L’importanza di sentirsi a casa… La propria terra va difesa, a qualunque costo. Ma a volte si tende a esagerare. Un racconto di Andrea Viscusi.
Andava al cimitero una volta la settimana. Passava in serata, per passeggiare tra le lapidi nella luce tenue del tramonto. Si tratteneva poco, e usciva puntualmente cinque minuti prima del custode.
Seguiva un percorso pressoché casuale, inoltrandosi nei corridoi delimitati dai loculi, leggendo nomi e date, dediche ed epitaffi, osservando i particolari delle foto ovali poste sulle pietre. Si interrogava su quelle vite passate, immaginando ciò che quelle persone avevano lasciato dietro di loro. A volte il suo pensiero indugiava su quanto sarebbe capitato a lui, dopo la morte, ma non erano mai riflessioni cupe.
C’era un solo posto in cui si fermava sempre. Era un punto speciale, una porzione di terreno su cui crescevano i ranuncoli. Lì, per uno strano gioco di ombre, i raggi del tramonto filtrati dalle decorazioni della cancellata andavano a formare, per pochi minuti prima del calare del buio, le sue iniziali.
Quel giorno, quando si fermò lì davanti, i ranuncoli non c’erano più. Il terreno era stato smosso, e sulla lapide si leggeva il nome sbagliato. Cosa ci faceva quello sconosciuto lì?
Attese che il custode chiudesse, poi andò a recuperare i suoi attrezzi. Scavò fino a estrarre la bara. Forzò l’apertura, ed estrasse il corpo dalla cassa. Era un vecchio, dalla pelle grigia e tirata. Uno sconosciuto.
Caricò la salma in macchina. Salì per le colline, fino al torrente che scorreva nella vallata opposta. Caricò il defunto in spalla e si avvicinò alla sponda.
«Mi dispiace amico» si scusò con il vecchietto. «Ma quello è il mio posto. Dovranno seppellire me in quella terra.»
Gettò il corpo in acqua, e una volta a casa dormì sereno.