Urli

Urli

Lupo, vampiro, mostro della laguna, drago… quante facce può avere la disperazione nascosta fra le maglie della follia di questo mondo? Un racconto di Maurizio Bertino.

 
Quando arrivava a scuola con i lividi, i professori sapevano, ma gli sorridevano…
 
Ripensando al suo passato, digrignò i denti e, mentre saliva lungo la strada sterrata, si chiese cos’avrebbe fatto senza lo specchio.
«Probabilmente avrei dato di matto…» si rispose.
Da che aveva memoria, il momento specchio era sempre stato il suo preferito. A volte, quando era ragazzo, sua madre si lamentava, si diceva preoccupata, sosteneva che non le pareva una così grande occupazione.
«Il ragazzo ha bisogno di uno sfogo!» le ribatteva suo padre sbattendole la faccia contro il tavolo.
 
Abbandonò la strada per il sentiero. Stava cominciando ad ansimare, faticava a sollevare la lunga coda oltre le rocce che gli sbarravano la via, ma l’aveva immaginato che non sarebbe stata una passeggiata.
Non sapeva perché, ma davanti allo specchio urlava e si sentiva meglio. Urlava fino a diventare rosso in faccia, senza più fiato, con le bave che gli scendevano dai lati della bocca. Urlava con tutta la rabbia che aveva dentro, strabuzzando gli occhi, facendo le facciazze, a volte si spingeva fino a tirare pugni contro lo specchio, ma questo si rompeva e non era più la stessa cosa.
Un giorno suo padre gli aveva regalato la prima maschera, quella di un lupo mannaro. Sua madre non c’era già più. Colpa del tavolo: non s’era rotto lui, ma la testa di lei. Incidente domestico.
I vicini di casa sapevano, ma gli sorridevano.
Aveva scoperto che urlare con addosso la maschera gli dava molta più soddisfazione. Ululava, faceva il gesto del graffiare, si dimenava, si accucciava, faceva l’agguato. Un giorno si attaccò con lo scotch degli artigli alle dita: erano talmente ben fissi che gli riusciva di graffiare il muro. Provò a mettersi anche del pelo, ma impiegava troppo tempo ad attaccarlo e faceva male a strapparselo.
Uccise suo padre mordendogli il collo fino a squartargli la carotide. Poi lo fece a pezzi e lo mangiò bollito: cuocerlo non era degno di un lupo mannaro, ma di sicuro gli dava un altro sapore. Era già maggiorenne, raccontò che il vecchio aveva deciso di tagliare la corda una sera che era più ubriaco del solito e che non l’aveva più visto da allora. Gli sorrisero e non gli fecero altre domande.
 
Ormai poteva vedere la vetta. Non era una grande altezza, ma le corna gli pesavano e l’avevano trasformato in una cascata di sudore. La città illuminava la notte alle sue spalle. A breve sarebbero state fuoco e fiamme.
 
Il lupo mannaro era gratificante, ma l’esperienza con il collo di suo padre l’aveva portato a preferire quella del vampiro. Si muoveva nella notte, entrava nelle case e mordeva le sue vittime con i due lunghi canini, da lui stesso molati fino a renderli più appuntiti di uno spillo.
Non gli dispiaceva neanche la maschera del mostro della laguna, ma era la più complicata. Doveva attendere immerso nelle fredde acque di fiumi o laghi, una volta anche del mare, che qualche coppietta si coricasse lungo la riva e quindi, senza fare rumore, doveva strisciare la zampe fino alle loro spalle, stordire il maschio con una botta in testa, accanirsi sulla ragazza e infine completare il lavoro con lo svenuto.
Nella città era un gran parlare. Cadaveri dilaniati, morsi al collo o massacrati. Ormai le strade erano un via vai di cacciatori di mostri provenienti dai più improbabili angoli della Terra.
Non c’era più spazio di manovra, anche il momento specchio era diventato pericoloso. Se avessero sentito le sue urla? Se fossero entrati in casa e l’avessero trovato con le sue maschere? Cominciò a sentirsi braccato. Aveva bisogno di una mossa definitiva, risolutiva. La trovò quando scoprì su internet una maschera di drago. Le scaglie le donavano un’espressione austera e malefica al tempo stesso. Desiderò all’istante di possederla per urlare allo specchio fino a rimanere senza fiato.
 
Raggiunse la cima. Non stava nella pelle, cercò il profondo dirupo di fronte al quale si estendeva la città e urlò la sua soddisfazione. Fece qualche passo indietro, quel tanto che gli permettesse un discreto slancio. Spalancò le ali che aveva assicurato alle braccia e ringhiò. Sarebbe planato su tutti loro. Li avrebbe colpiti con il suo urlo di fuoco. Li avrebbe arrostiti, loro e i loro sorrisi di compiacenza e di falsità. E poi sarebbe atterrato nel suo cortile, sarebbe entrato in casa, si sarebbe messo davanti allo specchio e avrebbe urlato fino al mattino.
 
Si lanciò in avanti. Precipitò urlando e nessuno sentì il tonfo del suo corpo sulle rocce sottostanti.

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Maurizio Bertino

Campione della Prima Era, vincitore di nove edizioni e a podio in svariate altre occasioni, Maurizio Bertino è uno degli autori storici di Minuti Contati. Nella Seconda e nella Terza Era ha inoltre alternato le partecipazioni all'organizzazione del contest. Fa parte del Team di MC.


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