Il riflesso infinito negli occhi della donna specchio

Era l’ultima ragazza del viale, sola e separata dai gruppetti dalle altre dallo spazio di tre lampioni. Doveva risultare troppo strana, anche in quel posto. Era più vestita della media, con un tubino nero che le arrivava a metà cosce lasciando in vista la superficie riflettente delle gambe; del resto, non doveva mostrare più pelle possibile, solo dimostrarne la peculiarità.
Avanzai piano con l’auto fino a fermarmi davanti a lei. Abbassai il finestrino.
Anche il viso e i capelli erano di specchio. Tutto quello che non era coperto rifletteva.
Si avvicinò alla macchina e si chinò per guardarmi. «Ciao. Ti va di fare un giro?»
Rimasi un momento imbambolato a guardare la mia immagine sul suo viso, poi riuscii a chiedere: «Quanto?»
Alzò le dita a indicare la cifra.
Non risposi subito, perso a seguire il mio riflesso sulle sue spalle nude
«Lo so che è tanto, ma come me ci sono solo io. Agli uomini piace guardarsi, mentre lo fanno. Con me, possono guardare me e loro stessi insieme. Guarda, non è vernice.» Allungò il braccio nell’abitacolo.
Le toccai il dorso della mano. Era uno specchio, ma era caldo e morbido come la pelle.
«Visto? Niente vernice. È pelle. Pura mutazione genetica, senza niente sopra. Allora, ti va?»
Premetti il pulsante che sbloccava la sicura dal suo lato. La ragazza salì. Fuori dal cono di luce del lampione, i riflessi erano più scuri e lei sembrava un po’ più normale. «Sai dove andare?»
Feci no con la testa.
«Gira laggiù. C’è una strada di campagna, e a un certo punto uno stabilimento industriale che di notte è chiuso, ma che ha dei bei lampioni intorno alla palizzata.»
Logico. La gente la pagava per vedersi. Al buio sarebbe stata una ragazza come le altre.
Avviai la macchina. Girai dove aveva indicato. Come spesso accade nei viali di periferia, basta svoltare e fare cento metri per ritrovarsi in aperta campagna. Passammo davanti allo stabilimento, ma non mi fermai.
Percorsi un altro paio di chilometri, poi girai su una strada sterrata che diventava presto un tunnel in una macchia fittissima. Mi fermai e spensi il motore.
«Ti piace al buio?» Quasi non la vedevo, ma scommisi che aveva alzato le spalle. «Per me va bene lo stesso.»
Vidi la sua ombra muoversi, e sentii un rumore di stoffa. Un momento dopo, era a cavalcioni sopra di me. Mi sfilò la maglietta e si strofinò contro il mio petto. La abbracciai. Era nuda, e la sua pelle era calda e perfetta. Al buio, non aveva niente di diverso.
Sentii che toccava le stanghette degli occhiali. «Perché porti gli occhiali da sole? È notte!» Li sfilò, poi mi accarezzò il viso. Ma si fermò subito. «Ma questa è…»
Mi tolsi il cappello, poi afferrai per il bordo il sottile strato di vernice che mi copriva la faccia e lo tirai. Venne via con facilità.
L’abitacolo si illuminò. Ancora a cavalcioni su di me, aveva acceso la luce interna e mi guardava.
Sul suo viso vedevo il riflesso del mio, che non era altro che uno specchio che rifletteva il suo.
«Me lo sentivo» disse. «L’ho sempre saputo. Doveva esistere qualcun altro come me.»
Guardai nei suoi occhi, e quello che vedevo era lo stesso che vedeva lei: il riflesso infinito dei nostri occhi, gli uni dentro gli altri.

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