Il pedinamento
- raffaele.palumbo
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Il pedinamento
L’ho riconosciuto subito. Il cappotto nero lungo quasi ai piedi, il berretto verde di lana. Tutto come da scheda. Gli occhiali senza montatura.
Mica facile beccarlo così subito, alla prima, appena spuntato dal portone. Quello è un grattacielo di uffici e abitazioni, 42 piani contati e ricontati, e dalla hall passano centinaia, forse migliaia di persone ogni ora. E m’è andata di lusso: qui intorno ci sono torri di 80, 90 piani, cristallo e acciaio o quel che è.
Si muove a piedi, c’è scritto. Bene, perché col traffico che c’è sarebbe stato un bel casino.
Saluto il bengalese che mi ha venduto l’accendino e parto. Gli lascio un vantaggio di 100, 150 metri, rallentando o accelerando; ogni tanto mi fermo, fingo di guardare le vetrine di Gucci, di Prada, di Zara Home. Lui si muove senza fretta, una cartella nera sotto il braccio, si guarda intorno. Facile, nessun problema. Lui non sa niente, così mi assicurano i clienti. Questi sì che sono professionisti: mai vista una scheda così dettagliata ¬– e poi i contatti solo tramite avvocato, la segretezza, il mistero sui nomi, le fideiussioni a garanzia, il compenso stellare.
C’è questo fatto, che ogni volta che si deve fermare a un semaforo si volta indietro. Guarda i culi delle ragazze, penso. Da domani parte la Settimana della Moda, e il Nuovo Centro è pieno di indossatrici e modelle. Io ho occhi solo per lui, va da sé.
Pare che stia andando verso il Morsello, e lì dovrò stringere le distanze: pieno di cinesi com’è, magari me lo perdo. Per fortuna lui è alto, i cinesi no.
Fa cose insolite. Io segno e fotografo – ho gli occhiali-spia. Si ferma a parlare con gente strana, non solo cinesi. Uomini in giacca e cravatta, che non te li aspetteresti qui nel Morsello. Un minuto o anche meno, una stretta di mano e via. Anch’io mi fermo, compro dim sum o robe così in qualche bottega, poi butto tutto nei cassonetti, tanto ho già pranzato. Ma questo fatto non mi piace per niente, questa cosa delle fermate a chiacchierare, dico.
Al Palazzo degli Dei e degli Antenati prende a sinistra. Viale Buozzi, la strada larga che punta dritta verso il mare. I cinesi si diradano metro dopo metro, le case basse e le lanterne rosse lasciano via via spazio a villette residenziali, odore di salmastro, giardini con olivi o palme spelacchiate. Meglio allargare la distanza, qui c’è meno gente. Lui cammina bene in vista sul bordo del marciapiede, qualche volta fa lo slalom tra le macchine in sosta. Perché, mi chiedo. Mai fatto un pedinamento così facile. E continua a non piacermi, questa cosa.
Sul lungomare c’è vento e fa freddo, e le onde si frangono sugli scogli e bagnano il marciapiede lato mare. Noi camminiamo su quello di fronte. Bar, ristoranti, negozietti di articoli da mare o souvenir – molti sono ancora chiusi, con cartelli tipo “APERTURA 15 MAGGIO”. Lui si siede a un tavolino di un bar, all’aperto nonostante il freddo. Per fortuna subito prima c’è il Sunshine Pub, e anch’io mi piazzo a un tavolo. Le barriere in plexiglass mi consentono di tenerlo d’occhio senza che mi possa notare. Per sicurezza cambio occhiali e rovescio il cappotto double face. Vedo che lui ordina qualcosa, si accende una sigaretta, la prima da quando è uscito. Apre appena la cartella nera e legge qualche foglio, flette il collo a destra e a sinistra, fa un paio di telefonate col cellulare. Io prendo nota.
È più di un’ora che lo seguo e ancora non è successo niente. Niente di notevole, almeno. I clienti non chiedevano qualcosa di specifico, né incontri con donne né spionaggio industriale né le altre solite cose, solo di documentare in dettaglio tutte le azioni. Lì per lì mi era parsa una richiesta tranquilla, non particolarmente consueta ma tranquilla. Adesso rifiuterei: non so, ci sono troppe cose che non quadrano – troppe piccole cose, che è ancora peggio.
Si alza dopo un quarto d’ora. Lo fa con calma, mettendo a posto tutti i documenti, ricontrollando il cellulare. Ho tutto il tempo per pagare il mio cappuccino, 3 Euro, ladri.
Continua in direzione sud. Là in fondo c’è il porto. E se è al porto che deve andare, certo non ha scelto la strada più breve, ha fatto un percorso a U: se avesse attraversato il centro storico, dritto per piazza San Lorenzo e Porta Ribalda, be’, avrebbe fatto parecchio prima.
C’è poca gente in giro, e lui continua con questa sua strana camminata sul ciglio del marciapiede, qualche volta direttamente sulla strada, la cartella sotto il braccio. Per viale della Costituzione i camion muggiscono a ogni intoppo del traffico, e il mare dietro di loro continua a imbestialirsi in onde e spruzzi.
Il porto è quasi deserto. Container piazzati come muraglie inespugnabili, camion portacontainer che corrono sull’asfalto, grosse navi in mare. Nessuno a piedi, solo io e lui. Qui la faccenda si fa complicata: se si volta mi vede, non ci piove. Allungo la distanza tra di noi, cerco di ripararmi tra cassone e cassone. Per fortuna lui se ne va dritto senza supporre la presenza di qualcuno alle sue spalle. E per fortuna tra poco il sole tramonta.
A un certo punto quello si ferma ad allacciarsi le scarpe. Come non mi piace questa cosa. Sembra di essere in un film di spie. Sto per infilarmi in un vicolo tra due pile di container quando lui si rialza e prende a correre. Cazzo. Che succede? Mi ha beccato? Lo escluderei, ma non si sa mai. Cazzo. Corro anch’io, cercando di fare meno rumore possibile.
Dopo un centinaio di metri si imbuca sulla destra, in una strada tra contenitore e contenitore. Io temo che si sia piazzato dietro l’angolo ad aspettarmi, così prendo il vicolo parallelo immediatamente precedente, cercando di aggirare un suo appostamento. Quando mi affaccio sul percorso dove si dovrebbe trovare, lui non c’è.
Sono combattuto tra la voglia di mandare tutto a puttane e la deontologia professionale – e il pensiero della parcella dei committenti, tutt’altro che trascurabile. In un attimo decido a favore dei soldi, e corro in mezzo al buio ormai esploso, ai muri di metallo, al fragore ritmato delle onde.
Lo trovo – mi trova – a un incrocio di ferro. Non è solo. Con lui una Beretta 92. Io non ho niente. Lui mi sta puntando l’arma. Sorride. Prendo fiato, mi asciugo il sudore, alzo le mani. “Posso spiegare”, dico.
“Non ce n’è bisogno”, dice lui. E riconosco la voce. E lo riconosco. “L’avvocato De Maria, la scheda, i 20mila Euro. So tutto. Sono io il tuo committente”.
Tutto si fa chiaro. Mi ricordo perfettamente di lui, di quando – quanto sarà?, 10, 15 anni fa? – finì in galera dopo che proprio io avevo intercettato le sue telefonate.
So già come andrà a finire questo pedinamento. L’ultima cosa che vedo è la gigantesca scritta “Hapag-Lloyd” sull’arancione acceso di un container.
Mica facile beccarlo così subito, alla prima, appena spuntato dal portone. Quello è un grattacielo di uffici e abitazioni, 42 piani contati e ricontati, e dalla hall passano centinaia, forse migliaia di persone ogni ora. E m’è andata di lusso: qui intorno ci sono torri di 80, 90 piani, cristallo e acciaio o quel che è.
Si muove a piedi, c’è scritto. Bene, perché col traffico che c’è sarebbe stato un bel casino.
Saluto il bengalese che mi ha venduto l’accendino e parto. Gli lascio un vantaggio di 100, 150 metri, rallentando o accelerando; ogni tanto mi fermo, fingo di guardare le vetrine di Gucci, di Prada, di Zara Home. Lui si muove senza fretta, una cartella nera sotto il braccio, si guarda intorno. Facile, nessun problema. Lui non sa niente, così mi assicurano i clienti. Questi sì che sono professionisti: mai vista una scheda così dettagliata ¬– e poi i contatti solo tramite avvocato, la segretezza, il mistero sui nomi, le fideiussioni a garanzia, il compenso stellare.
C’è questo fatto, che ogni volta che si deve fermare a un semaforo si volta indietro. Guarda i culi delle ragazze, penso. Da domani parte la Settimana della Moda, e il Nuovo Centro è pieno di indossatrici e modelle. Io ho occhi solo per lui, va da sé.
Pare che stia andando verso il Morsello, e lì dovrò stringere le distanze: pieno di cinesi com’è, magari me lo perdo. Per fortuna lui è alto, i cinesi no.
Fa cose insolite. Io segno e fotografo – ho gli occhiali-spia. Si ferma a parlare con gente strana, non solo cinesi. Uomini in giacca e cravatta, che non te li aspetteresti qui nel Morsello. Un minuto o anche meno, una stretta di mano e via. Anch’io mi fermo, compro dim sum o robe così in qualche bottega, poi butto tutto nei cassonetti, tanto ho già pranzato. Ma questo fatto non mi piace per niente, questa cosa delle fermate a chiacchierare, dico.
Al Palazzo degli Dei e degli Antenati prende a sinistra. Viale Buozzi, la strada larga che punta dritta verso il mare. I cinesi si diradano metro dopo metro, le case basse e le lanterne rosse lasciano via via spazio a villette residenziali, odore di salmastro, giardini con olivi o palme spelacchiate. Meglio allargare la distanza, qui c’è meno gente. Lui cammina bene in vista sul bordo del marciapiede, qualche volta fa lo slalom tra le macchine in sosta. Perché, mi chiedo. Mai fatto un pedinamento così facile. E continua a non piacermi, questa cosa.
Sul lungomare c’è vento e fa freddo, e le onde si frangono sugli scogli e bagnano il marciapiede lato mare. Noi camminiamo su quello di fronte. Bar, ristoranti, negozietti di articoli da mare o souvenir – molti sono ancora chiusi, con cartelli tipo “APERTURA 15 MAGGIO”. Lui si siede a un tavolino di un bar, all’aperto nonostante il freddo. Per fortuna subito prima c’è il Sunshine Pub, e anch’io mi piazzo a un tavolo. Le barriere in plexiglass mi consentono di tenerlo d’occhio senza che mi possa notare. Per sicurezza cambio occhiali e rovescio il cappotto double face. Vedo che lui ordina qualcosa, si accende una sigaretta, la prima da quando è uscito. Apre appena la cartella nera e legge qualche foglio, flette il collo a destra e a sinistra, fa un paio di telefonate col cellulare. Io prendo nota.
È più di un’ora che lo seguo e ancora non è successo niente. Niente di notevole, almeno. I clienti non chiedevano qualcosa di specifico, né incontri con donne né spionaggio industriale né le altre solite cose, solo di documentare in dettaglio tutte le azioni. Lì per lì mi era parsa una richiesta tranquilla, non particolarmente consueta ma tranquilla. Adesso rifiuterei: non so, ci sono troppe cose che non quadrano – troppe piccole cose, che è ancora peggio.
Si alza dopo un quarto d’ora. Lo fa con calma, mettendo a posto tutti i documenti, ricontrollando il cellulare. Ho tutto il tempo per pagare il mio cappuccino, 3 Euro, ladri.
Continua in direzione sud. Là in fondo c’è il porto. E se è al porto che deve andare, certo non ha scelto la strada più breve, ha fatto un percorso a U: se avesse attraversato il centro storico, dritto per piazza San Lorenzo e Porta Ribalda, be’, avrebbe fatto parecchio prima.
C’è poca gente in giro, e lui continua con questa sua strana camminata sul ciglio del marciapiede, qualche volta direttamente sulla strada, la cartella sotto il braccio. Per viale della Costituzione i camion muggiscono a ogni intoppo del traffico, e il mare dietro di loro continua a imbestialirsi in onde e spruzzi.
Il porto è quasi deserto. Container piazzati come muraglie inespugnabili, camion portacontainer che corrono sull’asfalto, grosse navi in mare. Nessuno a piedi, solo io e lui. Qui la faccenda si fa complicata: se si volta mi vede, non ci piove. Allungo la distanza tra di noi, cerco di ripararmi tra cassone e cassone. Per fortuna lui se ne va dritto senza supporre la presenza di qualcuno alle sue spalle. E per fortuna tra poco il sole tramonta.
A un certo punto quello si ferma ad allacciarsi le scarpe. Come non mi piace questa cosa. Sembra di essere in un film di spie. Sto per infilarmi in un vicolo tra due pile di container quando lui si rialza e prende a correre. Cazzo. Che succede? Mi ha beccato? Lo escluderei, ma non si sa mai. Cazzo. Corro anch’io, cercando di fare meno rumore possibile.
Dopo un centinaio di metri si imbuca sulla destra, in una strada tra contenitore e contenitore. Io temo che si sia piazzato dietro l’angolo ad aspettarmi, così prendo il vicolo parallelo immediatamente precedente, cercando di aggirare un suo appostamento. Quando mi affaccio sul percorso dove si dovrebbe trovare, lui non c’è.
Sono combattuto tra la voglia di mandare tutto a puttane e la deontologia professionale – e il pensiero della parcella dei committenti, tutt’altro che trascurabile. In un attimo decido a favore dei soldi, e corro in mezzo al buio ormai esploso, ai muri di metallo, al fragore ritmato delle onde.
Lo trovo – mi trova – a un incrocio di ferro. Non è solo. Con lui una Beretta 92. Io non ho niente. Lui mi sta puntando l’arma. Sorride. Prendo fiato, mi asciugo il sudore, alzo le mani. “Posso spiegare”, dico.
“Non ce n’è bisogno”, dice lui. E riconosco la voce. E lo riconosco. “L’avvocato De Maria, la scheda, i 20mila Euro. So tutto. Sono io il tuo committente”.
Tutto si fa chiaro. Mi ricordo perfettamente di lui, di quando – quanto sarà?, 10, 15 anni fa? – finì in galera dopo che proprio io avevo intercettato le sue telefonate.
So già come andrà a finire questo pedinamento. L’ultima cosa che vedo è la gigantesca scritta “Hapag-Lloyd” sull’arancione acceso di un container.
Re: Il pedinamento
Ciao Raffaele e benvenuto a Minuti Contati! Caratteri e tempo ok, buona Pisa Live Edition!
PS: puoi modificare il racconto fino alla chiusura (ore 18.00). Ovviamente, in quel caso, procederò a ricontrollare orario di consegna e caratteri!
PS: puoi modificare il racconto fino alla chiusura (ore 18.00). Ovviamente, in quel caso, procederò a ricontrollare orario di consegna e caratteri!
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Re: Il pedinamento
del gruppo, il racconto che meglio sposa la definizione di “racconto” inteso come storia con una trama, un “qualcosa” che accade trasformando la situazione di partenza in una situazione finale. Buona l’idea del pedinato che si rivela controllore, esca e trappola finale, anche se il lettore è messo ben presto sull’avviso dal gioco scoperto (quel farsi vedere così smaccato, quel mettersi in evidenza per rendere facile il pedinamento) da parte dell’adescatore. Il tema della città inventata è sfocato, non in primo piano, nel senso che il veloce dipanarsi dell’adescamento-pedinamento non ci consente di dare un’occhiata alla città, capire come è fatta. Si capisce bene che è una città marina, con un porto piuttosto grosso, ed altre caratteristiche pennellate qua e là. Forse questa città poteva essere presentata con più dovizia.
Nel complesso, uno dei migliori lavori del gruppo.
Nel complesso, uno dei migliori lavori del gruppo.
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Re: Il pedinamento
La trama è classica, una spia che diventa la vittima, in un gioco di inseguimenti e appostamenti che risulta intrigante, più che altro perchè il lettore si chiede fino alla fine dove si andrà a parare, dato che è palese che c'è qualcosa che non quadra. Il finale risponde alla domanda, aggiungendo una nota amara che potrebbe piacere ai fan di Hitchcock.
Lo stile di narrazione in prima persona non è rientrato nei miei gusti, forse perchè alcuni passaggi mentali sono troppo diretti e ci arrivano addosso in modo un po' frenetico, ma il difetto maggiore secondo me è dato dalla scarsa aderenza al tema. Esiste una descrizione dettagliata della città (apprezzabile anche il fatto di dare i nomi alle vie per renderla concreta e tangibile), ma la città non è la vera protagonista. Fa solo da sfondo a una vicenda personale che si sarebbe potuta svolgere in qualsiasi altro luogo, facendo allontanare lo scrittore dall'obbiettivo finale.
Lo stile di narrazione in prima persona non è rientrato nei miei gusti, forse perchè alcuni passaggi mentali sono troppo diretti e ci arrivano addosso in modo un po' frenetico, ma il difetto maggiore secondo me è dato dalla scarsa aderenza al tema. Esiste una descrizione dettagliata della città (apprezzabile anche il fatto di dare i nomi alle vie per renderla concreta e tangibile), ma la città non è la vera protagonista. Fa solo da sfondo a una vicenda personale che si sarebbe potuta svolgere in qualsiasi altro luogo, facendo allontanare lo scrittore dall'obbiettivo finale.
- raffaele.palumbo
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Re: Il pedinamento
Sì, capisco la tua obiezione. Figurati che invece la prima cosa che ho fatto quando ho iniziato a scrivere è stato disegnare la mappa della città. Che per me è fondamentale nel racconto, perché serve, raccontando nei dettagli almeno 5 zone diverse della città, all'inseguito a non far perdere le proprie tracce, e a portare l'inseguitore nella zona più disabitata e desolata, senza testimoni.
Credo che il tema non fosse "Racconta una città", ma "Racconta una storia e ambientala in una città inventata". Ma forse ho capito male io.
Credo che il tema non fosse "Racconta una città", ma "Racconta una storia e ambientala in una città inventata". Ma forse ho capito male io.
Re: Il pedinamento
Questo racconto mi piace tantissimo per come è scritto, sei riuscito a gestire un dialogo interiore in modo da renderlo plausibile e avvincente. Devo penalizzarlo però per due aspetti: uno, la trama dell'investigatore che si trova investigato è abbastanza scontato; due, lo reputo del tutto fuori tema. Il protagonista si muove per una città e cita strade, locali, zone... ma la città non esiste, è uno fondale di cartone e potrebbe essere qualunque. Comunque al di fuori di questo specifico concorso, e con un twist finale più audace, sarebbe un'ottima storia breve.
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unknown to millions
unknown to millions
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Re: Il pedinamento
Questo racconto mi ha fatto cambiare idea più volte, ad una prima lettura lo trovavo poco inerente al tema, non riuscivo a rintracciarvi la città inesistente, trovavo la città in cui si svolge la vicenda un mero spazio scenografico. Dopo più letture invece ho maturato la considerazione che più che sfondo, la città fosse un altro personaggio della vicenda. La scelta di descriverla in maniera sintetica per elementi, vie, materiali, negozi, senza innescare una parentesi didascalica, è in linea con il ritmo e la dinamicità del racconto, coerenza che ho molto apprezzato. La costruzione della frase, una paratassi veloce e ritmata rende bene l’idea dell’inseguimento, dell’ansia e dei pensieri del protagonista.
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Re: Il pedinamento
Ciao Raffaele!
Ammetto di aver letto un paio di volte il tuo racconto, ho avuto delle impressioni differenti della città ogni volta, talvolta mi è sembrata più presente, talvolta meno, ma secondo me ci sarebbe stato bisogno di enfatizzare la sua importanza. Sicuro è che c'è, esiste, ed il personaggio ne percorre centimetro dopo centimetro, solo che forse sarebbe potuta essere più presente, ma è una mia mera opinione!
Complimenti comunque, davvero ben scritto e rende seriamente il personaggio!
Ammetto di aver letto un paio di volte il tuo racconto, ho avuto delle impressioni differenti della città ogni volta, talvolta mi è sembrata più presente, talvolta meno, ma secondo me ci sarebbe stato bisogno di enfatizzare la sua importanza. Sicuro è che c'è, esiste, ed il personaggio ne percorre centimetro dopo centimetro, solo che forse sarebbe potuta essere più presente, ma è una mia mera opinione!
Complimenti comunque, davvero ben scritto e rende seriamente il personaggio!
- raffaele.palumbo
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Re: Il pedinamento
Ciao Zince e ciao Pantaleo.
Grazie dei vostri messaggi. Sì, io mi ritrovo in quello che dice Zince: la città è necessaria in questo racconto, che ha bisogno di un luogo desolato e disabitato dove poter commettere un omicidio, ha bisogno di un lungo viale poco frequentato dove l'inseguito non rischi di seminare l'inseguitore, ha bisogno di due bar vicini per giungere dopo il tramonto all'appuntamento col delitto.
Io ho inteso così il tema: non parlare di una città più o meno fantastica, ma inserire una storia in un luogo necessario allo svolgimento di quella storia.
Grazie ancora
Grazie dei vostri messaggi. Sì, io mi ritrovo in quello che dice Zince: la città è necessaria in questo racconto, che ha bisogno di un luogo desolato e disabitato dove poter commettere un omicidio, ha bisogno di un lungo viale poco frequentato dove l'inseguito non rischi di seminare l'inseguitore, ha bisogno di due bar vicini per giungere dopo il tramonto all'appuntamento col delitto.
Io ho inteso così il tema: non parlare di una città più o meno fantastica, ma inserire una storia in un luogo necessario allo svolgimento di quella storia.
Grazie ancora
Re: Il pedinamento
Il racconto mi è piaciuto moltissimo. Fluido e intrigante.Un classico come svolgimento. Ho un dubbio però sul ruolo della città. Qui mi sembra che la città non sia protagonista ma un fondale, la necessaria ambientazione di un racconto che ha a tema un pedinamento. Bellissimo ma forse non centrato sul tema
Re: Il pedinamento
Si, mi è piaciuto soprattutto nello stile asciutto che ben conosco. Il finale è abbastanza prevedibile e la città abbastanza di contorno. Comunque direi un buon racconto, con quel margine d'inquietudine che lo rende credibile anche nel suo surrealismo.
- catalina.pintilie
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Re: Il pedinamento
scrivi bene e questo lo saprai di certo. ti spieghi bene, non metti le cose al caso, c'è una vera e propria narrazione ecc ecc solo che sei andato un po' fuori tema. ciao ciao
Re: Il pedinamento
Il Tema “CRONACHE DI CITTA' CHE NON ESISTONO” è interessante perché aperto a molte interpretazioni. Sicuramente -come ho già detto in altri commenti della Live- raccontare di una Città attraverso gli usi e costumi dei suoi abitanti è una “strategia” molto interessante. In questo caso il tuo racconto mi ha trasmesso la freddezza di una città economicamente attiva, dove la gente vive a ritmo frenetico, dove si è circondati da “torri di 80, 90 piani, cristallo e acciaio”. E’ una città come tante altre quella della tua storia. Tanto comune da non aver bisogno di un nome, ma solo riferimenti spaziali che ci facciano capire che esista (e questo deve bastarci). E’ una scelta di stile che non disprezzo, anche se forse avrei preferito dare più spazio a temi che si ricollegassero alla città, piuttosto che quello da te scelto: l’inseguimento e il plot-twist finale mi hanno sinceramente fatto dimenticare della città, di tutta quell’analisi sentimentale che avevo stipulato all’inizio. Non mi sono più interessata della città cieca davanti alla morte di un uomo, né dei piccoli localizzi dove si rifugia. Improvvisamente ero immersa in una storia breve dai toni drammatici e spiazzanti nel suo esito, là dove il protagonista non era la Cronaca di una città, ma quella di un uomo che nello spionaggio ha visto la sua morte prematura.
E’ una scelta che non reputo sbagliata, solo personalmente avrei preferito che in un qualche modo il tuo esito si fosse riallacciato meglio alla città in maniera più profonda, senza limitarsi allo spray asciutto di un container. La chiusura amara è “giusta”, ma l’avrei preferita posta davanti all’insensibilità della città, piuttosto che della crudeltà del committente: questo mi ha “decentrato” dal tema, onestamente e avrei preferito non accadesse. In ogni caso, tolto questo appunto, ho davvero apprezzato questo pezzo, quindi ti ringrazio!
Re: Il pedinamento
Il racconto mi è piaciuto, ma non assegno il pollice su (quindi mi fermo al quasi su) perché vorrei che lo revisionassi nel Laboratorio. Ci sono delle ripetizioni (subito... subito, lungomare... mare...) che vanno aggiustate e in generale penso che una limatura gli stia bene, soprattutto perché figlio dei Minuti Contati e qualcosa da aggiustare, per ovvi motivi, c'è. Per il resto, capisco (pur non concordando) chi può averti considerato fuori o al limite del tema: la tua città è nascosta perché tu hai voluto nasconderla, nel senso che si integra perfettamente con ciò che racconti e pertanto può (e sottolineo PUO') confondere sembrando assente. La trama è ben ordita, ma consiglierei di non fare parlare il pedinato con nessuno, meglio evitare fastidosi testimoni che possano averlo visto per quelle vie, magari notando chi lo inseguiva, no? Dagli una sistematina che la Vetrina l'aspetta.
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