A volte, prima di giudicare, bisognerebbe fermarsi e riflettere perché il rischio è di trovare qualcuno che se ne possa sempre approfittare. Un racconto di Stefano Pastor.
«Signora, aspetti! Dico a lei, si fermi un attimo!»
Patrizia si voltò incerta. «Dice a me, agente?»
«Sì, proprio a lei. Non sta dimenticando niente?»
Patrizia diede un’occhiata alle buste e ai pacchetti. C’erano tutti. Il portafogli stretto in mano, non lo perdeva mai di vista.
«Non mi sembra»
«E questi?»
Cercò di capire cosa volesse intendere. C’erano due bambini dietro all’agente. Un maschio e una femmina. Sei o sette anni al massimo.
«Non li conosco»
«Non sono suoi?».
Ridacchiò. «Oddio, no!»
L’agente si rivolse ai bambini. «È questa la vostra mamma? Ne siete certi?»
Assentirono entrambi.
«Loro sono di altro avviso»
Patrizia era incredula. «Si sbagliano. Si stanno confondendo»
«A me sembrano ben certi»
«Le assicuro che non ho figli. Non sono neppure sposata»
«Che ragione avrebbero per mentire?»
Non ne aveva idea. Si rivolse ai bambini, impacciata. «Assomiglio alla mamma ma non sono lei»
Il maschio la contraddisse. «È lei» La femmina confermò.
«Io non…»
«È una faccenda seria, signora. La prego di seguirmi».
Patrizia si spazientì. «Come devo dirglielo? Non sono sposata! Non ho figli! Posso provarlo!»
«Ne è certa?»
Posò i pacchi e aprì il portafogli, cercando la carta d’identità.
«Ecco, guardi!» disse porgendogliela. «Libera. C’è scritto libera»
L’agente la prese, ma quando l’aprì qualcosa cadde a terra. Una fotografia. La raccolse e gliela mostrò.
«Se non li conosce, può spiegarmi perché si porta dietro la loro foto?»
Patrizia impallidì. Erano proprio loro. Forse un anno più giovani. Sorridevano.
«Non è possibile»
«Mi faccia controllare.» L’agente le tolse di mano il portafogli e Patrizia non osò intervenire. Davanti ai suoi occhi tirò fuori i documenti, ma non trovò altre foto.
«Deve esserci una spiegazione» disse Patrizia.
«Mi segua, per favore. Parliamone in ufficio, con più calma.»
«No, aspetti! È un equivoco, ne sono sicura.»
«Avrà modo di dimostrarlo, ora mi segua.»
Stava avvenendo veramente? Lì, in pubblico? La stava arrestando? Si erano fermati in tanti a guardarla, la consideravano già un mostro. Desiderava solo sprofondare.
«La prego, non mi faccia questo.»
Lo sguardo dell’agente era gelido, l’aveva già condannata.
«Mamma!» strillò la bambina, facendo sussultare tutti. Afferrò il braccio del fratello e si mise a tirarlo. «Guarda, è la mamma! È laggiù.»
L’agente aggrottò la fronte, mentre Patrizia tirava un sospiro di sollievo. «Ne siete certi?»
Anche il bambino annuì. «Sì, è lei!» Poi partì correndo, trascinandosi dietro la sorella. «Mamma, mamma! Siamo noi!»
«Aspettate!» gridò l’agente. «Non potete scappare così. Aspettate!» E gli corse dietro.
Sotto gli sguardi di tutti Patrizia aveva un colorito grigiastro. «È stato un equivoco, vedete? Si sono sbagliati.»
Bambini e agente sparirono dietro l’angolo. Lì si fermarono. L’agente tirò fuori i soldi dal portafogli di Patrizia e li contò. «Ottocento euro».
«Speravo di più» commentò il bambino. «Considerato come lo teneva stretto.»
Poi divise il malloppo in parti uguali e ciascuno andò per la sua strada.
Leggendo il racconto mi sono più volte domandato se Patrizia era davvero la madre dei bambini oppure no. Non è affatto facile riuscire a tenere nel dubbio il lettore fino all’ultimo, ma in questo caso l’autore ci è riuscito perfettamente. Molto bella anche l’idea. Un racconto intelligente e scritto bene.