Prospettive

Prospettive

 

Jackie amava l’inverno, il mare torbido e burrascoso e quella dannata isola. Stava ore seduto sulla sabbia fradicia a fissare la bruma che il mare esalava e che avvolgeva quel sasso spigoloso e spelacchiato. Jackie era matto come un cavallo ma era un povero diavolo. Suo padre era stato il pescatore più sfortunato che il villaggio avesse mai avuto. Lo chiamavamo Donnie “Sardina”, perché dal mare tirava su solo quello; almeno fin quando una tempesta improvvisa non lo sputò contro il fianco roccioso dell’isola. Donnie… le sardine avranno mangiato i suoi resti. La madre di Jackie, che era già debole di testa, quando seppe della tragedia corse fino al mare e si gettò nelle acque tumultuose. Chissà quella povera testa che cosa gli aveva detto. Il mare la rese dopo due giorni gonfia e pallida come una medusa gelatinosa. No, non fu un bello spettacolo.
Jackie era un ragazzo di dodici anni allora ed in un certo senso il tempo per lui smise di scorrere da quel giorno. La sua bussola puntava sempre in una sola direzione.
L’isola.
La guardava come se sapesse che laggiù c’era qualcosa che fingeva di non esserci.
Quando rincasavo la sera verso l’imbrunire, sovente mi capitava di vederlo. Non lo dicevo a nessuno, ma ne avevo paura. Quasi mi aspettavo di vedere scivolare fuori dalla nebbia salmastra la spettrale barchetta del padre e la notte il mio sonno si faceva inquieto quando rincasavo dopo averlo incontrato.
E poi scomparve.
All’inizio non ce ne accorgemmo. Tanto eravamo abituati di saperlo seduto lì, che quasi ci pareva di scorgere la sua ombra nella luce spettrale della sera. Per un paio di giorni lo cercammo. Il vento soffiava salato e potente e alzava onde monumentali che si schiantavano contro l’isola. Ero certo che Jackie avesse finito per cedere alla stessa follia materna e si fosse gettato nel mare furioso, e che l’isola lo avesse schernito vedendolo annegare nella triste impresa.
Lo sognai per molte notti. Lo sognai sull’isola.
Costeggiavo la stessa strada tutti i giorni e sempre, il mio sguardo correva giù, fino alla spiaggia scura e solitaria. Jackie non aveva più fatto ritorno e gli anni si ammucchiavano come i gusci vuoti delle conchiglie sul bagnasciuga.
Era svanito eppure avevo la netta sensazione che non si fosse allontanato poi molto, ma che avesse solo cambiato prospettiva.
Senza dire nulla a quella sospettosa di mia moglie, nè a nessun’altro, presi l’abitudine di portare con me un binocolo. Quando la sera tornavo verso casa, mi fermavo una manciata di minuti nel luogo da dove vedevo il corpo esile di Jackie seduto. Tiravo fuori il binocolo e nella luce rossastra della sera imminente lo puntavo verso l’isola. Era strano, ma anche quando l’aria era limpida, l’isola sembrava essere sempre avvolta da una malsana nebbia untuosa.
Si celava al mio sguardo, come a voler pudicamente o sinistramente, rifiutarmi i suoi misteri.
E come tutte le storie avvolte dal denso fumo del misterioso, mi ci appassionai.
L’intero villagio finì col chiamarmi Orson “Occhio lungo”, per via del binocolo, ma a me stava bene così, era mia moglie che proprio non riusciva a farsene una ragione.
Passavo molte ore a scrutare i contorni dell’isola alla ricerca di qualcosa o qualcuno. Passavo ore a chiedermi cosa vedesse Jackie.
Puntai il binocolo verso l’isola per sedici anni e qualche giorno, prima di vedere.
I bordi del cielo erano lividi e scuri, i fulmini cadevano lesti nel mare schiumoso. Il bavero della giacca a vento mi sbatteva sul collo ed avevo le mani gelate, tuttavia, osservavo.
E lo vidi.
Vidi proprio lui, Jackie. Stava seduto su un sasso e fissava serio verso di me. Mi scollai il binocolo dagli occhi e me li stropicciai con vigore. Di nuovo. Vidi solo il sasso.
Quella notte andai a dormire con dentro il cuore un misto di emozioni e forse furono quelle a dar vita ai miei strani sogni.
Nel limbo onirico sognai lui, Jackie. I capelli spettinati dal vento e il viso asciugato dal sale. Eravamo sull’isola.
Guardavamo il tramonto su una mare calmo. Una piccola barca veleggiava serena con a bordo due figure che salutavano gioiose.
Guardai Jackie e compresi. Aveva osservato la sua vita dalla sponda sbagliata.
E voi? Da quale sponda state osservando?

 

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Serena Aronica

Apprezzata autrice approdata sulle sponde di Minuti Contati nelle edizioni finali della Terza Era e già capace di conquistarsi un secondo posto.


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