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Ciao Ambra, ho fatto comparire lo spazio bianco sotto il titolo che il codice si era “mangiato”, nessuna modifica al tuo racconto che hai consegnato in tempo. Scusa se non ti avevo avvisato. Ciao!
Grazie per i commenti! 😉
Bravo Raffaele! Bel racconto! Uno dei tuoi migliori che abbia mai letto!
L’idea del “sistema” guasto stuzzicava anche me, anche se l’ho applicata in un altro ambito. La tua scelta è ineccepibile.
Se dovessi dare un titolo alternativo al tuo racconto…
LA SECONDA – FALSA – PRIMA-VERA18 marzo 2015 alle 21:27 in risposta a: Classifiche giurati e Classifica Generale Parziale Aggiornata #4615CLASSIFICA
1. Perfection, di Eleonora Rossetti
2. Non cambia mai, di Marco Roncaccia
3. Solo tu puoi prenderlo, di Filippo Santaniello
4. Rimpianto, di Enrico Nottoli
5. Incenso, di Cristina Danini
6. Buried Town, di Viviana Spagnolo
7. L’assurda colpa di esistere, di Jacqueline Nieder
GIUDIZI (in ordine sparso)
Solo tu puoi prenderlo, di Filippo Santaniello
Ciao Filippo, ben ritrovato sul nuovo forum.
Ho apprezzato molto il tuo racconto, è delicato, circolare, ben scritto.
La scena della morte del padre va abbastanza bene anche così, forse potevi rafforzarla con un dettaglio tattile, visivo o uditivo che si riproponesse identico nel passato e nel presente. Mi spiego. Tu richiami le unghie della madre nella spalla di Luca, ma questo non succede, è solo ricordato. Se ci fosse un dettaglio come un suono di una sirena, realmente identico nei due quadri, l’accostamento sarebbe molto più forte. Basterebbe riportare due volte identico l’inciso, tipo: “Uno squillo di sirena.”
Tu invece metti un finto ricordo nel quadro presente:Quando emergo, il motoscafo mi assorda. E lo rivedo. La prua appuntita, la fiancata bianca e le eliche che lasciano una scia rossa come la boa mentre mia madre mi ferisce con le unghie e urla a mio padre di spostarsi.
La parte di “il motoscafo mi assorda” l’ha vissuta il padre, non Luca. È vista “ad altezza acqua”.
Io ti proporrei una struttura alternativa di questo tipo (mie le parti in corsivo):Poi mia madre mi affondò le unghie nella carne della spalla e urlò a mio padre di spostarsi. Uno squillo di sirena.
[…]
Emergo. Uno squillo di sirena. E lo rivedo. La prua appuntita, la fiancata bianca […]In ogni caso buona prova! Bravo!
Tutto torna, di Diego Ducoli
Caro Diego, ben ritrovato.
Troppi quadri confusi nel tuo racconto. Un uomo ha avuto un incidente d’auto e letteralmente “si vede passare tutta la vita davanti”, o meglio, solo i momenti brutti, senza un filo di speranza.
Forse eccessiva anche la caratterizzazione “dantesca” delle bestie metaforiche che gli danno la caccia.
Attenzione però. I singoli pezzi del patchwork, presi singolarmente, non sono così male… Hai un certo gusto visivo nelle tue rappresentazioni (show, don’t tell). È solo che non stanno bene assieme, non formano un tutto solido e una trama coesa.
È un peccato che tu abbia strappato le tele di tanti piccoli quadretti carini per farne un collage impreciso.
Attento anche alla punteggiatura.
Alla prossima!
L’assurda colpa di esistere, di Jacqueline Nieder
Ciao Jacqueline e benvenuta a Minuti Contati!
Ti dico subito che “scrivere quel che si conosce” non è solo un consiglio. È quasi una necessità. Tu scegli un punto di vista molto difficile, perché descrivi un periodo storico che per ragioni cronologiche non puoi aver vissuto se non per racconto indiretto, la guerra in Croazia nei primi anni Novanta.
Per esempio:hai delle lenzuola addosso, lenzuola che sono pulite, siamo in Italia, qui si sopravvie meglio, qui non senti scoppiare il colpo di un carrarmato alle undici di mattina, qui non fanno irruzione negli ospedali e uccidono gli uccisi, sei al sicuro
C’è qualcosa di esterno in queste considerazioni. Dovuto forse alla troppa precisione, come la notazione “il colpo di un carrarmato alle undici di mattina” mi suono strano. E non fa parte di quello che la madre, presto nonna, narra successivamente. Lei non è mai stata in un ospedale in cui hanno fatto irruzione uccidendo gli uccisi. Questo lo abbiamo visto noi, dall’Italia, nei reportage, dall’esterno. Lei che era all’interno della situazione può aver visto solo la sua “fetta” di mondo (come quando descrivi la cantina con la caldaia).
Anche le considerazione sul dare la vita che riecheggiano la creazione divina mi suonano troppo auliche, ma forse è una mia impressione.
È bello quello che descrivi, probabilmente centra bene il sentimento di questa donna che vede la figlia partorire in circostanze del tutto diverse dalle proprie e torna con la mente nel suo passato. Ma, mi pare, che tu ce la presenti troppo filtrata da una sensibilità da narratore esterno.
Per il resto un bel pezzo, molto caldo, struggente.
Attenta qui: distrazione: “per la settimana volta”, invece di “settima” volta. Refuso: “sopravvie” per “sopravvive”.
Buried Town, di Viviana Spagnolo
Ciao Viviana, benvenuta a Minuti Contati!
Non starò a ripeterti quello che ti hanno già detto e consigliato gli altri: voce accattivante, bel ritmo, manca un minimo di trama etc. Cerco di farti notare altre cose che possano esserti utili.
Questa frase uccide il racconto – il lettore ti ha seguito, ha avuto pazienza già fino a metà racconto, e tu gli dici:Forse l’unica cosa importante è che io non ho fatto niente di importante. Niente di diverso dal resto del mondo, dico.
Se questo tizio non ha fatto niente di eccezionale, perché me ne parli?
L’importanza della situazione va settata nel primo periodo, nell’incipit (del tuo lungo incipit). Come nel mio amato e sempre citato Anna Karenina di Tolstoj: “Tutte le famiglie felici si assomigliano, mentre tutte le famiglie disgraziate sono infelici a modo loro.”
La tua frase incipit è messa alla fine:te lo assicuro, l’uomo rispetta solo le storie di cui è il personaggio principale
È sepolta (Buried) troppo lontano dal tuo mondo (Town) del racconto, che solo ci fai intravedere. Anche se tieni questo racconto di Minuti Contati come l’incipit di una storia più lunga, tieni conto di questi consigli: come in un frattale, il tutto sta anche nel dettaglio. Anche nell’incipit, in nuce, nel suo DNA, devi dare al lettore TUTTO il tema della tua storia… E poi lo devi sviluppare. A rilleggerci! 😉
PS
Alcuni perché sbagliati: “perchè, ora come ora”; “Perciò perchè dovrei sentirmi in colpa”; “perchè no, divinità.”; “Perchè dovrei provare rimorso”; “Perchè, te lo assicuro,” – perché vuole sempre l’accento acuto: “perché”. In altri casi lo scrivi giusto.
Se solo sapessero…, di Viviana Tenga
Ciao Viviana, ben ritrovata.
Nel tuo racconto vedo un problema: l’espediente, la machina, è troppo esplicito. Un piccolo congegno elettronico che fa rivivere gli orrori dell’olocausto.
Un’arma del genere è come l’Anello di Sauron del Signore degli Anelli e non può essere trattato con tanta leggerezza.
Né si capisce bene perché Mattia se la prenda con Dario. Se è una vittima casuale, non ha molto senso. Se è una vittima perché non ha aiutato l’altra vittima precedente del primo quadro… ma come poteva farlo? Lo hanno portato via subito gli altri due…
Insomma, lo dici tu stessa nell’epilogo:Non gli è chiaro perché quel pazzo gli abbia voluto fare una cosa del genere,
Né a lui né al lettore.
Alla prossima!
Non cambia mai, di Marco Roncaccia
Ciao Marco, ben approdato al nuovo forum!
È stato un piacere leggere il tuo racconto e non voglio trovare il pelo nell’uovo. Il ribaltamento su chi sia il mostro fra lo zombie e il neo-nazi è un tocco davvero di classe, degno della migliore letteratura non-morta.
Il tema della tua storia si evince dalla battuta razzista che metti in bocca al tizio con la svastica quasi perfettamente a metà della storia:«A te stanno sul cazzo più gli zombie o i negri?»
La tua risposta – con efficace schioppetta finale – è già nel titolo e nell’anafora che accompagna in tre battute il dipanarsi del testo:
«Non cambia mai un cazzo!»
La tesi pessimistica ci sta. La vendetta e rivendicazione, a suo modo ugualmente “razzista”, del protagonista, pure. Come se dicesse: a me non stanno sul cazzo né gli zombie né i negri, a me stanno sul cazzo i fottuti nazisti razzisti del cazzo.
Ecco, forse solo questa morale abbastanza terra-terra, da occhio per occhio e dente per dente, è l’unico punto un po’ debole della trama.
Per il resto storia molto bella e magistralmente narrata. Avrei tagliato l’ultima frase. Il vero explicit del racconto è il tuo:«Abbastanza.»
Che contiene la parola “BASTA!” – che io interpreto essere l’urlo mentale del protagonista davanti a cotanta malsana sopravvivenza di un razzismo che nemmeno la “fine del mondo” è riuscita a sradicare.
Complimenti.
La Bestia di Fuoco, di Giulio Lepri
Ciao Giulio, benvenuto a Minuti Contati.
Nel tuo racconto lo stile è OK ma la trama i passaggi logici lasciano molto a desiderare.
Appellarsi alla realtà, dicendo:Che cosa pensa la madre? Boh, chi lo sa. L’interpretazione è libera
è una scusa che il tuo lettore non ti farà mai passare per buona.
Sta a te, non al lettore, “l’onere della prova”. Il lettore non cerca di convincerti di qualcosa, sei tu, il narratore, che cerchi di trasmettergli le tue visioni. Se il lettore ti obietta che l’idea non è passata, non c’è appello.
Ed è un peccato, perché a parte qualche svista epocale come la frase troppo esplicita:«Babbo, ma perché tu e la mamma avete gli occhi marroni e io ce li ho azzurri?»
la storia scorre bene e promette bene.
Attento anche agli spazi e alla punteggiatura, te ne sei lasciati dietro parecchi, probabilmente per la fretta. Ti è scappato anche un “ed poteva chiederlo a sua madre” che probabilmente sta per “e non poteva chiederlo a sua madre”.
Alla prossima!
Incenso, di Cristina Danini
Ciao Cristina, benvenuta a Minuti Contati.
Racconti il paesaggio interiore della tua protagonista e per farlo hai scelto un setting a te noto: Torino, una donna, il suo appartamento, le sue notti, il suo amore, la sua amica. Giusto, è sempre buona regola raccontare ciò che si conosce, arricchendolo di dettagli personali, che rendono la storia più viva. Frasi come:l’illuminazione rende il cielo arancione
e
i raggi verdi dell’alba
permettono al lettore di “vedere” con gli occhi del narratore – e nel tuo caso anche della protagonista, perché sebbene tu scelga la narrazione in terza persona capiamo chiaramente che si tratta del suo punto di vista. A tal proposito: hai scelto intenzionalmente o inconsapevolmente la terza persona? Io ci vedo una scelta felice, perché questa è una “prima persona estraniata”, come quando si parla di sé come di una persona assente. La protagonista si osserva da fuori perché un trauma – la fine di un amore – l’ha allontanata da sé. Ci ho visto giusto?
Per il resto, ti direi di stare attenta alle ripetizioni delle “frasi chiave” del racconto. Farle tornare più volte, molto simili, non le rafforza, ma le indebolisce. Mi riferisco ai richiami tematici espliciti, in particolare:da farfalla era tornato larva […] La farfalla si era trasformata in una larva carnivora
e
Non sapeva di che natura fosse la bestia feroce […] Dal passato, come una bestia feroce.
Come ho già scritto a un tuo collega, e come ti sentirai certo ripetere mille volte da coloro che danno consigli sulla scrittura: Less is more. E aggiungo: Implicit is the true explicit.
Ti muovi bene quando tracci linee delicate come ali di farfalla e lasci riecheggiare nella mente del lettore, quasi inconsapevolmente la parola “sinistra”, il lato sinistro del letto, il lato sinistro del divano… (Non l’emisfero sinistro del cervello, però, perché quello sarebbe la parte razionale e non la parte emotiva… o forse no? Forse volevi dire che la tua protagonista è tutta persa nell’emisfero destro e non riesce a razionalizzare la perdita? Se sono solo mie elucubrazioni, dimmelo pure, non mi offendo – fanno parte del diritto inalienabile dei lettori di vedere molto di più di quello che hai scritto, in quello che hai scritto :)).
Un’unica amarezza, per me, è che succede poco nel racconto, che la protagonista è bloccata, la larva rimane larva. Non individui una via d’uscita per la tua protagonista. Va bene anche così, ci sono due tipi di “fiaba”, quella che racconta un trauma superato e quello che racconta le conseguenze di un trauma distruttivo, da cui non si rinasce (il vero finale di Cappuccetto Rosso, senza il Cacciatore che arriva a salvare la Nonna e la ragazzina sventrando il Lupo).
Allora forse devi arrivare ancora più a fondo. Cacciare giù il coltello fino alla giunzione fra il corpo e l’anima. In Scarpette Rosse, per esempio, sempre per citare una fiaba, la bambina che non riesce a smettere di danzare quando indossa le scarpette maledette (probabile simbolo di una dipendenza), deve farsi tranciare i piedi dal boia e rimane una storpia per sempre.
Ecco, osa di più. Un pezzo dell’epilogo (punto importantissimo) sembra da superamento del trauma:L’aria nella stanza era limpida.
Mentre quello che tu comunichi è l’esatto contrario. Meglio rimaneggiare la frase o, meglio ancora, toglierla del tutto (less is more):
Non c’era più fumo di sigaretta da tempo. L’incenso non sarebbe più bruciato se non si fosse potuto mischiare a lui..
Dice già tutto ed è più forte senza la prima parte.
Attenta a un “felice refuso” di meravigliosa ambiguità:Avrebbe doluto buttarlo fuori da sé
Voluto o dovuto?
É il passato.
Attenta, “È” vuole l’accento grave, non acuto (su pc si fa con il codice ALT + 0200).
Per il resto brava, una buona prova.
Rimpianto, di Enrico Nottoli
Ciao Enrico, benvenuto a Minuti Contati.
Il tuo è un racconto ricco di particolari, una buona pratica che serve a evitare le frasi fatte e le espressioni trite e scontate, già sentite o lette mille volte. Per esempio ho apprezzato questa semplice descrizione di vita quotidiana:Il caffè venne fuori, lo tirai via dal fuoco non appena vidi schizzarne una parte sul piano cottura.
Il dettaglio del caffè schizzato sul piano cottura – e a chi non è mai capitato? – ci mette a nostro agio nel mondo del protagonista: è uno di noi, ha i nostri stessi problemi, le nostre stesse speranze.
Come in tutte le cose, però, ci vuole misura. Alcuni dettagli possono essere eccessivi e del tutto irrealistici, anche se precisi ed esatti. La frase che balza all’occhio in tal senso è questa:lo centrai in pieno sulla coscia posteriore destra.
Troppe informazioni, e fuori dal punto di vista dell’io narrante. Per il protagonista non è importante il dettaglio della “coscia posteriore destra”. Probabilmente, nel mood del momento, avrebbe potuto pensare piuttosto qualcosa del tipo “lo centrai in pieno sul culo.” Molto meno preciso, ma più reale di una precisa descrizione anatomica, dato il contesto. O addirittura soltanto “lo centrai in pieno.” E basta. Less is more. (E ricorda anche che difficilmente il protagonista avrebbe potuto registrare il punto preciso dell’impatto fra la sua auto e il cinghiale: da dietro il volante, non poteva affatto assistere all’impatto.)
Ti dico questo perché il diavolo, come si dice, è nei dettagli. Se vuoi essere dettagliato, devi essere davvero preciso, altrimenti il lettore, anche se non saprà verbalizzare le sue sensazioni, avvertirà qualcosa che stride, qualcosa di troppo o di sopra le righe nella tua storia.
Altro piccolo dettaglio, a una prima lettura la frase: “Ora parlava però.” mi è suonata strana perché fin dalla sua prima apparizione il personaggio di Sebastiano è presentato come “parlante”, a modo suo:Urlò. […] Grugniva, di un grugnito disperato che pareva gridarmi:
“Ehi, brutta merda! Mi hai preso! Non sai chi sono io! Io ti pelo, hai capito? Ti porto per avvocati e ti pelo! Chiama un’ambulanza, muoviti, Cristo!”Personalmente sentirei il bisogno di un davvero. “Ora parlava davvero, però.”
Al contrario, bella scelta quella dell’ambiguo Grugnì. alla prima apparizione del coinquilino bestiale nel presente.
Per il resto, il racconto si legge con piacere, è aderente al tema, lascia il giusto amaro in bocca che promette nel titolo, “Rimpianto”. Ottima la scelta della forma dialogica per dare voce al dramma interiore che inchioda il protagonista al proprio passato, come la presenza di un coinquilino molesto che non può mandar via.
Una buona prova. Bravo.
Perfection, di Eleonora Rossetti
Ciao Eleonora, ben ritrovata.
Sarò breve. Bel racconto, scritto bene, mi è piaciuto. Brava.
Avrei solo preferito un’ambientazione italiana (una neonata Olivetti nel Canavese?) ma questo perché credo che dare nomi inglesi ai personaggi e una vaga collocazione geografica americana agli eventi non sia necessario.
Trovare un punto debole si può: perché il raptus omicida? Perché limitare tutto alla compagnia? Non sarebbe stato meglio ambientare questo racconto “all’esterno”? Potrei dirti che “E’” accentata maiuscola si scrive “È” (ALT + 0200)… Potrei certo, ma…
Ma perché dovrei farlo? Il tuo lavoro mi lascia soddisfatto. Complimenti. Non proprio Perfection ma quasi! ^___^
La bestia del Gévaudan, di Francesco D’Amore
Ciao Francesco, benvenuto a Minuti Contati.
Mi lascia un po’ perplesso l’anticlimax della tua storia:Una iena resta sempre una iena.
Per il resto, tu hai scelto una storia di avventura e una scena di lotta. La “battaglia finale” dell’eroe è una vera e propria battaglia e il genere del racconto è il pulp. Non è un noir, solo per l’ambientazione avventurosa, per il resto la “voce” del tuo personaggio è come quella di Humphrey Bogart ne Il Falcone Maltese.
Non mi convince molto. Soprattutto per le esagerazioni come:mi staccò la mano dal polso
Che cosa ci volevi comunicare veramente? Che un eroe è un eroe solo per fama e un mostro è un mostro solo per spaventata credenza e non nella realtà.
Forse dovevi scegliere un’altra “voce”, un altro “punto di vista” per farlo (e magari anche un altro genere).
Alla prossima!
Virgola mancante: “perché dalle testimonianze, somigliava” dopo “perché”.
Virgola fra soggetto e verbo: “Mio fratello Dario e la sua quasi moglie Elena, erano spaventati”, probabilmente causata dalla caduta di un’altra virgola prima di “Elena”.
Altra virgola fra soggetto e verbo per virgola mancante: “Quell’essere che ho visto io invece, non era affatto una iena,” mettere virgola prima di “invece”.
Manca accento su “sé”: “Giravano storie su quegli studenti pieni di se”.
Manca la maiuscola: “quanto pensi di durare se continui così?”
“cane ammaestrato” mi suona male, idiomatico sarebbe “cane al guinzaglio” o “scimmia ammaestrata”.
Consecutio temporum: “Tornai a casa, presi il coltello che il mio migliore amico mi regalò” ci vorrebbe “che il mio migliore amico mi aveva regalato”.
Qui non ci vuole né il congiuntivo né il tempo imperfetto: “non mi lascerà andare, ha subito capito quali fossero le mie intenzioni.” Bensì, visto che non c’è incertezza: “ha subito capito quali sono le mie intenzioni”.
Radioman, di Sharon Galano
Ciao Sharon, benvenuta a Minuti Contati!
Anch’io, come altri, ho dovuto lasciar “decantare la tua storia” come un buon vino per riuscire a (o tentare di) capirla.
L’ho letta per prima e l’ho lasciata da parte. Ora che la rileggo mi rimangono ancora degli interrogativi.
C’è della bellezza in quello che scrivi, ma non vedo il filo del racconto. Ho provato a chiedermi perché.
Forse la risposta è una delle più ovvie: una voce narrante “annebbiata” dall’alcool, produce una visione sulla storia egualmente annebbiata.
È bella l’ironia del vecchio (Barbone? Capitano? Generale? Alcolista? Bugiardo? Sincero?), carini i ribaltamenti di situazioni topiche, ma nel complesso rimangono un po’ fini a sé stessi, perché non vedo il filo del racconto.
E non capisco il titolo.
O meglio, lo interpreto come: un uomo allo sbando nel cui cranio passano di continuo interferenze e suoni sconnessi come una radio a cui si cambi continuamente la stazione, è “l’uomo-radio” non sintonizzato. È così?
In tal caso l’idea è buona, ma devi metterla nella trama, non nella voce narrante, pena perdere per strada il lettore, che spegne la radio, o la sintonizza altrove.
Alla prossima! 😉
Le radici del futuro, di Patty Barale
Ben ritrovata a Minuti Contati.
Il racconto è ben scritto e l’ambientazione interessante, purtroppo rilevo varie debolezze nei fili della trama. È sempre difficile scrivere un racconto in cui il viaggio nel tempo sia credibile, ma non è solo questo che mi lascia perplesso.
Il presupposto che basti uccidere “Paolo Cirri” perché cessi di esistere nel futuro il “Gruppo Armato Della Superiorità di Genere” mi pare molto debole. Ancora più debole se il registratore era idealmente destinato alla gente del passato per non ripetere gli errori futuri: dal loro punto di vista sarebbe stato preso per il gesto di una mitomane, tanto più in assenza della protagonista (sparita perché mai concepita?). Da un punto di vista “materiale” se sparisce lei, con i vestiti e tutto, perché non spariscono anche la pistola e il registratore? Sono sempre “materia” che ha fatto con lei il viaggio nel tempo, no?
Quindi trovo che il tuo racconto sia un’interessante spunto del tema fantascientifico: “Torno indietro nel tempo e uccido Hitler [sostituiscilo pure con Stalin, Pol Pot, Mussolini o Paolo Cirri…] e…” ma con uno sviluppo insufficiente, soprattutto sul finale.
Da un punto di vista di mia preoccupazione sulla degradazione della donna nel mondo fondamentalista, temo che non le avrebbero torturate così apertamente, ma in modo molto più terribile e sottile, costringendole in casa a figliare, senza diritti, stuprate e picchiate da mariti e altri uomini, ma non incarcerate e torturate tutte in quanto donne… in qualche modo i torturatori dovevano salvare l’apparenza di decenza e sentirsi “i buoni”, almeno ai propri occhi. Parere personale. Però. E forse il Vaticano avrebbe collaborato e non sarebbe stato distrutto? Chissà…
Ocio a qualche errorino di battitura: “quel l’oscurità” per “quell’oscurità”; “perché sei li” per “lì”, “Foreign Figheter” per “Fighter”.
Allo prossima, e complimenti per lo stile e le scene visive!
Ombre, di Carolina Pelosi
Ciao Carolina, ben approdata a Minuti Contati!
Come dico sempre, è importante scrivere di quello che si conosce. Nel tuo caso la malattia mentale. La conosci direttamente, hai visto persone che hanno fatto cose gravi come quelle compiute da Julian? Conosci le fasi della loro pazzia e sofferenza o ti sei ispirata ad altri racconti, ad altri film? Perché il realismo del delirio è importantissimo.
5.115 giorni sono 14 anni. Mi sembra troppo per lo stadio in cui è Julian. Chi lo avrebbe mai incoraggiato a tenere il conto? Riuscire a tenere il conto, preciso, in questo modo, implica una certa lucidità e razionalizzazione degli eventi. Invece mi pare che tu descriva Julian in uno stato di shock post-traumatico, diciamo, entro qualche mese dall’evento, non nello spazio di 14 anni.
Le motivazioni per il suo atto. Non ci sono. Scrivi soltanto:“Non mi ha permesso di essere quello che volevo, mi ha sempre ostacolato”.
È troppo poco. Troppo poco specifico. Già è difficile entrare nella mente di una persona folle, se non ci dai qualche appiglio sulla nostra psiche, tutto resta lontano, poco credibile, e senza possibilità di empatia nei confronti del tuo protagonista. Prendi Hannibal the Cannibal: quello che è inquietante di quel personaggio è che ci si immedesima in lui… si finisce per pensare come lui, anche per ammirarlo… ci fa vedere la follia e il cannibale in noi, per come viene descritto dall’autore.
Altro punto importante, collegato a questo: non bisognerebbe mai, mai e poi mai prendere come protagonista un pazzo. È un espediente. Ti permette di fare cose “sorprendenti” senza giustificarle appieno. La giustificazione è sempre la stessa: “era pazzo”. È come quelle storie che finiscono ed era tutto un sogno… Hai preso la via più facile, ma non necessariamente quella migliore, per la tua narrazione.
Per il resto hai un buon ritmo e ottime potenzialità. Ciao, alla prossima!
Aida, di Nicolas Lozito
Ciao Nicolas, ben arrivato a Minuti Contati!
Il tuo pezzo è interessante ma ha un grave difetto. Scegli una situazione estrema, come la storia di “Anna dei miracoli” e ti esponi al rischio di essere accusato di aver puntato tutto sul patetico: la povera ragazza sordo-cieca, tanto brava, che per di più è stata violentata dal suo assistente, e che per il colmo ha addirittura perso il bambino nato morto… Troppo.
Se vuoi raccontare questa storia, devi essere davvero molto convincente, quello che narri deve suonare in qualche modo necessario, inevitabile. L’inaspettato puro non funziona se non è preparato, e tu non ci prepari minimamente alla violenza di Michele: perché l’ha fatto? Bada, nella realtà una situazione del genere può benissimo capitare, ma in un racconto no, perché il racconto, appunto, è rielaborazione e non cronaca.
Distrazione: “da quando ha iniziato imparato a parlare.”
Costruzione non del tutto corretta: “Si chiama Michele, a cui piace la musica” avresti dovuto scrivere: “Si chiama Michele, gli piace la musica”, la subordinata relativa sembra dare un altro significato alla frase: un particolare Michele, quello a cui piace la musica, in contrapposizione ad altri Michele. Invece sarebbe stato corretto: “un assistente a cui piace la musica”. Questo perché Michele è determinato, “un assistente”, come dice l’articolo, è indeterminato.
Refuso: “ogni nota e parole” ci vuole “parola”, singolare.
Alla prossima!Ciao Erika, ben ritrovata.
Accidenti! Odio le bambole! Proprio perché penso che facciamo una paura fottuta (almeno, la fanno a me), forse perché sono un feticcio perfetto, il misto di tutto l’horror, sia umane sia artefatte, sia golem/robot/terminator/cyborg sia lupo mannaro/strega/fantasma/mostro mistico.
A mio parere la tua storia vira sulla follia della protagonista e non sul fantastico, perché per un racconto di genere horror o thriller le bambole avrebbero dovuto insidiare anche la protagonista, questo invece non accade. Quindi sarebbe un horror “manchevole”.
Come racconto psicologico, è interessante e ben scritto, ma da me non particolarmente apprezzato, perché penso che sarebbe stato più bello come horror.
Alla prossima!Ciao Sharon, benvenuta a Minuti Contati!
Anch’io, come altri, ho dovuto lasciar “decantare la tua storia” come un buon vino per riuscire a (o tentare di) capirla.
L’ho letta per prima e l’ho lasciata da parte. Ora che la rileggo mi rimangono ancora degli interrogativi.
C’è della bellezza in quello che scrivi, ma non vedo il filo del racconto. Ho provato a chiedermi perché.
Forse la risposta è una delle più ovvie: una voce narrante “annebbiata” dall’alcool, produce una visione sulla storia egualmente annebbiata.
È bella l’ironia del vecchio (Barbone? Capitano? Generale? Alcolista? Bugiardo? Sincero?), carini i ribaltamenti di situazioni topiche, ma nel complesso rimangono un po’ fini a sé stessi, perché non vedo il filo del racconto.
E non capisco il titolo.
O meglio, lo interpreto come: un uomo allo sbando nel cui cranio passano di continuo interferenze e suoni sconnessi come una radio a cui si cambi continuamente la stazione, è “l’uomo-radio” non sintonizzato. È così?
In tal caso l’idea è buona, ma devi metterla nella trama, non nella voce narrante, pena perdere per strada il lettore, che spegne la radio, o la sintonizza altrove.
Alla prossima! 😉-
Questa risposta è stata modificata 10 anni, 1 mese fa da
The Beps.
Ciao Francesco, benvenuto a Minuti Contati.
Mi lascia un po’ perplesso l’anticlimax della tua storia:Una iena resta sempre una iena.
Per il resto, tu hai scelto una storia di avventura e una scena di lotta. La “battaglia finale” dell’eroe è una vera e propria battaglia e il genere del racconto è il pulp. Non è un noir, solo per l’ambientazione avventurosa, per il resto la “voce” del tuo personaggio è come quella di Humphrey Bogart ne Il Falcone Maltese.
Non mi convince molto. Soprattutto per le esagerazioni come:mi staccò la mano dal polso
Che cosa ci volevi comunicare veramente? Che un eroe è un eroe solo per fama e un mostro è un mostro solo per spaventata credenza e non nella realtà.
Forse dovevi scegliere un’altra “voce”, un altro “punto di vista” per farlo (e magari anche un altro genere).
Alla prossima!
Virgola mancante: “perché dalle testimonianze, somigliava” dopo “perché”.
Virgola fra soggetto e verbo: “Mio fratello Dario e la sua quasi moglie Elena, erano spaventati”, probabilmente causata dalla caduta di un’altra virgola prima di “Elena”.
Altra virgola fra soggetto e verbo per virgola mancante: “Quell’essere che ho visto io invece, non era affatto una iena,” mettere virgola prima di “invece”.
Manca accento su “sé”: “Giravano storie su quegli studenti pieni di se”.
Manca la maiuscola: “quanto pensi di durare se continui così?”
“cane ammaestrato” mi suona male, idiomatico sarebbe “cane al guinzaglio” o “scimmia ammaestrata”.
Consecutio temporum: “Tornai a casa, presi il coltello che il mio migliore amico mi regalò” ci vorrebbe “che il mio migliore amico mi aveva regalato”.
Qui non ci vuole né il congiuntivo né il tempo imperfetto: “non mi lascerà andare, ha subito capito quali fossero le mie intenzioni.” Bensì, visto che non c’è incertezza: “ha subito capito quali sono le mie intenzioni”.-
Questa risposta è stata modificata 10 anni, 1 mese fa da
The Beps.
Ciao Giulio, benvenuto a Minuti Contati.
Nel tuo racconto lo stile è OK ma la trama e i passaggi logici lasciano molto a desiderare.
Appellarsi alla realtà esterna (magari nella vita reale una cosa del genere succede davvero…), dicendo:Che cosa pensa la madre? Boh, chi lo sa. L’interpretazione è libera
è una scusa che il tuo lettore non ti farà mai passare per buona.
Sta a te, non al lettore, “l’onere della prova”. Il lettore non cerca di convincerti di qualcosa, sei tu, il narratore, che cerchi di trasmettergli le tue visioni. Se il lettore ti obietta che l’idea non è passata, non c’è appello.
Ed è un peccato, perché a parte qualche svista epocale come la frase troppo esplicita:«Babbo, ma perché tu e la mamma avete gli occhi marroni e io ce li ho azzurri?»
la storia scorre bene e promette bene.
Attento anche agli spazi e alla punteggiatura, te ne sei lasciati dietro parecchi, probabilmente per la fretta. Ti è scappato anche un “ed poteva chiederlo a sua madre” che probabilmente sta per “e non poteva chiederlo a sua madre”.
Alla prossima!-
Questa risposta è stata modificata 10 anni, 1 mese fa da
The Beps.
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Questa risposta è stata modificata 10 anni, 1 mese fa da
The Beps.
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Questa risposta è stata modificata 10 anni, 1 mese fa da
The Beps.
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Questa risposta è stata modificata 10 anni, 1 mese fa da
The Beps.
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Questa risposta è stata modificata 10 anni, 1 mese fa da
The Beps.
Ciao Viviana, ben ritrovata.
Nel tuo racconto vedo un problema: l’espediente, la machina, è troppo esplicito. Un piccolo congegno elettronico che fa rivivere gli orrori dell’olocausto.
Un’arma del genere è come l’Anello di Sauron del Signore degli Anelli e non può essere trattato con tanta leggerezza.
Né si capisce bene perché Mattia se la prenda con Dario. Se è una vittima casuale, non ha molto senso. Se è una vittima perché non ha aiutato l’altra vittima precedente del primo quadro… ma come poteva farlo? Lo hanno portato via subito gli altri due…
Insomma, lo dici tu stessa nell’epilogo:Non gli è chiaro perché quel pazzo gli abbia voluto fare una cosa del genere,
Né a lui né al lettore.
Alla prossima!Caro Diego, ben ritrovato.
Troppi quadri confusi nel tuo racconto. Un uomo ha avuto un incidente d’auto e letteralmente “si vede passare tutta la vita davanti”, o meglio, solo i momenti brutti, senza un filo di speranza.
Forse eccessiva anche la caratterizzazione “dantesca” delle bestie metaforiche che gli danno la caccia.
Attenzione però. I singoli pezzi del patchwork, presi singolarmente, non sono così male… Hai un certo gusto visivo nelle tue rappresentazioni (show, don’t tell). È solo che non stanno bene assieme, non formano un tutto solido e una trama coesa.
È un peccato che tu abbia strappato le tele di tanti piccoli quadretti carini per farne un collage impreciso.
Attento anche alla punteggiatura.
Alla prossima!Ciao Eleonora, ben ritrovata.
Sarò breve. Bel racconto, scritto bene, mi è piaciuto. Brava.
Avrei solo preferito un’ambientazione italiana (una neonata Olivetti nel Canavese?) ma questo perché credo che dare nomi inglesi ai personaggi e una vaga collocazione geografica americana agli eventi non sia necessario.
Trovare un punto debole si può: perché il raptus omicida? Perché limitare tutto alla compagnia? Non sarebbe stato meglio ambientare questo racconto “all’esterno”? Potrei dirti che “E’” accentata maiuscola si scrive “È” (ALT + 0200)… Potrei certo, ma…
Ma perché dovrei farlo? Il tuo lavoro mi lascia soddisfatto. Complimenti. Non proprio Perfection ma quasi! ^___^È un piacere.
Ciao Viviana, benvenuta a Minuti Contati!
Non starò a ripeterti quello che ti hanno già detto e consigliato gli altri: voce accattivante, bel ritmo, manca un minimo di trama etc. Cerco di farti notare altre cose che possano esserti utili.
Questa frase uccide il racconto – il lettore ti ha seguito, ha avuto pazienza già fino a metà racconto, e tu gli dici:Forse l’unica cosa importante è che io non ho fatto niente di importante. Niente di diverso dal resto del mondo, dico.
Se questo tizio non ha fatto niente di eccezionale, perché me ne parli?
L’importanza della situazione va settata nel primo periodo, nell’incipit (del tuo lungo incipit). Come nel mio amato e sempre citato Anna Karenina di Tolstoj: “Tutte le famiglie felici si assomigliano, mentre tutte le famiglie disgraziate sono infelici a modo loro.”
La tua frase incipit è messa alla fine:te lo assicuro, l’uomo rispetta solo le storie di cui è il personaggio principale
È sepolta (Buried) troppo lontano dal tuo mondo (Town) del racconto, che solo ci fai intravedere. Anche se tieni questo racconto di Minuti Contati come l’incipit di una storia più lunga, tieni conto di questi consigli: come in un frattale, il tutto sta anche nel dettaglio. Anche nell’incipit, in nuce, nel suo DNA, devi dare al lettore TUTTO il tema della tua storia… E poi lo devi sviluppare. A rilleggerci! 😉
PS
Alcuni perché sbagliati: “perchè, ora come ora”; “Perciò perchè dovrei sentirmi in colpa”; “perchè no, divinità.”; “Perchè dovrei provare rimorso”; “Perchè, te lo assicuro,” – perché vuole sempre l’accento acuto: “perché”. In altri casi lo scrivi giusto.Ciao Filippo, ben ritrovato sul nuovo forum.
Ho apprezzato molto il tuo racconto, è delicato, circolare, ben scritto.
La scena della morte del padre va abbastanza bene anche così, forse potevi rafforzarla con un dettaglio tattile, visivo o uditivo che si riproponesse identico nel passato e nel presente. Mi spiego. Tu richiami le unghie della madre nella spalla di Luca, ma questo non succede, è solo ricordato. Se ci fosse un dettaglio come un suono di una sirena, realmente identico nei due quadri, l’accostamento sarebbe molto più forte. Basterebbe riportare due volte identico l’inciso, tipo: “Uno squillo di sirena.”
Tu invece metti un finto ricordo nel quadro presente:Quando emergo, il motoscafo mi assorda. E lo rivedo. La prua appuntita, la fiancata bianca e le eliche che lasciano una scia rossa come la boa mentre mia madre mi ferisce con le unghie e urla a mio padre di spostarsi.
La parte di “il motoscafo mi assorda” l’ha vissuta il padre, non Luca. È vista “ad altezza acqua”.
Io ti proporrei una struttura alternativa di questo tipo (mie le parti in corsivo):Poi mia madre mi affondò le unghie nella carne della spalla e urlò a mio padre di spostarsi. Uno squillo di sirena.
[…]
Emergo. Uno squillo di sirena. E lo rivedo. La prua appuntita, la fiancata bianca […]
In ogni caso buona prova! Bravo!
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Questa risposta è stata modificata 10 anni, 1 mese fa da
Beppe Roncari.
Ciao Nicolas, ben arrivato a Minuti Contati!
Il tuo pezzo è interessante ma ha un grave difetto. Scegli una situazione estrema, come la storia di “Anna dei miracoli” e ti esponi al rischio di essere accusato di aver puntato tutto sul patetico: la povera ragazza sordo-cieca, tanto brava, che per di più è stata violentata dal suo assistente, e che per il colmo ha addirittura perso il bambino nato morto… Troppo.
Se vuoi raccontare questa storia, devi essere davvero molto convincente, quello che narri deve suonare in qualche modo necessario, inevitabile. L’inaspettato puro non funziona se non è preparato, e tu non ci prepari minimamente alla violenza di Michele: perché l’ha fatto? Bada, nella realtà una situazione del genere può benissimo capitare, ma in un racconto no, perché il racconto, appunto, è rielaborazione e non cronaca.
Distrazione: “da quando ha iniziato imparato a parlare.”
Costruzione non del tutto corretta: “Si chiama Michele, a cui piace la musica” avresti dovuto scrivere: “Si chiama Michele, gli piace la musica”, la subordinata relativa sembra dare un altro significato alla frase: un particolare Michele, quello a cui piace la musica, in contrapposizione ad altri Michele. Invece sarebbe stato corretto: “un assistente a cui piace la musica”. Questo perché Michele è determinato, “un assistente”, come dice l’articolo, è indeterminato.
Refuso: “ogni nota e parole” ci vuole “parola”, singolare.
Alla prossima!Ciao Marco, ben approdato al nuovo forum!
È stato un piacere leggere il tuo racconto e non voglio trovare il pelo nell’uovo. Il ribaltamento su chi sia il mostro fra lo zombie e il neo-nazi è un tocco davvero di classe, degno della migliore letteratura non-morta.
Il tema della tua storia si evince dalla battuta razzista che metti in bocca al tizio con la svastica quasi perfettamente a metà della storia:«A te stanno sul cazzo più gli zombie o i negri?»
La tua risposta – con efficace schioppetta finale – è già nel titolo e nell’anafora che accompagna in tre battute il dipanarsi del testo:
«Non cambia mai un cazzo!»
La tesi pessimistica ci sta. La vendetta e rivendicazione, a suo modo ugualmente “razzista”, del protagonista, pure. Come se dicesse: a me non stanno sul cazzo né gli zombie né i negri, a me stanno sul cazzo i fottuti nazisti razzisti del cazzo.
Ecco, forse solo questa morale abbastanza terra-terra, da occhio per occhio e dente per dente, è l’unico punto un po’ debole della trama.
Per il resto storia molto bella e magistralmente narrata. Avrei tagliato l’ultima frase. Il vero explicit del racconto è il tuo:«Abbastanza.»
Che contiene la parola “BASTA!” – che io interpreto essere l’urlo mentale del protagonista davanti a cotanta malsana sopravvivenza di un razzismo che nemmeno la “fine del mondo” è riuscita a sradicare.
Complimenti.-
Questa risposta è stata modificata 10 anni, 1 mese fa da
The Beps.
Grazie Sharon. Mi piace vincere facile: sono il campione dei “fuori gara”.
Ciao Carolina, ben approdata a Minuti Contati!
Come dico sempre, è importante scrivere di quello che si conosce. Nel tuo caso la malattia mentale. La conosci direttamente, hai visto persone che hanno fatto cose gravi come quelle compiute da Julian? Conosci le fasi della loro pazzia e sofferenza o ti sei ispirata ad altri racconti, ad altri film? Perché il realismo del delirio è importantissimo.
5.115 giorni sono 14 anni. Mi sembra troppo per lo stadio in cui è Julian. Chi lo avrebbe mai incoraggiato a tenere il conto? Riuscire a tenere il conto, preciso, in questo modo, implica una certa lucidità e razionalizzazione degli eventi. Invece mi pare che tu descriva Julian in uno stato di shock post-traumatico, diciamo, entro qualche mese dall’evento, non nello spazio di 14 anni.
Le motivazioni per il suo atto. Non ci sono. Scrivi soltanto:“Non mi ha permesso di essere quello che volevo, mi ha sempre ostacolato”.
È troppo poco. Troppo poco specifico. Già è difficile entrare nella mente di una persona folle, se non ci dai qualche appiglio sulla nostra psiche, tutto resta lontano, poco credibile, e senza possibilità di empatia nei confronti del tuo protagonista. Prendi Hannibal the Cannibal: quello che è inquietante di quel personaggio è che ci si immedesima in lui… si finisce per pensare come lui, anche per ammirarlo… ci fa vedere la follia e il cannibale in noi, per come viene descritto dall’autore.
Altro punto importante, collegato a questo: non bisognerebbe mai, mai e poi mai prendere come protagonista un pazzo. È un espediente. Ti permette di fare cose “sorprendenti” senza giustificarle appieno. La giustificazione è sempre la stessa: “era pazzo”. È come quelle storie che finiscono ed era tutto un sogno… Hai preso la via più facile, ma non necessariamente quella migliore, per la tua narrazione.
Per il resto hai un buon ritmo e ottime potenzialità. Ciao, alla prossima!5 marzo 2015 alle 17:15 in risposta a: Privato: L’assurda colpa di esistere – Jacqueline Nieder #3908Ciao Jacqueline e benvenuta a Minuti Contati!
Ti dico subito che “scrivere quel che si conosce” non è solo un consiglio. È quasi una necessità. Tu scegli un punto di vista molto difficile, perché descrivi un periodo storico che per ragioni cronologiche non puoi aver vissuto se non per racconto indiretto, la guerra in Croazia nei primi anni Novanta.
Per esempio:hai delle lenzuola addosso, lenzuola che sono pulite, siamo in Italia, qui si sopravvie meglio, qui non senti scoppiare il colpo di un carrarmato alle undici di mattina, qui non fanno irruzione negli ospedali e uccidono gli uccisi, sei al sicuro
C’è qualcosa di esterno in queste considerazioni. Dovuto forse alla troppa precisione, come la notazione “il colpo di un carrarmato alle undici di mattina” mi suono strano. E non fa parte di quello che la madre, presto nonna, narra successivamente. Lei non è mai stata in un ospedale in cui hanno fatto irruzione uccidendo gli uccisi. Questo lo abbiamo visto noi, dall’Italia, nei reportage, dall’esterno. Lei che era all’interno della situazione può aver visto solo la sua “fetta” di mondo (come quando descrivi la cantina con la caldaia).
Anche le considerazione sul dare la vita che riecheggiano la creazione divina mi suonano troppo auliche, ma forse è una mia impressione.
È bello quello che descrivi, probabilmente centra bene il sentimento di questa donna che vede la figlia partorire in circostanze del tutto diverse dalle proprie e torna con la mente nel suo passato. Ma, mi pare, che tu ce la presenti troppo filtrata da una sensibilità da narratore esterno.
Per il resto un bel pezzo, molto caldo, struggente.
Attenta qui: distrazione: “per la settimana volta”, invece di “settima” volta. Refuso: “sopravvie” per “sopravvive”.Ben ritrovata a Minuti Contati.
Il racconto è ben scritto e l’ambientazione interessante, purtroppo rilevo varie debolezze nei fili della trama. È sempre difficile scrivere un racconto in cui il viaggio nel tempo sia credibile, ma non è solo questo che mi lascia perplesso.
Il presupposto che basti uccidere “Paolo Cirri” perché cessi di esistere nel futuro il “Gruppo Armato Della Superiorità di Genere” mi pare molto debole. Ancora più debole se il registratore era idealmente destinato alla gente del passato per non ripetere gli errori futuri: dal loro punto di vista sarebbe stato preso per il gesto di una mitomane, tanto più in assenza della protagonista (sparita perché mai concepita?). Da un punto di vista “materiale” se sparisce lei, con i vestiti e tutto, perché non spariscono anche la pistola e il registratore? Sono sempre “materia” che ha fatto con lei il viaggio nel tempo, no?
Quindi trovo che il tuo racconto sia un’interessante spunto del tema fantascientifico: “Torno indietro nel tempo e uccido Hitler [sostituiscilo pure con Stalin, Pol Pot, Mussolini o Paolo Cirri…] e…” ma con uno sviluppo insufficiente, soprattutto sul finale.
Da un punto di vista di mia preoccupazione sulla degradazione della donna nel mondo fondamentalista, temo che non le avrebbero torturate così apertamente, ma in modo molto più terribile e sottile, costringendole in casa a figliare, senza diritti, stuprate e picchiate da mariti e altri uomini, ma non incarcerate e torturate tutte in quanto donne… in qualche modo i torturatori dovevano salvare l’apparenza di decenza e sentirsi “i buoni”, almeno ai propri occhi. Parere personale. Però. E forse il Vaticano avrebbe collaborato e non sarebbe stato distrutto? Chissà…
Ocio a qualche errorino di battitura: “quel l’oscurità” per “quell’oscurità”; “perché sei li” per “lì”, “Foreign Figheter” per “Fighter”.
Alla prossima, e complimenti per lo stile e le scene visive!-
Questa risposta è stata modificata 10 anni, 1 mese fa da
The Beps.
Nonna Clementina Rules! 😉
Figurati, Cristina, è un piacere. Grazie a te che prendi i commenti con lo spirito giusto. Siamo tutti qui per imparare.
Ciao Enrico, infatti, prendi sempre i commenti, non solo i miei cum grano salis. Tolkien, per esempio, faceva leggere i capitoli de Il Signore degli Anelli ai suoi amici Inklings (C.S. Lewis & Company) nel pub, ascoltava i loro consigli con attenzione… gli chiedevano magari solo di cambiare una frase o fare uno o due aggiustamenti. Ronald (questo il suo nome per gli amici) ascoltava tutto, annuiva e poi… o ignorava del tutto i commenti o buttava via l’intero capitolo e lo riscriveva da capo!
Ora, ognuno ha il suo stile, e ognuno ha i suoi gusti. L’unica tua guida può essere il tuo “lettore interiore”. Estrapolati e leggiti, come se fossi tu il tuo destinatario.
Ciao!La bestia dentro…
Incenso, di Cristina Danini
Ciao Cristina, benvenuta a Minuti Contati.
Racconti il paesaggio interiore della tua protagonista e per farlo hai scelto un setting a te noto: Torino, una donna, il suo appartamento, le sue notti, il suo amore, la sua amica. Giusto, è sempre buona regola raccontare ciò che si conosce, arricchendolo di dettagli personali, che rendono la storia più viva. Frasi come:l’illuminazione rende il cielo arancione
e
i raggi verdi dell’alba
permettono al lettore di “vedere” con gli occhi del narratore – e nel tuo caso anche della protagonista, perché sebbene tu scelga la narrazione in terza persona capiamo chiaramente che si tratta del suo punto di vista. A tal proposito: hai scelto intenzionalmente o inconsapevolmente la terza persona? Io ci vedo una scelta felice, perché questa è una “prima persona estraniata”, come quando si parla di sé come di una persona assente. La protagonista si osserva da fuori perché un trauma – la fine di un amore – l’ha allontanata da sé. Ci ho visto giusto?
Per il resto, ti direi di stare attenta alle ripetizioni delle “frasi chiave” del racconto. Farle tornare più volte, molto simili, non le rafforza, ma le indebolisce. Mi riferisco ai richiami tematici espliciti, in particolare:da farfalla era tornato larva […] La farfalla si era trasformata in una larva carnivora
e
Non sapeva di che natura fosse la bestia feroce […] Dal passato, come una bestia feroce.
Come ho già scritto a un tuo collega, e come ti sentirai certo ripetere mille volte da coloro che danno consigli sulla scrittura: Less is more. E aggiungo: Implicit is the true explicit.
Ti muovi bene quando tracci linee delicate come ali di farfalla e lasci riecheggiare nella mente del lettore, quasi inconsapevolmente la parola “sinistra”, il lato sinistro del letto, il lato sinistro del divano… (Non l’emisfero sinistro del cervello, però, perché quello sarebbe la parte razionale e non la parte emotiva… o forse no? Forse volevi dire che la tua protagonista è tutta persa nell’emisfero destro e non riesce a razionalizzare la perdita? Se sono solo mie elucubrazioni, dimmelo pure, non mi offendo – fanno parte del diritto inalienabile dei lettori di vedere molto di più di quello che hai scritto, in quello che hai scritto :)).
Un’unica amarezza, per me, è che succede poco nel racconto, che la protagonista è bloccata, la larva rimane larva. Non individui una via d’uscita per la tua protagonista. Va bene anche così, ci sono due tipi di “fiaba”, quella che racconta un trauma superato e quello che racconta le conseguenze di un trauma distruttivo, da cui non si rinasce (il vero finale di Cappuccetto Rosso, senza il Cacciatore che arriva a salvare la Nonna e la ragazzina sventrando il Lupo).
Allora forse devi arrivare ancora più a fondo. Cacciare giù il coltello fino alla giunzione fra il corpo e l’anima. In Scarpette Rosse, per esempio, sempre per citare una fiaba, la bambina che non riesce a smettere di danzare quando indossa le scarpette maledette (probabile simbolo di una dipendenza), deve farsi tranciare i piedi dal boia e rimane una storpia per sempre.
Ecco, osa di più. Un pezzo dell’epilogo (punto importantissimo) sembra da superamento del trauma:L’aria nella stanza era limpida.
Mentre quello che tu comunichi è l’esatto contrario. Meglio rimaneggiare la frase o, meglio ancora, toglierla del tutto (less is more):
Non c’era più fumo di sigaretta da tempo. L’incenso non sarebbe più bruciato se non si fosse potuto mischiare a lui..
Dice già tutto ed è più forte senza la prima parte.
Attenta a un “felice refuso” di meravigliosa ambiguità:Avrebbe doluto buttarlo fuori da sé
Voluto o dovuto?
É il passato.
Attenta, “È” vuole l’accento grave, non acuto (su pc si fa con il codice ALT + 0200).
Per il resto brava, una buona prova.Grazie @Carolina! ^___^
Ciao Enrico, benvenuto a Minuti Contati.
Il tuo è un racconto ricco di particolari, una buona pratica che serve a evitare le frasi fatte e le espressioni trite e scontate, già sentite o lette mille volte. Per esempio ho apprezzato questa semplice descrizione di vita quotidiana:
Il caffè venne fuori, lo tirai via dal fuoco non appena vidi schizzarne una parte sul piano cottura.
Il dettaglio del caffè schizzato sul piano cottura – e a chi non è mai capitato? – ci mette a nostro agio nel mondo del protagonista: è uno di noi, ha i nostri stessi problemi, le nostre stesse speranze.
Come in tutte le cose, però, ci vuole misura. Alcuni dettagli possono essere eccessivi e del tutto irrealistici, anche se precisi ed esatti. La frase che balza all’occhio in tal senso è questa:
lo centrai in pieno sulla coscia posteriore destra.
Troppe informazioni, e fuori dal punto di vista dell’io narrante. Per il protagonista non è importante il dettaglio della “coscia posteriore destra”. Probabilmente, nel mood del momento, avrebbe potuto pensare piuttosto qualcosa del tipo “lo centrai in pieno sul culo.” Molto meno preciso, ma più reale di una precisa descrizione anatomica, dato il contesto. O addirittura soltanto “lo centrai in pieno.” E basta. Less is more. (E ricorda anche che difficilmente il protagonista avrebbe potuto registrare il punto preciso dell’impatto fra la sua auto e il cinghiale: da dietro il volante, non poteva affatto assistere all’impatto.)
Ti dico questo perché il diavolo, come si dice, è nei dettagli. Se vuoi essere dettagliato, devi essere davvero preciso, altrimenti il lettore, anche se non saprà verbalizzare le sue sensazioni, avvertirà qualcosa che stride, qualcosa di troppo o di sopra le righe nella tua storia.
Altro piccolo dettaglio, a una prima lettura la frase: “Ora parlava però.” mi è suonata strana perché fin dalla sua prima apparizione il personaggio di Sebastiano è presentato come “parlante”, a modo suo:
Urlò. […] Grugniva, di un grugnito disperato che pareva gridarmi:
“Ehi, brutta merda! Mi hai preso! Non sai chi sono io! Io ti pelo, hai capito? Ti porto per avvocati e ti pelo! Chiama un’ambulanza, muoviti, Cristo!”
Personalmente sentirei il bisogno di un davvero. “Ora parlava davvero, però.”
Al contrario, bella scelta quella dell’ambiguo Grugnì. alla prima apparizione del coinquilino bestiale nel presente.
Per il resto, il racconto si legge con piacere, è aderente al tema, lascia il giusto amaro in bocca che promette nel titolo, “Rimpianto”. Ottima la scelta della forma dialogica per dare voce al dramma interiore che inchioda il protagonista al proprio passato, come la presenza di un coinquilino molesto che non può mandar via.
Una buona prova. Bravo. -
Questa risposta è stata modificata 10 anni, 1 mese fa da
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