Incenso

Incenso

Clara si svegliò sudata, con la sensazione che qualcosa le comprimesse il torace impedendole di respirare.
Il cielo era scuro, nei libri si sarebbe detto “il cuore della notte”. Ma nei libri si gira pagina e si va avanti, nella vita è diverso.
Aveva fatto un brutto sogno, di nuovo. A riempire le sue notti, insieme a loro, era l’insonnia.
Non c’erano stelle a farle compagnia nel cielo di Torino. Non ci sono mai, l’illuminazione rende il cielo arancione. Fuori dalla finestra vedeva solo le luci della Mole.
Il sonno non sarebbe tornato, così si alzò per fare qualunque cosa che avrebbe potuto distrarla. Lo stesso incubo di sempre, era tornato più vivo.
Sognava lui, la notte, le strade buie dove si erano conosciuti. Sognava che le dicesse «Sono stato un idiota, ti prego, perdonami.» E di rispondere «Sono stata io un’idiota per averti lasciato andare.» Sognava un bacio come il primo che si erano dati, al limite della notte, quando i raggi verdi dell’alba cominciano a violentare il nero del cielo.
Stavolta si era svegliata prima del bacio, come se anche il sogno volesse toglierle la speranza. Mentre sfilava il pigiama sentì un odore diverso dal suo. Anche con la mente annebbiata dai calmanti pensò chiaramente che quello fosse l’odore della paura.
Si mise sul divano, avvolta in una coperta, sul lato sinistro. A destra si sedeva lui, quando ancora veniva da lei.
Bruciò un incenso; il fiammifero era già acceso quando ripensò all’ultima volta che avevano cenato insieme, in quella casa. Pensò al fumo al gelsomino che si mescolava a quello delle sue Camel. Non era più riuscita a bruciare un incenso da allora. Il fiammifero le si spense tra le dita, ma non sentì scottare.
Provò a leggere, ma dopo mezza pagina ricominciò a pensare. L’orologio segnava le 4.32 del mattino. Si era addormentata quasi alle tre e il giorno dopo sarebbe arrivata una sua amica, ma non si preoccupò della notte bianca.
Ripensò alla sera in cui lui se n’era andato. Era riuscito a farlo con la delicatezza di una farfalla, come era sempre stato. Era stupefacente come una creatura tanto delicata potesse diventare una bestia feroce, di quelle con denti aguzzi e artigli affilati, nel momento in cui diventa ricordo.
Aveva provato a rinchiudere il passato in gabbia, o almeno addestrarlo perché facesse meno male, ma non ne era stata capace.
Aveva anche imparato a odiare chi le diceva di non potersi lamentare della vita, perché gli studi andavano bene e aveva una famiglia come tante. Ognuno ha i suoi mostri da combattere, con o senza battaglie visibili. O udibili. Il suo mostro aveva subito una metamorfosi inversa; da farfalla era tornato larva, le sembrava di poterlo sentire mangiarla da dentro. Forse per quello sentiva male. Forse aveva freddo perché sanguinava dove non poteva vedere.
Riguardò il letto, sfatto solo nella metà destra. La sinistra era la sua. Dopo un anno non era ancora riuscita a invaderla.
Se Alessandra avesse sentito quelle parole le avrebbe detto «Non puoi andare avanti così. Ne parliamo da mesi, è il passato.»
Avrebbe voluto risponderle che era anche il presente nei suoi incubi. Avrebbe voluto che sentisse l’odore di paura che aveva addosso, ma si sarebbe fatta una doccia prima del suo arrivo.
Se avesse smesso di sperare che potesse essere anche il futuro probabilmente si sarebbe svuotata. Continuava a pensare che forse, un giorno, quella larva carnivora che la piegava in due dal male potesse tornare la farfalla che era. Una farfalla che sfiora leggera le mani e il viso.
Quella notte rimase tra il sonno e la veglia, mentre i programmi televisivi si susseguivano sotto i suoi occhi assenti.
 
Alessandra arrivò alle undici e si salutarono con un abbraccio. Passarono la giornata fuori, con tutta l’intenzione di non pensare. Clara le aveva raccontato tutto, da quando era iniziata fino alla fine. Alessandra l’aveva sempre sostenuta, ma era stanca di dare sempre gli stessi consigli, inascoltati. Era stanca anche di chiedersi se davvero ci volesse provare.
Rientrarono a casa a notte inoltrata e si buttarono sul letto ancora truccate. La mattina dopo il mascara sarebbe stato sbavato e i capelli spettinati, ma non importava a nessuna delle due.
Il giorno dopo, mentre il caffè saliva a riempire la caffettiera, Alessandra provò ad accendere un incenso. Clara la fermò un istante prima che il bastoncino prendesse fuoco.
«Sono ancora i suoi?»
«Sì.» ci fu una pausa di silenzio.
«Ci ho provato.»
Non dissero altro. Solo più tardi, mentre finivano la colazione, Alessandra le chiese se avesse mai finito il film che aveva iniziato con lui. Clara non rispose.
«Sai che ti dico?» chiese poi Alessandra con un altro tono. «Dipingiamo una frase sul muro di camera tua. Ti piace ancora dipingere, no?»
Alessandra prese il treno sporca di vernice, ma con la convinzione di aver regalato un pomeriggio di risate all’amica.
 
Quando Clara tornò a casa c’era ancora odore di vernice fresca. La scritta sul muro veniva da un libro di Stephen King; il tratto era preciso, viola scuro. Il colore sarebbe piaciuto anche a lui.
L’amore non è quello che i poeti del cazzo vogliono farvi credere. L’amore ha i denti, i denti mordono, e i morsi non guariscono mai .
«Sicura?» aveva chiesto Alessandra, pur sapendo già la risposta. «L’amore non è sempre sofferenza.»
«Sicura.»
Avevano dipinto in silenzio. Solo dopo un po’ erano cominciati gli schizzi di vernice, le risate che mancavano a entrambe. La vita di ogni giorno era riuscita a intromettersi, con la sua solita noncuranza per il dolore.
Mentre era sola Clara pensò che l’amore può far male così solo se è finito per metà.
Si stese sul letto, cercando inutilmente il suo profumo tra le lenzuola. Era passato troppo tempo.
Non sapeva di che natura fosse la bestia feroce in cui si era trasformata la farfalla, ma la divorava da dentro, senza lasciare cicatrici visibili.
Avrebbe dovuto buttarla fuori da sé, ma non ci riusciva. Forse non voleva. Era troppo testarda per abbandonare una parte così importante come il passato. Soprattutto la parte che riguardava lui.
Si rannicchiò nella sua parte di letto, dove una volta lui la stringeva e in un certo senso lo faceva ancora, azzannandola. Avrebbe tenuto il passato con sé, anche se farlo l’avrebbe distrutta.
Nella stanza non c’era più fumo di sigaretta da tempo. Clara si alzò di scatto, prese il pacchetto di incenso e lo buttò via. Non sarebbe più bruciato se non si fosse potuto mischiare a quello delle sigarette.


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