Il rasoio di Occamo

Il rasoio di Occamo

Mi piacciono i temi di fantasia, ma il professor Occamo non ce li dà quasi mai.

La traccia era: LA RIVOLTA DEGLI ANIMALI. Ho appena finito di leggere il mio racconto alla classe. Mi sento svuotato, come un padre che abbia sacrificato il figlio a qualche dio.

Occamo mi guarda attraverso quegli occhiali a specchio, così non so se la bestia che si porta dentro è pronta a mordere.

A

«Bravo, Piero, hai scritto un gran bel racconto.»

Vorrei mettermi a saltare davanti alla cattedra.

I compagni applaudono.

«Mi hai fatto emozionare» sussurra Clara, rossa in viso. La sento solo perché è in prima fila.

A fine lezione, quando tutti sono usciti, mi avvicino Occami : «Professore, crede potrei diventare scrittore, da grande?»

Lui sorride, forse per la prima volta in tre anni di scuola: «Credo che tu abbia la stoffa. Ma il talento senza applicazione non porta da nessuna parte. Ti consiglio di leggere tanto, di studiare e, intanto, di non smettere mai di scrivere.»

Faccio qualcosa che non mi sarei mai aspettato: lo abbraccio. Da stasera, decido, raddoppierò il tempo dedicato a lettura e scrittura.

B

«Piero, ti rendi conto di che storia infantile tu ci abbia propinato? Lascia perdere. Non fa per te.»

I compagni iniziano a ridere. Clara ha gli occhi lucidi. Distolgo lo sguardo: so di piacerle, ma sono troppo stupido per lei.

Ha ragione il mio amico Paolo. Inutile pensare di iscrivermi al Liceo. Andrò all’Alberghiero con lui.

A.

«Auguri al mio nipote da 110 e lode!»

Vorrei urlare che la laurea in Ingegneria l’ho presa solo per fare contenti i miei. Non vedo l’ora che finisca la festa, per stare solo con Clara. Leggeremo i nostri racconti, abbracciati di fronte al mare.

B.

«Non ne posso più di alzarmi la mattina alle tre, per andare a lavorare in pasticceria.»

«Fai ancora in tempo a iscriverti all’università, sai?»

Papà non vuol accettare che io non sia quel pozzo d’intelligenza che desiderava.

«Uffa.»

«E pensare che, fino alla terza media, ti piaceva tanto studiare.»

Ha ragione Paolo: dovrei iscrivermi all’università e fingere di fare qualche esame. Mio padre, per un po’, sarebbe contento e io potrei godermi la vita.

A.

«Il tuo romanzo è un dannato capolavoro, ma oggi, Piero, nessun vuol leggere capolavori. Il pubblico cerca storielle da dimenticare dopo un paio di giorni. Scrivi qualcosa di commerciale. Che ne so, un libro sentimentale che faccia piangere le donne o uno young adult di plastica. Quando sarai famoso, ti pubblicheranno anche questo, pagandolo a caro prezzo. Che ne dici?»

Sono tentato di cedere, ma mi viene in mente la voce di Clara: «Sei sicuro che fare l’ingranaggio dell’editoria usa e getta sia l’alternativa al tuo lavoro schifoso? Piuttosto, licenziati e trova un impiego che ti soddisfi.»

B.

Che genio Paolo, quando mi ha trascinato ai provini del Grande Fratello. Mai avrei immaginato che mi avrebbero preso e tantomeno, di vincerlo.

Ora mi pagano per andare in discoteca! Che ficata! E questo tipo dice che, se gli firmo il contratto, mi pubblica un Best Seller. Vinciamo pure lo Strega, qualunque cosa sia.

«Signor Dondamori, io non so scrivere un libro.»

Lui ride: «Il libro non devi mica scriverlo! Basta che mettiamo il tuo nome in copertina.»

A.

«Professore, ci racconta la storia di come ha lasciato il lavoro da Ingegnere, si è laureato in Lettere ed è diventato insegnante?»

Piero sorride: «Non ora, Sofia. Oggi voglio spiegarvi la struttura un racconto.»

«Professore, mio papà, nella libreria, ha dei libri con il suo nome sopra. Di nascosto ne ho letto uno. Mi sembrava bello.»

Arrossisco. Ha ragione Clara: anche se pubblico con una piccola casa editrice, avrei dovuto usare uno pseudonimo. Poi sorrido: che gusto c’è a pubblicare, se poi nessuno sa che sei stato tu?

B.

Sono famoso e ricco. I miei libri, vendono decine di migliaia di copie. Le televisioni fanno a gara per avermi. Le donne mi si gettano ai piedi.

Perché, allora, mi sento infelice?

La verità è che non merito niente di tutto ciò. La verità è che non ho nessuno che mi ami.

Dannato Occamo. È stata colpa sua.

So dove abita. Apro il cassetto e prendo il rasoio affilato, comprato qualche giorno fa apposta per lui. Stasera andrò a fargli visita. Almeno una cosa potrò dire di averla fatta con le mie mani.

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