A National Acrobat

A National Acrobat

Un mondo allo sfacelo, anime che lottano per la vita, per rimanere se stesse, anche a costo di lasciarsi sopraffare dalla follia. Del resto, in qualche modo, “The show must go on”.

 
Reneé rabbrividì, stringendosi nel cappotto lurido. Il vento soffiava con un’insolenza peggiore del solito quella sera, mentre l’ombra del sole scendeva funerea al di là della spessa coltre di polveri che copriva l’orizzonte. Si sfilò gli occhialoni e alzò gli occhi al cielo. In lontananza le tonalità violacee del cielo si fondevano in una desolazione ocra. Un lampo. Contò fino a dieci, prima che il tuono rotolasse fino a lui.
Si girò verso il compagno di viaggio.
«Tre chilometri, Juan.»
L’altra figura, avvolta nella cerata gonfiata dal vento, non si mosse.
«Grazie, so contare» rispose secco.
«Prego. Che dici, ci arrischiamo?»
Juan alzò le spalle. Guardava le rovine della città davanti a loro, attraverso l’unica lente buona del binocolo. Gli scheletri degli edifici sembravano consunti dal vento e dalla polvere. Poteva sentire il cigolio che accompagnava tutte le rovine, un dannato rumore di fondo che non abbandonava mai nemmeno i luoghi più desolati.
Sospirò.
«Non abbiamo molta scelta. O le rovine, o la tempesta di sabbia.»
Reneé non rispose nemmeno. Riprese solo a camminare.
 
L’ingresso del teatro assomigliava a una gola pronta a divorarli.
«Ancora Art Decò? Ma li scegli apposta?»
Juan osservava l’ingresso con fare critico, mentre Reneé si guardava circospetto.
«Si. Costruzione solida» rispose battendo sul cemento. «Qualche possibilità in più che non sia pericolante. D’altronde non c’è molta scelta, a quanto pare è uno dei pochi edifici rimasti in piedi.»
«Non mi piace. È tetro.»
Reneé guardò sbalordito il compagno.
«Scherzi, vero?»
«No. Ho una brutta sensazione.»
Reneé si avvicino a un palmo dal viso di Juan.
«Certo che hai una brutta sensazione. Siamo vivi in un mondo morto. Adesso entriamo e cerchiamo riparo, prima che la sabbia ci porti via la carne dalle ossa.»
 
Nel salone l’aria era pesante, fetida. Il fascio di luce della torcia a dinamo tremolò un istante mentre veniva ricaricata da un paio di vigorosi colpi di manovella.
«Dev’esserci qualche cadavere.»
Reneé puntò la luce verso i loggioni coperti di polvere, quindi sul palco. Scenografie di montagne, con un sole stinto di cartapesta a illuminare il buio.
«Già. Hai l’arma carica?»
L’otturatore del revolver di Juan scattò.
«Io il palco, tu i loggioni?»
«Tu il palco, io i loggioni» fece eco Juan.
 
Reneé si inoltrò dietro i pesanti tendaggi delle quinte. L’odore di putrefazione era intenso adesso, e proveniva direttamente dalla zona dei camerini. Forse un animale. Se era più fortunato, il cadavere di qualche sopravvissuto col suo equipaggiamento. Il fascio di luce illuminò la porta rossa.
STAR.
L’aprì e li vide. Scheletrici, coperti dei propri escrementi. Qualcuno aveva trasformato il camerino in una prigione, usando un’inferriata. Non si poteva nemmeno parlare di esseri umani. Labbra esangui si muovevano impercettibilmente, e i polsi, sottili come ramoscelli, sembravano nuotare nelle manette che li trattenevano alle sbarre. Il fetore era insostenibile.
Un uomo bisbigliò qualcosa, e Reneé si avvicinò per ascoltare.
Scappa, diceva.
Ma Reneé non riuscì mai a sentirlo.
 
Il teatro era illuminato in tutto il suo sfacelo e dalle profondità dell’edificio si sentiva il rumore continuo del generatore che forniva energia all’impianto. Una musica delirante suonava, diffusa dagli altoparlanti. Reneé girò la testa come poteva, legato com’era alla poltroncina. Al suo fianco giaceva Juan, imbavagliato e immobilizzato anch’esso. Assieme a loro moribondi e carcasse, a riempire le prime file, in una macabra mimesi di pubblico.
Le luci si spensero, mentre l’occhio di bue illuminava il trapezio.
Nel vuoto, volteggiava l’artista.
 

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Alberto Della Rossa

Nato a Brindisi nel '79, veronese d'adozione, studia Conservazione dei Beni Culturali a Venezia dove si iscrive pieno di speranza e si laurea con moderata convinzione. Divide il suo tempo tra le attività di copywriting e ufficio stampa, in cerca dell'ispirazione che suole coglierlo nei momenti meno opportuni. Vincitore del premio Scheletri: 300 parole per un incubo ed.2006 e terzo classificato nell'edizione 2012. Due vittorie a Minuti Contati per lui.


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