso, ripetè con le sopracciglia aggrottate “e tu, giovane, chi sei?”, gli risposi con la freschezza di chi dona un regalo e non ha bisogno di ringraziamenti: “sono il tuo compagno di pesca”, sul suo volto si scolpì un dolce sorriso e perentorio mi disse: “allora muoviti a darmi una mano con questo pesciazzo che tira come un toro!”.
Esco dall’auto, chiudo la portiera, metto le chiavi nella tasca della giacca; prevedo il loro cozzare contro quelle di casa, ma niente, non succede. Pongo altra mano in altra tasca, e di nuovo niente. Tasca destra pantalone, nada, tasca sinistra pantalone... nulla.
Passo alla fase dei movimenti nervosi e un po' convulsi, setaccio la borsa del lavoro ma delle chiavi neanche traccia! Riapro macchina, perlustro l’abitacolo con frenesia, niente di niente, merdaaaaaaaa.
In garage c’è uno sgabello, lo uso quando scendo a fare piccoli lavori e per imbottigliare quando arrivano le damigiane di dolcetto e barbera che ogni anno diligentemente con gli amici Jimmi e Koba andiamo a recuperare nelle langhe.
Mi siedo, sospiro. Decreto le chiavi di casa disperse, chissà dove?
Guardo intorno.
Il mio garage, beh mio, lo affitto. Il mio garage è una sorta di elaborato misto di funzionalità e ricordi.
C’è la cassetta degli attrezzi, le catene invernali per l’auto, la dispensa dei cibi che si conservano a lungo e dei quali non è male avere una certa scorta.
Ma oltre la voce: meticolosa organizzazione della casa; vi è quella parte che funge da scrigno dei ricordi, un’intera parete di scaffali che si potrebbe appellare: la miniera dei tempi che furono, tesori senza ori e qualche dolore di tenue colore.
Faccio una torsione celebrale per evitare i cul de sac della mia mente, mi alzo dallo sgabello e inizio tramite la coordinazione di vista e tatto a tastare con gli occhi e ad osservare con le mani; comincio a sentire le esperienze che attraverso il contatto con questi oggetti: rivivono.
Accarezzo il pallone da basket e sento il rumore della sfera sul cerchio di ferro del canestro, e i lunghi attimi di dubbio atroce prima che attraversasse la retina per decretare la vittoria dei Castor, la nostra squadra, nel campionato regionale 2005/06!
Riprendo tra le mani il telescopio regalatomi per natale quando ero in prima media, e mi coglie il ricordo dell’emozione di quella notte stellata in cui per la prima volta lo misi a fuoco. Ciò avvenne mentre con Cate, mia sorella, cercavamo di individuare la costellazione di Orione, i primi tempi lo chiamavamo “il magico telescopio interstellare”. Era un po' come essere più vicini alle stelle e così essere partecipi anche solo un poco dell’immenso firmamento, con lo sguardo di piccoli aspiranti astronauti.
Poi passo le punte dei polpastrelli sui pennelli ancora dolci che usavo per dipingere in acrilico, ma insieme ai getti di colore ed alle forme profuse, ricompare dentro tutta l’irrequietezza che mi faceva dire: “con la pittura ho trovato un modo per esorcizzare la mia follia, la schizzo e la contorno su tela”. Durante un viaggio tutto d'un tratto mi scoprii a dipingere immagini di rara bellezza, della gioia emerse all’improvviso e poi, in una strana sera di altrui furia umana innescata da mie parole, scomparve di nuovo.
Tolgo uno scatolone dallo scaffale e ne estraggo alcuni quaderni di appunti, cerco quello del corso di Etnologia dell’Oceania, sfoglio le pagine scritte fitte fitte. Proprio seguendo questo corso ebbe origine l’idea della mia ricerca di tesi sulla risignificazione dell’uso del tatuaggio tradizionale da parte dei giovani di origine Maori in Nuova Zelanda.
Tesi sperimentale, condotta in loco con ricerca sul campo: ricordo gli incontri, la natura totale di quei luoghi e poi la faticosa scrittura, fino al giorno della discussione. Un successo, forse effimero, sorrisi ed un gran sospiro finale.
Ma ecco che la mano destra continua il suo viaggio tra gli scaffali della miniera e incontra loro!
Maestose e compatte al tempo stesso, si ergono in verticale, determinate e disposte a tutto anche mentre sono appoggiate in un anfratto di seminterrato. Sono due, sono le canne da pesca regalatemi da Nonno Ettore.
Il dito indice della mano destra si muove delicato sul contorno della prima, partendo dall’alto, dagli occhielli che compongono un disegno di cerchi, dal più piccolo al più grande uno in sequenza ravvicinata all’altro nella canna ritratta.
Ritratta ma pronta al dispiegamento telescopico per entrare in azione qualora ce ne fosse necessità.
Il dito scende con una carezza evocativa e rispettosa e arriva al mulinello, ancora innestato sull’asta. Il polpastrello zigzaga tra le parti di questo piccolo, perfetto ingranaggio.
È scorrendo sul semicerchio di acciaio, chiamato guidafilo, che dall’indice parte come una scossa elettrica rivelatoria che si innesta nella mente.
Scaturisce così il pensiero che ogni ricordo, per lontano che sia, si svolge “adesso”, nel momento in cui la mente lo richiama. Più si ricorda una cosa, più la mente riesce a rifinire l’esperienza originaria, perché ogni ricordo ricrea l’esperienza, non è una riproduzione.
“La pesca è un’arte”, parole di Nonno Ettore, la pesca come modo di confrontarsi con il mondo.
“Lo ha spiegato bene l’Ernesto”, così diceva di Hemingway, “l’ha insegnato a tutto il mondo, in un libricino come «Il vecchio e il mare» ha trovato il modo di dire cose che altri si sognano di scrivere in una vita”.
Perchè il pesce lo devi sentire, Nonno mai sarebbe andato in pescheria, al mercato del pesce o peggio che mai ad un supermercato, il pesce che si mangia va tratto, va conquistato.
Unica eccezione per la pasta tonno e piselli che si preparava quando Nonna era impegnata in qualche settimana di accudimento di noi nipotini presso le nostre case ad aiutare solidalmente con la concreta presenza le nostre madri, necessario momento di sollievo e comprensione intragenere di mamme intergenerazionali.
Tornando al Nonno: pescare, il suo modo di confrontarsi con la natura e con sè stesso. Questo modo di intendere la pesca a me, suo nipote, lo aveva trasmesso in pieno.
Quando si andava a pescare insieme era una gioia ma anche un bell’impegno, sveglia presto la mattina e pranzo al sacco, per me ogni volta un’avventura.
Salendo al fiume sui sentieri Nonno mi diceva il nome degli alberi, ne sapeva un sacco, e mi raccontava storie di montagna, di contrabbandieri e di partigiani, “le storie dei partigiani sono le più importanti ma sempre si incontrano con le altre” e anche di queste, come per i nomi degli alberi, ne sapeva un sacco.
Io ascoltavo e imparavo, e nel montare le canne insieme avveniva la trasmissione di tanta cura, dedizione e attenzione.
Io in particolare sono sempre rimasto estasiato dal mulinello, dal suo movimento, quel salire e rotare, circolarmente perfetto e poi senza interruzione alcuna ritornare e riprendere il medesimo movimento, lo stesso ma diverso, ricorsivo gesto di fisica meccanica.
“Il momento più importante della pesca è quando il gallegiante va giù, il pesce ha abboccato alla lenza e comincia la lotta, la canna si inarca e l’animale tira, e il pescatore è predatore”.
È lì, il mulinello che così tanti giri identici ha compiuto a vuoto, ora è a pieno titolo impegnato in un’impresa unica, ne ha già viste tante, né vedrà altre, ma questa sarà comunque a modo suo unica.
È a questo che pensavo quando portavo Nonno a pescare le ultime volte, lui che era così meticoloso ora aveva incontrato la svilente condizione della degenerazione neurologica.
I primi sintomi erano cominciati quando iniziò a mettere oggetti di suo uso in luoghi strampalati, la tenaglia da lavoro in dispensa, il cibo per gatti nell’armadio dei vestiti, la tanica di miscela per il decespugliatore in cantina a fianco alle bottiglie di vino.
Poi iniziò perdere il senso dell’orientamento, per alcuni periodi di tempo era come se entrasse in una parentesi d’ignoto, non era semplice da controllare questa cosa.
Perché finché la questione era rinvenire i suoi oggetti in luoghi anomali, era una stranezza ma tutto lì, ma poi quando Nonno cominciò a trovarsi in qualche parte di Torino senza sapere più dove fosse e senza ricordarsi indirizzo di casa né tantomeno approssimativamente la zona dove fosse collocata, diventò un gran casino.
È si perché poi mica lo capivi nei primi tempi che poteva arrivare quello stato di alterazione lì, che Nonno passava così repentinamente dalla lucidità al caos. E la prima volta che successe fu lo spavento maggiore, proprio perché inatteso, le volte successive quando Nonno non rincasava sull’orario previsto, Nonna dopo mezzora lanciava l’allarme e tutti eravamo mobilitati in pattugliamenti per cercarlo. Io partivo a razzo con il mio scooter.
E quando lo trovavamo, a volte dopo ore di ricerche, lui poi quando si riorientava minimizzava tutto. Anche perché quando era lucido, lo era proprio in pieno.
Con noi nipoti che siamo tanti, nove, sui i nomi ha sempre fatto un po' di confusione, è anche comprensibile, e comunque diceva “che cambia, vi voglio un gran bene a tutti, voialtri Gianburrasca”.
Ma poi accadde che un giorno quando mia Mamma passò a portargli il risultato di una visita medica, quando Nonno andò alla porta per aprirle, ecco, lui non la riconobbe.
Per mia Mamma fu un colpo al cuore, inizialmente non capiva cosa stesse succedendo, finché non succede non lo si può capire. Un genitore che non riconosce un figlio è straniante, una negazione di senso. L’Alzheimer è una bestia difficile da affrontare.
Così cominciò a non riconoscere le persone, a volte si, a volte no, gli amici del circolo, il panettiere, e anche noi di famiglia.
In quel periodo ancora andavamo a pesca, non spesso ma una volta al mese, più o meno, succedeva, i ruoli si erano un po' ribaltati perché ora ero io a portare il Nonno a pescare e non viceversa.
Fisicamente era ancora in gamba, anche perché dopo una gioventù contadina aveva intrapreso la migrazione verso al città per entrare nelle officine meccaniche. Risultato: il suo fisico era rimasto scolpito e segnato da una vita a lavorare con la forza delle braccia e dall’appassionata pratica ciclistica.
Ogni volta che s’andava c’era da litigare perché provava sempre a dire che doveva guidare lui, ma poi di fronte all’aut-aut “o così o niente pesca”, accettava bofonchiando. L’incazzo durava qualche minuto ma poi Nonno si rianimava appieno appena iniziavamo a parlare di pesca, degli esemplari da prendere, delle lenza da usare, dei piombini da mettere, di quale filo montare e tutto il resto.
I mulinelli erano sempre lì con noi a disegnare il loro movimento perfetto.
Ecco, Nonno aveva cominciato ad avere le amnesie rispetto al riconoscerci, i familiari e anche con me accadeva. Al punto che Mamma mi chiese se me la sentivo ancora di andare a pesca con lui.
Certo qualche dubbio mi era venuto, ma poi pensavo che me la sentivo, eccome.
La pesca era stato un suo dono e io glielo avrei donato a mia volta.
Ogni sessione di pesca da sempre era stata unica, e sempre una sfida, avrebbe continuato ad essere così.
É perché in quel fare pratico, in azione, il corpo aveva il suo bagaglio di memoria, di movimenti, che interagiscono con la mente, ma non dipendono da essa. È un sapere diffuso.
E anche perché nei momenti di pesca, esperienza viva, continuava quella sfida, del confronto con il pesce e con sé stesso. E in quei momenti era libero, libero davvero.
E perfetto a modo suo, come il movimento del mulinello.
E così era e così è, e mentre eravamo in sessione intensa di pesca, accadde, il galleggiante scese sottacqua, la canna si curvò con movimento brusco, un bel pesce aveva abboccato.
Nonno teneva salda la canna tra le mani ma faceva fatica perché il tiraggio era forte, io ad un metro e mezzo di distanza lo osservavo.
In quell’improbabile momento, Nonno si girò verso di me e proruppe con sguardo guardingo: “e tu chi sei?”, capivo che quello era un lampo in mezzo ad un flusso, una discrasia in un momento topico, era il movimento del mulinello che si inceppa, privo di senso sarebbe stato cercare di collocarmi all’interno dell’albero famigliare, in quanto figlio di sua figlia.
In quel momento ero altro, in quel momento stavamo vivendo entrambi per quel momento, senza nient’altro, niente altro che potesse frapporsi, che potesse immischiarsi…
Nonno mantenendo salda la tensione della canna incurvata che serrrava il filo teso, ripetè con le sopracciglia aggrottate “e tu, giovane, chi sei?”, gli risposi con la freschezza di chi dona un regalo e non ha bisogno di ringraziamenti: “sono il tuo compagno di pesca”, sul suo volto si scolpì un dolce sorriso e perentorio mi disse: “allora muoviti a darmi una mano con questo pesciazzo che tira come un toro!”.
Ultima modifica di lukecoste il giovedì 17 agosto 2017, 18:35, modificato 1 volta in totale.
- Il Dottore
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Re: Il mulinello nella corrente
Ciao, Lukecoste e benvenuto.
Spero tu ti diverta nel Laboratorio.
Ti ricordo che, se aspiri alla Vetrina, devi mandare la tua identità all'Antico (o in alternativa a Maurizio Bertino, nick sul forum Peter7413, visto che l'Antico è lui, tramite il messaggio privato presente qui sul forum). Nel caso tu non voglia che la tua identità venga resa nota, Maurizio la terrà per sé.
Spero tu ti diverta nel Laboratorio.
Ti ricordo che, se aspiri alla Vetrina, devi mandare la tua identità all'Antico (o in alternativa a Maurizio Bertino, nick sul forum Peter7413, visto che l'Antico è lui, tramite il messaggio privato presente qui sul forum). Nel caso tu non voglia che la tua identità venga resa nota, Maurizio la terrà per sé.
Sono pronto a vivisezionare i vostri racconti... soffriranno, ma sarà per il vostro bene!
- Il Dottore
- Messaggi: 478
Re: Il mulinello nella corrente
Aggiungo un'altra informazione: in questo momento gli altri racconti attivi (e quindi in attesa di commento) nel Tavolo di lavoro, sono:
- "Diluvio Universale" di M R Del Ciello
- "Come falene di carta" di Sara Todde
- "Un mazzo di rose color ruggine" di Sara Todde
- "La sospensione" di Alexandra Fischer
Gli altri sono in attesa di andare in archivio o in vetrina.
- "Diluvio Universale" di M R Del Ciello
- "Come falene di carta" di Sara Todde
- "Un mazzo di rose color ruggine" di Sara Todde
- "La sospensione" di Alexandra Fischer
Gli altri sono in attesa di andare in archivio o in vetrina.
Sono pronto a vivisezionare i vostri racconti... soffriranno, ma sarà per il vostro bene!
-
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Re: Il mulinello nella corrente
IL MULINELLO NELLA CORRENTE di Lukecoste Molto bella l’idea di far muovere il protagonista nel garage di casa per caratterizzarlo (direi che si tratta di un esperimento di “mostra, non dire” molto riuscito). Io l’ho trovato suggestivo. Il protagonista è un tipo molto complesso (si passa dai ricordi del basket a quelli della passione per l’astronomia e la pittura ad acrilico, fino alla tesi sui tatuaggi Maori), intellettualmente curioso, dotato di talento artistico e di una zona emotiva buia. La parte che mi ha colpita di più è stata quella di Nonno Ettore, appassionato di pesca e conoscitore di Hemingway (“il vecchio e il mare”), dal tragico destino (si ammala di Alzheimer) ma con una luce nel buio: la passione per la pesca che condivide con il nipote, abilità che non perde pur nel degenerare della malattia (l’attrezzatura da pesca nel garage rimane come ricordo del nonno, a simboleggiarne la forza nonostante la malattia).
C’è qualcosa da rivedere prima di provare a chiamare il Dottore per la Vetrina. Aspetto notizie.
Attenzione a: 18e34, 6e50 (staccare la e dai numeri).
Nella frase Costantemente ricorso dalla fretta, toglierei un riferito a “tetris umano” e allungherei la frase togliendo il punto a capo e continuando con: almeno non devo parcheggiare la macchina.
Riformulandola così: Costantemente ricorso dalla fretta, tetris umano, almeno non devo parcheggiare la macchina.
E riformulerei la frase successiva: Click sul telecomando e la serranda si apre, garage, quasi casa.
Pantalone tasca destra, pantalone tasca sinistra (meglio: Tasca destra pantalone, tasca sinistra pantalone).
Dame (meglio damigiane). Non si scrive nulla maiuscolo dopo i puntini di sospensione.
Bhé si scrive: beh, oppure, bè.
Ri-vivono si scrive: Rivivono.
si affermazione si scrive: sì.
Fittefitte si scrive fitte fitte.
Durante un viaggio mi scoprì. Frase poco chiara: qualcuno scoprì il protagonista a dipingere? Oppure volevi scrivere mi scoprii?
Kaos si scrive caos.
Muviti, refuso: Muoviti.
C’è qualcosa da rivedere prima di provare a chiamare il Dottore per la Vetrina. Aspetto notizie.
Attenzione a: 18e34, 6e50 (staccare la e dai numeri).
Nella frase Costantemente ricorso dalla fretta, toglierei un riferito a “tetris umano” e allungherei la frase togliendo il punto a capo e continuando con: almeno non devo parcheggiare la macchina.
Riformulandola così: Costantemente ricorso dalla fretta, tetris umano, almeno non devo parcheggiare la macchina.
E riformulerei la frase successiva: Click sul telecomando e la serranda si apre, garage, quasi casa.
Pantalone tasca destra, pantalone tasca sinistra (meglio: Tasca destra pantalone, tasca sinistra pantalone).
Dame (meglio damigiane). Non si scrive nulla maiuscolo dopo i puntini di sospensione.
Bhé si scrive: beh, oppure, bè.
Ri-vivono si scrive: Rivivono.
si affermazione si scrive: sì.
Fittefitte si scrive fitte fitte.
Durante un viaggio mi scoprì. Frase poco chiara: qualcuno scoprì il protagonista a dipingere? Oppure volevi scrivere mi scoprii?
Kaos si scrive caos.
Muviti, refuso: Muoviti.
Re: Il mulinello nella corrente
Buonasera Alexandra, grazie per i tuoi commenti e suggerimenti, ora mi pongo in elaborazione.
Su "Ri-vivono" il trattino è pensato per accentuare l'idea che gli accadimenti venendo ricordati dalla mente accedono appieno ad una vitalità altra. Provo a pensare a come renderlo meglio, i restanti li accolgo. salut!
Su "Ri-vivono" il trattino è pensato per accentuare l'idea che gli accadimenti venendo ricordati dalla mente accedono appieno ad una vitalità altra. Provo a pensare a come renderlo meglio, i restanti li accolgo. salut!
Re: Il mulinello nella corrente
Buonasera Dottore, non riesco a trovare il modo di scivere ad Antico per presentazione poichè non mi è permesso di inviare messaggi privati, come devo fare?
- Il Dottore
- Messaggi: 478
Re: Il mulinello nella corrente
lukecoste ha scritto:Buonasera Dottore, non riesco a trovare il modo di scivere ad Antico per presentazione poichè non mi è permesso di inviare messaggi privati, come devo fare?
Ciao, Luke.
Gli sottopongo subito il problema.
Sono pronto a vivisezionare i vostri racconti... soffriranno, ma sarà per il vostro bene!
Re: Il mulinello nella corrente
Ciao Luke! Hai un contatto facebook? Mi trovi sia come Antico di Minuti Contati che come Maurizio Bertino. Nel caso, sentiamoci lì ;)
Re: Il mulinello nella corrente
Ciao Luke.
Ho trovato molto affascinante l'idea del protagonista che racconta sé stesso attraverso gli oggetti che incontra, ha un sacco di potenziale dal punto di vista emotivo,
tuttavia
ho l'impressione che il tuo racconto abbia un problema di stile, anzi , di tono: non ne hai scelto uno.
Inizi in maniera piuttosto semplice ed efficace, ed è chiaro che la voce narrante segue i pensieri del narratore sin dal principio, ma poi passi dal colloquiale "merdaaaaaaa! al formale "mi coglie il ricordo", dal "cul de sac" al "mi scoprii a dipingere immagini di rara bellezza" fino all'aulico "della gioia emerse all’improvviso e poi, in una strana sera di altrui furia umana innescata da mie parole, scomparve di nuovo".
Nulla ti vieta di variare tono, ma la variazione deve essere giustificata (dall'ironia? dalle circostanze? dagli altri personaggi del racconto?) narrativamente. La tua voce narrante passa dall'esser banale, quotidiana e volgare a scientifica, ipersensibile e iper razionale senza un vero motivo.
Allo stesso modo, vuoi esprimere idee forti, ma lo fai troppo esplicitamente e formalmente (almeno per i miei gusti) :"tutta l’irrequietezza che mi faceva dire: “con la pittura ho trovato un modo per esorcizzare la mia follia, la schizzo e la contorno su tela” ---> il tuo protagonista ha mai detto queste esatte parole, oppure è quello che pensa e dice a se stesso per giustificare la sua passione per la pittura?
Più volte ti perdi in periodi ridondanti e superflui, che non sono strettamente necessari per proseguire il racconto, come ad esempio "Proprio seguendo questo corso ebbe origine l’idea della mia ricerca di tesi sulla risignificazione dell’uso del tatuaggio tradizionale da parte dei giovani di origine Maori in Nuova Zelanda. " è una frase che certo potrei immaginare detta da un accademico in contesto accademico, ma qui la voce narrante sta parlando a se stessa e non ha alcun bisogno di essere così specifica o aulica, perché sono tutte cose che già conosce, e che al lettore non servono perché non hanno nulla a che fare con il resto della storia.
Chiedi a te stesso: questa informazione, questo periodo, questo paragrafo, è essenziale oppure no?
Il fatto che la voce narrante tiene del vino in garage o che ha giocato a pallacanestro in passato è in qualche modo rilevante, cioè connesso al resto della storia vera (quella della relazione tra lui e il nonno) oppure no? Penso che potresti benissimo separare il tuo racconto in due e ottenere due storie che stanno perfettamente in piedi da sole (il tizio che perde le chiavi in garage e trova oggetti della sua infanzia e la storia del nonno e del pesce).
Infine, occhio alla sintassi
C’è la cassetta degli attrezzi, le catene invernali per l’auto, la dispensa dei cibi ----> ci sono
qualora ce ne fosse necessità ---> qualora ce ne sia
era impegnata in qualche settimana di accudimento ---> era impegnata ad accudire per qualche settimana
ricorsivo gesto di fisica meccanica ---> tecnicamente, i mulinelli sono un fenomeno studiato dalla fluidodinamica, non dalla meccanica
Ho trovato molto affascinante l'idea del protagonista che racconta sé stesso attraverso gli oggetti che incontra, ha un sacco di potenziale dal punto di vista emotivo,
tuttavia
ho l'impressione che il tuo racconto abbia un problema di stile, anzi , di tono: non ne hai scelto uno.
Inizi in maniera piuttosto semplice ed efficace, ed è chiaro che la voce narrante segue i pensieri del narratore sin dal principio, ma poi passi dal colloquiale "merdaaaaaaa! al formale "mi coglie il ricordo", dal "cul de sac" al "mi scoprii a dipingere immagini di rara bellezza" fino all'aulico "della gioia emerse all’improvviso e poi, in una strana sera di altrui furia umana innescata da mie parole, scomparve di nuovo".
Nulla ti vieta di variare tono, ma la variazione deve essere giustificata (dall'ironia? dalle circostanze? dagli altri personaggi del racconto?) narrativamente. La tua voce narrante passa dall'esser banale, quotidiana e volgare a scientifica, ipersensibile e iper razionale senza un vero motivo.
Allo stesso modo, vuoi esprimere idee forti, ma lo fai troppo esplicitamente e formalmente (almeno per i miei gusti) :"tutta l’irrequietezza che mi faceva dire: “con la pittura ho trovato un modo per esorcizzare la mia follia, la schizzo e la contorno su tela” ---> il tuo protagonista ha mai detto queste esatte parole, oppure è quello che pensa e dice a se stesso per giustificare la sua passione per la pittura?
Più volte ti perdi in periodi ridondanti e superflui, che non sono strettamente necessari per proseguire il racconto, come ad esempio "Proprio seguendo questo corso ebbe origine l’idea della mia ricerca di tesi sulla risignificazione dell’uso del tatuaggio tradizionale da parte dei giovani di origine Maori in Nuova Zelanda. " è una frase che certo potrei immaginare detta da un accademico in contesto accademico, ma qui la voce narrante sta parlando a se stessa e non ha alcun bisogno di essere così specifica o aulica, perché sono tutte cose che già conosce, e che al lettore non servono perché non hanno nulla a che fare con il resto della storia.
Chiedi a te stesso: questa informazione, questo periodo, questo paragrafo, è essenziale oppure no?
Il fatto che la voce narrante tiene del vino in garage o che ha giocato a pallacanestro in passato è in qualche modo rilevante, cioè connesso al resto della storia vera (quella della relazione tra lui e il nonno) oppure no? Penso che potresti benissimo separare il tuo racconto in due e ottenere due storie che stanno perfettamente in piedi da sole (il tizio che perde le chiavi in garage e trova oggetti della sua infanzia e la storia del nonno e del pesce).
Infine, occhio alla sintassi
C’è la cassetta degli attrezzi, le catene invernali per l’auto, la dispensa dei cibi ----> ci sono
qualora ce ne fosse necessità ---> qualora ce ne sia
era impegnata in qualche settimana di accudimento ---> era impegnata ad accudire per qualche settimana
ricorsivo gesto di fisica meccanica ---> tecnicamente, i mulinelli sono un fenomeno studiato dalla fluidodinamica, non dalla meccanica
---
Va tutto bene.
Va tutto bene?
Va tutto bene.
Va tutto bene?
- Il Dottore
- Messaggi: 478
Re: Il mulinello nella corrente
Ciao, Luke.
Sei riuscito a contattare Maurizio?
Se non riesci a scrivergli dal forum, cercalo su Facebook (www.facebook.com/maurizio.bertino)
Sei riuscito a contattare Maurizio?
Se non riesci a scrivergli dal forum, cercalo su Facebook (www.facebook.com/maurizio.bertino)
Sono pronto a vivisezionare i vostri racconti... soffriranno, ma sarà per il vostro bene!
- maria rosaria
- Messaggi: 687
Re: Il mulinello nella corrente
Ciao Luke,
il tuo racconto è ricco di cose e hai fatto un ottimo lavoro di caratterizzazione soprattutto del personaggio del nonno.
Però, secondo me, la storia è un po' monca.
Mi spiego meglio.
Inizi con la perdita delle chiavi del protagonista, perdita che funge da gancio per una serie di ricordi che vengono evocati dagli oggetti presenti nel garage. Però il racconto, almeno per come l'ho letto io, finisce senza sapere cosa ne sarà del nostro protagonista.
Troverà le chiavi? Riuscirà a tornare a casa?
Leggo, tra le righe, che al nostro protagonista potrebbe star accadendo quello che poi è accaduto al nonno. Ma è tutto molto non detto e lasciato all'intuizione del lettore.
Credo che se riesci a trovare un appiglio per far scovare al nostro protagonista le chiavi (ma puoi anche decidere di lasciarlo marcire nel garage... ;) ) ecco che la storia si conclude.
Forse, se la mia interpretazione iniziale è giusta, sarebbe ancora più carino far trovare il protagonista da un altro familiare che l'ha cercato per mare e per monti mentre lui se ne stava lì a "ricordare" nel garage.
Devi, inoltre, lavorare sullo stile, sulla voce narrante, come già ti è stato fatto notare.
Perchè di materiale ce n'è e sarebbe peccato non sfruttarlo.
Alla prossima.
il tuo racconto è ricco di cose e hai fatto un ottimo lavoro di caratterizzazione soprattutto del personaggio del nonno.
Però, secondo me, la storia è un po' monca.
Mi spiego meglio.
Inizi con la perdita delle chiavi del protagonista, perdita che funge da gancio per una serie di ricordi che vengono evocati dagli oggetti presenti nel garage. Però il racconto, almeno per come l'ho letto io, finisce senza sapere cosa ne sarà del nostro protagonista.
Troverà le chiavi? Riuscirà a tornare a casa?
Leggo, tra le righe, che al nostro protagonista potrebbe star accadendo quello che poi è accaduto al nonno. Ma è tutto molto non detto e lasciato all'intuizione del lettore.
Credo che se riesci a trovare un appiglio per far scovare al nostro protagonista le chiavi (ma puoi anche decidere di lasciarlo marcire nel garage... ;) ) ecco che la storia si conclude.
Forse, se la mia interpretazione iniziale è giusta, sarebbe ancora più carino far trovare il protagonista da un altro familiare che l'ha cercato per mare e per monti mentre lui se ne stava lì a "ricordare" nel garage.
Devi, inoltre, lavorare sullo stile, sulla voce narrante, come già ti è stato fatto notare.
Perchè di materiale ce n'è e sarebbe peccato non sfruttarlo.
Alla prossima.
Maria Rosaria
- Sara Todde
- Messaggi: 42
Re: Il mulinello nella corrente
Ciao Luke,
il tuo racconto mi piace molto come concetto, ma ho l'impressione che abbia voluto mettere un po' troppa carne al fuoco. Inizi con una voce narrante molto informale e immediata, con il nostro protagonista che compie la danza ansiogena del "non trovo le chiavi" come a tutti è capitato almeno una volta, poi cambi voce, il nostro protagonista diventa introspettivo e analitico e inizi ad aprire parentesi su parentesi mentre fruga in garage, finché non scopriamo che il centro della storia è tutt'altra cosa: l'importanza dei ricordi e il rapporto con il nonno. Da un lato questo mi piace (a chi non è capitato di perdersi tra i ricordi mentre si cerca qualcosa?), dall'altro la struttura e il ritmo del racconto ne soffrono, e la voce narrante ha bisogno di un po' di lavoro per non dare l'impressione che il nostro amico tetris umano sia improvvisamente diventato un'altra persona.
Per rendere il tutto più fluido, innanzitutto chiuderei in qualche modo, anche di sfuggita, la cornice narrativa delle chiavi perdute: ad esempio, il protagonista viene distolto dalle sue riflessioni da una telefonata da parte di qualcuno che ha trovato le sue chiavi, oppure lui stesso finisce per trovarle in qualche posto improbabile, cosa che potrebbe insinuare in lui il dubbio di essere destinato alla stessa malattia del nonno (dipende un po' da quanto vuoi che sia cupo il finale). Inoltre, darei un po' una sfoltita alla lista dei vari ricordi incontrati in garage, su cui ti dilunghi un po' troppo, per dare maggiore risalto al tema centrale del rapporto col nonno. In particolare, per quanto riguarda lo stile, stai attento ai pezzi come questo:
Questo è uno dei punti in cui si nota di più la variazione dello stile rispetto all'inizio. Se prima sentivamo i pensieri del protagonista in presa diretta, ora l'impressione è che ci faccia da "filtro" ai suoi pensieri: li analizza e ce li spiega, come farebbe un letterato, anziché lasciarceli vivere. Può sembrare una differenza sottile, ma non lo è.
Ti segnalo anche questo pezzo alla fine:
La fine del ricordo del nonno è davvero la parte più bella e merita di splendere a dovere. Per far risaltare il più possibile questo scambio, ti consiglio di spezzare il dialogo, evitando il lungo periodo di quattro righe e andando a capo dopo le virgolette. Per capirci, in questo modo:
Ti ho sbarrato la descrizione del tono del protagonista perché è un altro esempio del fenomeno che ti dicevo prima. Il protagonista ci sta spiegando in modo letterario il significato della sua risposta, ma questo è già abbastanza evidente, quindi l'effetto è un po' stridente. Anche perché il protagonista può sembrare un po' megalomane, se sta lì a descrivere quanto è speciale e ricco di significati il tono con cui parla a suo nonno! ;)
Ci sono alcune cosettine da sistemare qui e lì ("cerebrale" anziché "celebrale", i due punti prima di "rivivono" che andrebbero eliminati, un "è" al posto di "e", alcune frasi un po' troppo lunghe) ma sono dettagli minori. Per ora c'è da lavorare sullo stile, perché il potenziale c'è eccome :)
il tuo racconto mi piace molto come concetto, ma ho l'impressione che abbia voluto mettere un po' troppa carne al fuoco. Inizi con una voce narrante molto informale e immediata, con il nostro protagonista che compie la danza ansiogena del "non trovo le chiavi" come a tutti è capitato almeno una volta, poi cambi voce, il nostro protagonista diventa introspettivo e analitico e inizi ad aprire parentesi su parentesi mentre fruga in garage, finché non scopriamo che il centro della storia è tutt'altra cosa: l'importanza dei ricordi e il rapporto con il nonno. Da un lato questo mi piace (a chi non è capitato di perdersi tra i ricordi mentre si cerca qualcosa?), dall'altro la struttura e il ritmo del racconto ne soffrono, e la voce narrante ha bisogno di un po' di lavoro per non dare l'impressione che il nostro amico tetris umano sia improvvisamente diventato un'altra persona.
Per rendere il tutto più fluido, innanzitutto chiuderei in qualche modo, anche di sfuggita, la cornice narrativa delle chiavi perdute: ad esempio, il protagonista viene distolto dalle sue riflessioni da una telefonata da parte di qualcuno che ha trovato le sue chiavi, oppure lui stesso finisce per trovarle in qualche posto improbabile, cosa che potrebbe insinuare in lui il dubbio di essere destinato alla stessa malattia del nonno (dipende un po' da quanto vuoi che sia cupo il finale). Inoltre, darei un po' una sfoltita alla lista dei vari ricordi incontrati in garage, su cui ti dilunghi un po' troppo, per dare maggiore risalto al tema centrale del rapporto col nonno. In particolare, per quanto riguarda lo stile, stai attento ai pezzi come questo:
Poi passo le punte dei polpastrelli sui pennelli ancora dolci che usavo per dipingere in acrilico, ma insieme ai getti di colore ed alle forme profuse, ricompare dentro tutta l’irrequietezza che mi faceva dire: “con la pittura ho trovato un modo per esorcizzare la mia follia, la schizzo e la contorno su tela”. Durante un viaggio tutto d'un tratto mi scoprii a dipingere immagini di rara bellezza, della gioia emerse all’improvviso e poi, in una strana sera di altrui furia umana innescata da mie parole, scomparve di nuovo.
Questo è uno dei punti in cui si nota di più la variazione dello stile rispetto all'inizio. Se prima sentivamo i pensieri del protagonista in presa diretta, ora l'impressione è che ci faccia da "filtro" ai suoi pensieri: li analizza e ce li spiega, come farebbe un letterato, anziché lasciarceli vivere. Può sembrare una differenza sottile, ma non lo è.
Ti segnalo anche questo pezzo alla fine:
Nonno mantenendo salda la tensione della canna incurvata che serrrava il filo teso, ripetè con le sopracciglia aggrottate “e tu, giovane, chi sei?”, gli risposi con la freschezza di chi dona un regalo e non ha bisogno di ringraziamenti: “sono il tuo compagno di pesca”, sul suo volto si scolpì un dolce sorriso e perentorio mi disse: “allora muoviti a darmi una mano con questo pesciazzo che tira come un toro!”
La fine del ricordo del nonno è davvero la parte più bella e merita di splendere a dovere. Per far risaltare il più possibile questo scambio, ti consiglio di spezzare il dialogo, evitando il lungo periodo di quattro righe e andando a capo dopo le virgolette. Per capirci, in questo modo:
Nonno, mantenendo salda la tensione della canna incurvata che serrava il filo teso, ripetè con le sopracciglia aggrottate “e tu, giovane, chi sei?”
Gli risposicon la freschezza di chi dona un regalo e non ha bisogno di ringraziamenti: “sono il tuo compagno di pesca”
Sul suo volto si scolpì un dolce sorriso e perentorio mi disse: “allora muoviti a darmi una mano con questo pesciazzo che tira come un toro!”
Ti ho sbarrato la descrizione del tono del protagonista perché è un altro esempio del fenomeno che ti dicevo prima. Il protagonista ci sta spiegando in modo letterario il significato della sua risposta, ma questo è già abbastanza evidente, quindi l'effetto è un po' stridente. Anche perché il protagonista può sembrare un po' megalomane, se sta lì a descrivere quanto è speciale e ricco di significati il tono con cui parla a suo nonno! ;)
Ci sono alcune cosettine da sistemare qui e lì ("cerebrale" anziché "celebrale", i due punti prima di "rivivono" che andrebbero eliminati, un "è" al posto di "e", alcune frasi un po' troppo lunghe) ma sono dettagli minori. Per ora c'è da lavorare sullo stile, perché il potenziale c'è eccome :)
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- Massimo Tivoli
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Re: Il mulinello nella corrente
Ciao Luke,
il protagonista è caratterizzato molto bene e a fondo, bel finale in relazione anche al fatto che la situazione del nonno scarica emotività nel lettore. Però mi è mancata una storia intesa come “avventura” in senso lato. Alla fine tutto il racconto è un enorme flashback o serie di flashback fino al finale. Insomma, c’è il protagonista e basta, e i suoi ricordi... però magari questo è solo una questione di gusto personale.
Poi, più specificatamente, credo che il racconto soffra ancora di frasi in cui scrivi cose che secondo me dovrebbero essere eliminate considerato che narri in prima persona con focalizzazione interna. Di seguito, qualche esempio:
1) “Ingarage c’è uno sgabello, lo uso quando scendo a fare piccoli lavori e per imbottigliare quando arrivano le damigiane di dolcetto e barbera che ogni anno diligentemente con gli amici Jimmi e Koba andiamo a recuperare nelle langhe.”
Con un narratore autodiegetico non ce lo vedo proprio lo spiegone riguardo a che cosa serve lo sgabello
“Ciò avvenne mentre con Cate, mia sorella, cercavamo di individuare la costellazione di Orione, i primi tempi lo chiamavamo “il magico telescopio interstellare”.”
Anche qui, è un po’ forzato considerato il narratore scelto
“Proprio seguendo questo corso ebbe origine l’idea della mia ricerca di tesi sulla risignificazione dell’uso del tatuaggio tradizionale da parte dei giovani di origine Maori in Nuova Zelanda.”
Anche qua non sembra uno che ricorda, ma più uno che “spiega” a qualcuno, generando inevitabilmente “narratore che spiega al lettore” che non si sposa col tipo di narratore scelto
Ciao
il protagonista è caratterizzato molto bene e a fondo, bel finale in relazione anche al fatto che la situazione del nonno scarica emotività nel lettore. Però mi è mancata una storia intesa come “avventura” in senso lato. Alla fine tutto il racconto è un enorme flashback o serie di flashback fino al finale. Insomma, c’è il protagonista e basta, e i suoi ricordi... però magari questo è solo una questione di gusto personale.
Poi, più specificatamente, credo che il racconto soffra ancora di frasi in cui scrivi cose che secondo me dovrebbero essere eliminate considerato che narri in prima persona con focalizzazione interna. Di seguito, qualche esempio:
1) “Ingarage c’è uno sgabello, lo uso quando scendo a fare piccoli lavori e per imbottigliare quando arrivano le damigiane di dolcetto e barbera che ogni anno diligentemente con gli amici Jimmi e Koba andiamo a recuperare nelle langhe.”
Con un narratore autodiegetico non ce lo vedo proprio lo spiegone riguardo a che cosa serve lo sgabello
“Ciò avvenne mentre con Cate, mia sorella, cercavamo di individuare la costellazione di Orione, i primi tempi lo chiamavamo “il magico telescopio interstellare”.”
Anche qui, è un po’ forzato considerato il narratore scelto
“Proprio seguendo questo corso ebbe origine l’idea della mia ricerca di tesi sulla risignificazione dell’uso del tatuaggio tradizionale da parte dei giovani di origine Maori in Nuova Zelanda.”
Anche qua non sembra uno che ricorda, ma più uno che “spiega” a qualcuno, generando inevitabilmente “narratore che spiega al lettore” che non si sposa col tipo di narratore scelto
Ciao
- Il Dottore
- Messaggi: 478
Re: Il mulinello nella corrente
Ciao, Luke.
Il tuo racconto è fermo al 17 agosto. Che vuoi fare?
- continui a lavorarci su? (in questo caso però mi aspetto qualche modifica a breve)
- preferisci che lo mettiamo in archivio
- oppure vuoi tentare la sfida diretta al Dottore, con i rischi che comporta? (vedi le recenti modifiche al regolamento) [visto il numero di punti aperti proposti dai lettori, ti consiglierei piuttosto di lavorarci su ancora]
Fammi sapere qualcosa entro lunedì prossimo, altrimenti lo sposto in archivio
Il tuo racconto è fermo al 17 agosto. Che vuoi fare?
- continui a lavorarci su? (in questo caso però mi aspetto qualche modifica a breve)
- preferisci che lo mettiamo in archivio
- oppure vuoi tentare la sfida diretta al Dottore, con i rischi che comporta? (vedi le recenti modifiche al regolamento) [visto il numero di punti aperti proposti dai lettori, ti consiglierei piuttosto di lavorarci su ancora]
Fammi sapere qualcosa entro lunedì prossimo, altrimenti lo sposto in archivio
Sono pronto a vivisezionare i vostri racconti... soffriranno, ma sarà per il vostro bene!
- SalvatoreStefanelli
- Messaggi: 364
Re: Il mulinello nella corrente
Letto tutti i commenti, non posso che trovarmi d'accordo con ci li ha espressi. Da un inizio in cui ci porti dentro al protagonista a un certo punto ce ne tiri fuori e ci lasci ad ascoltare il suo narrare dei ricordi. Lasci in sospeso la storia delle chiavi, non inserisci un finale che concluda davvero. Inoltre c'è qualche piccolo refuso, molti ti sono stati già notificati, ti riporto solo questo: "... migrazione verso al città", chiaramente è "la città". Per il resto, le emozioni ci sono e il potenziale per farne un buon racconto pure. Buon lavoro.
- Il Dottore
- Messaggi: 478
Re: Il mulinello nella corrente
Ciao, Luke.
Non avendo avuto risposte da parte tue, provvederò a breve a spostare il racconto in archivio
Non avendo avuto risposte da parte tue, provvederò a breve a spostare il racconto in archivio
Il Dottore ha scritto:Ciao, Luke.
Il tuo racconto è fermo al 17 agosto. Che vuoi fare?
- continui a lavorarci su? (in questo caso però mi aspetto qualche modifica a breve)
- preferisci che lo mettiamo in archivio
- oppure vuoi tentare la sfida diretta al Dottore, con i rischi che comporta? (vedi le recenti modifiche al regolamento) [visto il numero di punti aperti proposti dai lettori, ti consiglierei piuttosto di lavorarci su ancora]
Fammi sapere qualcosa entro lunedì prossimo, altrimenti lo sposto in archivio
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Re: Il mulinello nella corrente
Come da richiesta, procedo a disattivare il racconto.
Chi c’è in linea
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