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Non cambia mai

Zombie, certo, ma i veri non morti chi sono? Il racconto di Marco Roncaccia vincitore della Live Edition presso la Biblioteca Ginzburg di Torino.

 
Non cambia mai un cazzo, pensi. Da quando sei nato non è mai cambiato niente.
Stai assistendo ad una scena che hai già visto.
Come se tra prima ed ora non ci fosse nessuna differenza.
 
Hai solo tre colpi e, per non sprecarli, appena lo hai visto comparire all’orizzonte, hai iniziato a seguirne le mosse dal mirino in attesa che si avvicinasse.
Pelle nera. Vestiti lerci e sgargianti. Ti hanno subito fatto pensare agli addobbi ciancicati e imbrattati di vomito dopo che la festa è finita.
Improbabili pantaloni arancio e un piumino finto, verde evidenziatore, di quelli che negli anni ottanta indossavano gli adolescenti sfigati. Lo sai perché ne avevi uno simile. Almeno il tuo era blu scuro e non verde evidenziatore.
Prima di rivedere la luce un capo così assurdo deve aver stazionato in qualche centro Caritas almeno 40 anni.
Non cambia mai un cazzo.
Solo lo sfigato che a distanza di quasi mezzo secolo indossa quel piumino.
Avanzava lentamente, con quel passo strascicato tipico degli ubriachi e degli zombie.
Solo che a lui oramai non interessa più bere. Preferisce mangiare.
Hai dovuto forzarti a trattenere le tue dita sul grilletto. Era ancora troppo lontano e di questi tempi le pallottole sono oro.
Poi hai notato qualcosa di insolito.
Il tipo si è fermato.
Sembrava assorto a contemplare qualcosa per terra.
“Assorto a contemplare” è un tipo di espressione che mai avresti pensato di attribuire a uno zombie.
Eppure questa è l’impressione che ti ha fatto.
Dalla catastrofe ad oggi di zombie nei hai fatti fuori parecchi e sai per certo che quello che di solito fanno è trascinare il proprio cadavere marcescente in giro, emettere un gorgoglio disgustoso, secernere liquami scuri e, all’occorrenza, addentare carne viva.
Hai sentito dire che alcuni di loro hanno una qualche reminiscenza di quello che facevano in vita ma, di solito, si tratta di azioni semplici che ripetono meccanicamente, non certo di contemplazione.
Eppure il tipo si è chinato in modo goffo, ha afferrato qualcosa e, dopo enormi sforzi è riuscito ad alzarla.
Hai strabuzzato l’occhio nel mirino quando hai realizzato che si trattava di una bicicletta.
Una vecchia Graziella pieghevole azzurra. Senza sellino con il canotto arrugginito spezzato e appuntito, ruote storte, gomme bucate ed il filo del freno a penzoloni.
Hai supposto che in vita fosse uno di quei ragazzi africani del Centro Accoglienza per Rifugiati. Quelli che una volta giravano con la bicicletta tra i cassonetti della spazzatura alla ricerca di qualcosa da portare al mercato delle pulci e che spesso finivano all’ospedale perché qualche figlio di papà che giocava a fare il nazi aveva bisogno di un diversivo per concludere la serata.
Una bici del genere è stata la tua prima bici. Te la avevano regalata i tuoi per il tuo quinto compleanno. Aveva le ruote piccole, da 16 pollici, mentre quella che ora sta spingendo lo zombie deve essere da 20. Era una Safari Chiorda. Con le rotelle. Hai imparato con lei.
“Una volta che riesci a stare in equilibrio su due ruote non lo dimentichi più” si diceva una volta.
Deve essere per questo che lo zombie ha provato a salire sopra al rottame.
Si è poggiato con le braccia sul manubrio e ha alzato una gamba. Ha il braccio destro fratturato in più punti. Non lo ha retto. Si è sbilanciato, è caduto.
Si è rialzato maldestro e ci ha messo un’infinità di tempo per raddrizzare anche la bici.
Si è puntellato con il braccio sinistro, ha sollevato la gamba e l’ha fatta ricadere pesantemente dall’altro lato del telaio. Il tutto ha traballato un po’ ma stavolta in posizione verticale. Il tubo della sella arrugginito ha trafitto lo zombie impalandolo. Hai visto il metallo rugginoso sbucargli dalla pancia accompagnato da un fiotto nerastro.
Ha messo un piede sul pedale ma il peso ha tirato in basso il suo corpo lungo il canotto. Il ventre si è squarciato ed alcuni metri di intestino sono caduti in terra. Lo zombie si è ritrovato trafitto e seduto sul portapacchi posteriore della bici.
In questa posizione è riuscito anche a fare un paio di pedalate ma poi è caduto contro una macchina.
Si è rimesso dritto. Sempre infilzato e seduto sul portapacchi. Ha iniziato a procedere spingendosi con i piedi, camminando da seduto. Ti sei ricordato dei tuoi primi tentativi di andare sulla Safari senza rotelle. Alcune lacrime hanno dissolto l’immagine nel mirino. Quando lo hai pulito e ci hai guardato di nuovo dentro hai notato il polverone all’orizzonte.
Hai visto un puntino diventare un Hammer nero mano a mano che si avvicinava.
Dal fuoristrada devono aver visto lo zombie perché hanno deviato dalla loro traiettoria per dirigere sul ciclista. Lo hanno preso in pieno facendolo volare per una ventina di metri con tutta la bici. La ruota davanti e il braccio destro dello Zombie si sono staccati dal resto.
Dal Suv sono usciti due uomini. Uno dei due, a torso nudo, aveva tatuata una enorme svastica sul petto.
«A te stanno sul cazzo più gli zombie o i negri?» ha berciato l’altro.
«E’ una bella lotta ma qui non dobbiamo scegliere a chi fare saltare la testa per primo, guarda, abbiamo un fottuto zombie negro a rotelle»
Intanto lo zombie è riuscito, con l’aiuto di un lampione, a rialzare se stesso e la bicicletta.
Ti ha sorpreso il fatto che sembrava non essere attratto dalla carne dei due, assorto come era a far procedere in avanti, sulla sola ruota di dietro, come te quando da bambino impennavi con la Safari, quel che restava del telaio e del suo corpo.
Il tipo con la svastica lo ha raggiunto e da dietro gli ha mollato un calcio su una gamba. Lo schiocco dell’osso rotto è arrivato fino a te.
Insieme, i due, hanno preso a menare con gli anfibi indistintamente sui pezzi meccanici della Graziella e su quello che rimaneva del corpo del rifugiato.
Hai ripensato a quel momento, poco prima che il mondo finisse, in pizzeria in una sera di febbraio. Era il 2015 al governo c’era un democristiano, una escalation in Ucraina stava rendendo critici i rapporti tra USA e Russia e sullo schermo del locale trasmettevano l’esibizione di Albano e Romina al Festival di Sanremo.
Anche allora, come adesso hai detto:
«Non cambia mai un cazzo!»
Carichi, inquadri nel mirino il cranio dello Zombie e spari. Il corpo sussulta e poi rimane immobile. In pace.
I due sobbalzano e si guardano intorno spaventati.
Ti sono rimasti solo due colpi. Abbastanza.
Ricarichi, e inquadri nel mirino la testa del tipo con la svastica.

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Ozbo

Marco Roncaccia è un operatore sociale con una compulsione ossessiva per la scrittura. A questo quadro decisamente Horror va aggiunto che ama la bici nonostante sia refrattario anche solo alla parola “sport “e sia una specialista della caduta da fermo. Propina ad amici e conoscenti la birra che autoproduce senza gravi conseguenze gastrointestinali.


  3 commenti su “Non cambia mai

  1. Francesca
    Francesca
    16 aprile 2015 at 14:47

    Da quando mi sono iscritta a Minuti Contati (non da molto per la verità) “Non cambia mai” è sempre stato alla sinistra della pagina, lì, che non chiedeva altro se non di essere letto. Ho letto altri racconti ma questo l’ho sempre accuratamente evitato a causa della copertina Roma Caput Zombie. Non mi sono mai piaciuti i racconti, i film, i videogiochi sugli zombie che, proprio come questo, ho sempre evitato. Non mi entusiasmano e li trovo noiosi, è sempre la stessa solfa insomma. Stamattina, così per caso, mi sono decisa a leggerlo, avendolo sempre sotto gli occhi. E con mia grandissima sorpresa…mi è piaciuto! E anche tanto! Certo, complici sono anche la scrittura, meravigliosamente scorrevole e coinvolgente, e lo strano punto di vista adottato. Umanizzare lo zombie e disumanizzare gli esseri umani (i due nazisti alla fine) l’ho trovata una genialata. Riesci a far immedesimare il lettore nella creatura ormai senza vita, facendo provare compassione e quasi affetto verso quest’ultimo, proprio come sembra fare anche il protagonista. Le informazioni finali, Mattarella, l’Ucraina, Mina e Albano, poi riescono a catapultartici dentro, facendoti sentire veramente parte del tutto.
    Non ti nascondo che nel leggerlo, soprattutto gli spezzoni legati alla bicicletta (mezzo nel quale paradossalmente mi rivedo nonostante anche io sia una refrattaria dello sport), una lacrimuccia è scesa anche a me e senza riserve posso affermare che questo è senza alcun dubbio uno dei più bei racconti mai letti nel sito.
    Complimenti davvero e grazie per aver fatto crollare il muro che avevo creato verso questo genere di storie.

    Buona vita e buona scrittura :)

  2. Ozbo
    Ozbo
    19 aprile 2015 at 21:07

    Ciao Francesca, leggere un commento come il tuo è un buon motivo per me per continuare a scrivere. La mia passione per gli zombie viene da parecchio lontano. Gli zombie, per come li conosciamo oggi, sono nati nel 1968 con “la notte dei morti viventi” di Romero. Io arrivo subito dopo … aprile 1969. Anni di fermento sociale, di rivoluzioni di contestazioni studentesche. Gli zombie, per me sono critica sociale, denuncia, gli zombie o sono politica o non sono. Per questo assisto con sgomento a quello in cui il mercato e la moda li hanno trasformati. Il mio intento, in questo racconto e anche in altri, fino ad arrivare al mio romanzo (che rischia di piacere più ai non appassionati del genere che non agli zombofili attuali) è proprio il recupero della valenza di satira e di riflessione su noi stessi che i morti viventi hanno rappresentato e continuano a rappresentare per me.
    Grazie ancora per quanto hai scritto a rileggerci.

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