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Fra me e la formattazione dal mio vecchio portatile c’è una guerra senza quartiere, in cui talvolta interviene gentilmente l’Antico a mettere ordine. Anche la mia classifica è venuta da mal di mare, ma credo che i concetti siano comunque chiari: i commenti sono (ri) leggibili anche sui thread personali. Non riesco immediatamente a porre rimedio, se posso ci metto una pezza in serata da un pc meno steampunk.
Ecco la mia classifica
1) “L’apprendista” – Alberto Della Rossa
Un racconto dalle ottime descrizioni, molto caratterizzanti. Non sono una patita del fantasy, anzi spesso mi trovo a sbadigliare sui suoi cliché ma, in questo caso, non ho potuto che apprezzare l’immediatezza con cui dipingi dell’ambientazione. Il particolare del “bordello delle fate” mi ha fatto sorridere. Ho impiegato un po’ ( due letture) a capire che Ulisse ha il “guasto” di non avere coraggio, ma temo sia a causa della mia insipienza nel genere: gli gnomi sono tipicamente coraggiosi, è una loro caratteristica saliente? L’immagine del cuore metallico è davvero forte e mi ha ricordato qualcosa del “Mago di Oz”. Il finale e il suo metasignificato mi sono piaciuti molto.
2) “L’amore al tempo del 6G” – Francesco Nucera
Il racconto è interessante e lo scenario descritto tutt’altro che improbabile. Mi è piaciuto tanto da desiderare particolari in più della società descritta ( la caratterizzazione è quello che preferisco nelle distopie), ma so che avevi le mani legate dal limite di battute. Ho apprezzato anche la scelta di far cascare le certezze del protagonista a fronte di una sensazione carnale e fugace. Avrei bisogno di qualche spiegazione ulteriore per quanto riguarda il muro. Ho capito che gli informatizati vanno in panico di fronte al guasto nel server e perdono tutti i riferimenti…. ma non riesco a cogliere la ragione per cui fissare una parete possa in qualche modo tranquillizzarli. Ho il sospetto che, con qualche battuta in più, ce lo avresti raccontato.
3) “Il caricabatteria”- Alex Montrasio
Il tuo racconto descrive una società assai interessante, il tono “freddo” è perfettamente funzionale all’apatia del protagonista e fa da perfetto pendant alle emozioni che deve suscitare nei sintoidi. Ho trovato poco chiara la parte centrale, in cui interagisce con i robot/servi; poi la tua spiegazione nelle risposte ha chiarito tutto, ma il racconto, avulso dal contest ne sarebbe stato privo, dunque mi avrebbe lasciato con qualche dubbio. La sensazione è che la tua narrazione faccia parte di un pregevole insieme più ampio, da cui hai estrapolato un brano, certo funzionale al tema. E, se così non fosse, sarebbe un peccato, perché il tema ha straordinarie potenzialità.
4) “Tra Montorsoli e Bivigliano”- Filippo Santaniello
Ciao Filippo, complimenti per lo stile del racconto, la voce del narratore è davvero ben gestita. Il filo di infodump ci sta con la “sboronità”del personaggio, fiero di sé e delle sue imprese, dunque non mi ha affatto infastidita. L’autopresentazione fa reality, dunque va bene a mio avviso ( e ho pure imparato qualcosa, pensavo che i runners fossero solo gli appassionati di corsa). Mi lascia perplessa solo il bifolco. Mi spiego: è sera, le case sono a una ventina di Km (così dice Sergio) e dal buio emerge questo questo contadino “american gothic” appiedato che scompare così come era apparso. Cosa ci faceva nel campo a quell’ora? Lontano da casa? A piedi? In un contesto tanto tristemente verosimile, è l’unico particolare che mi stona.)
5) “Gremlins”- Eleonora Rossetti
Il racconto mi è piaciuto, a mio parere la scrittura sincopata e ansiogena, in questo caso, ci sta. Devo ammettere però che l’ho gradito anche di più dopo aver letto la spiegazione: io avevo capito che l’invasione di esseri (Gremlins?) ci fosse realmente, che fossero parassiti delle macchine volanti ( deduzione tratta dal cenno ai baracchini della Seconda Guerra Mondiale) e che avessero in qualche modo tenuto sveglio il protagonista facendolo sbroccare. Invece l’intreccio è più fine di così, e si intuisce (o non lo si intuisce e si va in confusione, come ho fatto io) solo alla fine. In generale penso che un racconto non dovrebbe richiedere esplicazioni aggiuntive, ma in questo caso ho il dubbio di essere tonta io.
6) “Lo aggiusti, papà?”-Stefano Pastor
La prima parte di questo racconto mi è piaciuta moltissimo, la grazia della scrittura fa il paio con la tenerezza del quadretto descritto e la profondità dell’insegnamento che il padre vuole impartire al figlio. Mi aspettavo un colpo di scena, ma quello che ho trovato non mi ha convinta. Le premesse erano volutamente “neutre” in modo da poter rivelare alla fine qualunque nucleo famigliare (tranne forse le mucche, non così diffuse nella Palestina dell’epoca da poter essere il primo animale enumerato in un elenco di esempi generali), ma avrei preferito qualche indizio in più…così ho la sensazione che l’identità dei personaggi sia solo uno scherzetto al lettore, non un’esigenza della storia che sarebbe stata deliziosa anche senza il colpo di scena.
7) “La lavatrice” – Patty Barale
Una storia divertente e dolce/amara: la voce narrante è così ben gestita da farmi scivolare nel paleolitico della mia adolescenza e permettermi una rapida empatia con questa simpatica isterica pasticciona. Aderente al tema, originale e abbastanza realistico. Io non ho pensato che i vicini abbiano chiamato i carabinieri in quanto timorosi dell’ennesimo furto, ma perché convinti che si stesse consumando qualche atto violento. Ecco, magari si nota un po’ che hai sforbiciato in velocità la storia per tenerla nei parametri richiesti, lasciando alcuni particolari un po’ sospesi (tipo la posizione spazio-tempo della nonna…) ma che ti devo dire, proprio io che ho sforato e manco me ne sono accorta?
8) “Una sorpresa per te” – Claudia Beverasco
Il racconto ha dei tratti divertenti come le battute con la zeppola (forse un po’ troppe, vista la brevità del brano) e le elucubrazioni del tuo protagonista. Indiscutibilmente c’è un guasto (coltello rotto…) e un piano B (altro coltello in cucina). Però ci sono un paio di aspetti che non mi tornano: lui ha tenuto in serbo per tempo un nuovissimo coltello da sushi per ucciderla e quando si rompe, dopo un attimo di disperazione, si accorge che ne aveva uno uguale in cucina? Insomma, tutto il can can non è giustificato. Un dubbio sulla gestione della voce narrante: il finale è gestito tutto dalla donna, dopo che ci hai fatto vedere la storia dagli occhi dell’uomo: perdiamo completamente il punto di vista a cui ci eravamo abituati e la storia si risolve con un battuta secca. E’ una soluzione, secondo me, poco narrativa, che “lancia” un colpo di scena senza giustificarlo. Comunque mi hai strappato più di un sorriso!
9) “Il disastro” – Piero Chiappelloni
Nel racconto il guasto c’è, non ci sono dubbi. Manca la possibilità di immedesimarsi con la voce narrante. Per buona parte della storia non si riesce a capire di cosa si stia lamentando, fino quasi a perdere interesse. Poi c’è una situazione fantascientifica che potrebbe stuzzicare la curiosità, ma viene risolta in fretta e furia perché il protagonista si sta interessando al frigorifero. Capisco che volevi sottolineare la relatività delle ragioni di panico, ma se non favorisci un po’ di identificazione con un personaggio, alla fine il suo comportamento sembra solo bislacco.
Ciao Pietro, nel tuo racconto il guasto c’è, non ci sono dubbi. Manca la possibilità di immedesimarsi con la voce narrante. Per buona parte della storia non si riesce a capire di cosa si stia lamentando, fino quasi a perdere interesse. Poi c’è una situazione fantascientifica che potrebbe stuzzicare la curiosità, ma viene risolta in fretta e furia perché il protagonista si sta interessando al frigorifero. Capisco che volevi sottolineare la relatività delle ragioni di panico, ma se non favorisci un po’ di identificazione con un personaggio, alla fine il suo comportamento sembra solo bislacco.
La prima parte di questo racconto mi è piaciuta moltissimo, la grazia della scrittura fa il paio con la tenerezza del quadretto descritto e la profondità dell’insegnamento che il padre vuole impartire al figlio. Mi aspettavo un colpo di scena, ma quello che ho trovato non mi ha convinta. Le premesse erano volutamente “neutre” in modo da poter rivelare alla fine qualunque nucleo famigliare (tranne forse le mucche, non così diffuse nella Palestina dell’epoca da poter essere il primo animale enumerato in un elenco di esempi generali), ma avrei preferito qualche indizio in più…così ho la sensazione che l’identità dei personaggi sia solo uno scherzetto al lettore, non un’esigenza della storia che sarebbe stata deliziosa anche senza il colpo di scena.
22 aprile 2015 alle 12:07 in risposta a: [B] Tra Montorsoli e Bivigliano – Filippo Santaniello #5978Ciao Filippo, complimenti per lo stile del racconto, la voce del narratore è davvero ben gestita. Il filo di infodump ci sta con la “sboronità”del personaggio, fiero di sé e delle sue imprese, dunque non mi ha affatto infastidita. L’autopresentazione fa reality, dunque va bene a mio avviso ( e ho pure imparato qualcosa, pensavo che i runners fossero solo gli appassionati di corsa). Mi lascia perplessa solo il bifolco. Mi spiego: è sera, le case sono a una ventina di Km (così dice Sergio) e dal buio emerge questo questo contadino “american gothic” appiedato che scompare così come era apparso. Cosa ci faceva nel campo a quell’ora? Lontano da casa? A piedi? In un contesto tanto tristemente verosimile, è l’unico particolare che mi stona.
Ciao Claudia, piacere di conoscerti.
Il tuo racconto ha dei tratti divertenti come le battute con la zeppola (forse un po’ troppe, vista la brevità del brano) e le elucubrazioni del tuo protagonista. Indiscutibilmente c’è un guasto (coltello rotto…) e un piano B (altro coltello in cucina). Però ci sono un paio di aspetti che non mi tornano: lui ha tenuto in serbo per tempo un nuovissimo coltello da sushi per ucciderla e quando si rompe, dopo un attimo di disperazione, si accorge che ne aveva uno uguale in cucina? Insomma, tutto il can can non è giustificato. Un dubbio sulla gestione della voce narrante: il finale è gestito tutto dalla donna, dopo che ci hai fatto vedere la storia dagli occhi dell’uomo: perdiamo completamente il punto di vista a cui ci eravamo abituati e la storia si risolve con un battuta secca. E’ una soluzione, secondo me, poco narrativa, che “lancia” un colpo di scena che sembra giustificarlo. Comunque mi hai strappato più di un sorriso!
Ciao Alex, piacere di conoscerti. Il tuo racconto descrive una società assai interessante, il tono “freddo” è perfettamente funzionale all’apatia del protagonista e fa da perfetto pendant alle emozioni che deve suscitare nei sintoidi. Ho trovato poco chiara la parte centrale, in cui interagisce con i robot/servi; poi la tua spiegazione nelle risposte ha chiarito tutto, ma il racconto, avulso dal contest ne sarebbe stato privo, dunque mi avrebbe lasciato con qualche dubbio. La sensazione è che la tua narrazione faccia parte di un pregevole insieme più ampio, da cui hai estrapolato un brano, certo funzionale al tema. E, se così non fosse, sarebbe un peccato, perché il tema ha straordinarie potenzialità.
Un racconto dalle ottime descrizioni, molto caratterizzanti. Non sono una patita del fantasy, anzi spesso mi trovo a sbadigliare sui suoi cliché ma, in questo caso, non ho potuto che apprezzare l’immediatezza con cui dipingi dell’ambientazione. Il particolare del “bordello delle fate” mi ha fatto sorridere. Ho impiegato un po’ ( due letture) a capire che Ulisse ha il “guasto” di non avere coraggio, ma temo sia a causa della mia insipienza nel genere: gli gnomi sono tipicamente coraggiosi, è una loro caratteristica saliente? L’immagine del cuore metallico è davvero forte e mi ha ricordato qualcosa del “Mago di Oz”. Il finale e il suo metasignificato mi sono piaciuti molto.
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Questa risposta è stata modificata 10 anni fa da
LeggEri.
Ciao Francesco, il tuo racconto è interessante e lo scenario descritto tutt’altro che improbabile. Mi è piaciuto tanto da desiderare particolari in più della società descritta ( la caratterizzazione è quello che preferisco nelle distopie), ma so che avevi le mani legate dal limite di battute. Ho apprezzato anche la scelta di far cascare le certezze del protagonista a fronte di una sensazione carnale e fugace. Avrei bisogno di qualche spiegazione ulteriore invece per quanto riguarda il muro. Ho capito che gli informatizati vanno in panico di fronte al guasto nel server e perdono tutti i riferimenti…. ma non riesco a cogliere la ragione per cui fissare una parete possa in qualche modo tranquillizzarli. Ho il sospetto che, con qualche battuta in più, ce lo avresti raccontato.
Uh… Filippo, mi hai dimenticata!
Ciao Patty, una storia divertente e dolce/amara: la voce narrante è così ben gestita da farmi scivolare nel paleolitico della mia adolescenza e permettermi una rapida empatia con questa simpatica isterica pasticciona. Aderente al tema, originale e abbastanza realistico. Io non ho pensato che i vicini abbiano chiamato i carabinieri in quanto timorosi dell’ennesimo furto, ma perché convinti che si stesse consumando qualche atto violento. Ecco, magari si nota un po’ che hai sforbiciato in velocità la storia per tenerla nei parametri richiesti, lasciando alcuni particolari un po’ sospesi (tipo la posizione spazio-tempo della nonna…) ma che ti devo dire, proprio io che ho sforato e manco me ne sono accorta?
Ciao Eleonora,
il tuo racconto mi è piaciuto, a mio parere la scrittura sincopata e ansiogena, in questo caso, ci sta. Devo ammettere però che l’ho gradito anche di più dopo aver letto la spiegazione che hai dato a Filippo: io avevo capito che l’invasione di esseri (Gremlins?) ci fosse realmente, che fossero parassiti delle macchine volanti ( deduzione tratta dal cenno ai baracchini della Seconda Guerra Mondiale) e che avessero in qualche modo tenuto sveglio il protagonista facendolo sbroccare. Invece il tuo intreccio è più fine di così, e si intuisce (o non lo si intuisce e si va in confusione, come ho fatto io) solo alla fine. In generale penso che un racconto non dovrebbe richiedere esplicazioni aggiuntive, ma in questo caso ho il dubbio di essere tonta io…mi riservo di vedere cosa colgono gli altri commentatori.
Ciao Francesco, sono molto contenta che tu abbia gradito il racconto anche se, come ben osservi, non è proprio originalissimo. L’osservazione che fai sulla questione piastre è pertinente, mi sono permessa di sbirciare su FB che lavoro fai e ho capito perché sei arrivato così diretto sull’aspetto meno credibile. Cosa vuoi che ti dica…”licenza poetica”, o meglio, “licenza fantascientifica”. Però di cambiare il defi (una volta sola!) quando erano le placche a non funzionare mi è capitato davvero.
Bravi Luca e Marco, meritati primi posti : sono fiera di averli messi in testa alla mia classifica!
Ottima l’organizzazione, questa demo edition si potrebbe sottotitolare: “Avanti così!”
19 marzo 2015 alle 12:08 in risposta a: Classifiche giurati e Classifica Generale Parziale Aggiornata #4624CLASSIFICA
1- Solo tu puoi prenderlo di Filippo Santaniello2- Rimpianto di Enrico Nottoli
3- Non cambia mai di Marco Roncaccia
4- L’assurda colpa di esistere di Jacquelin Nidier
5- Ombre di Carolina Pelosi
6- Se solo sapessero di Viviana Tenga
7- Aida di Nicolas Lozito
Solo tu puoi prenderlo – Filippo SantanielloIl tema è affrontato da uno dei punti di vista forse più prevedibili (la ferita di un dramma durante l’infanzia) eppure reso con tali abilità e pacatezza narrativa da suscitare in me sincera emozione. Mi piace la costruzione circolare del racconto pur senza cadere in ripetizioni di maniera, ottime le descrizioni minime che rendono vivido lo scenario. L’immagine del giovane padre che emerge e butta indietro i capelli mi ha ricordato “La grande bellezza” e dunque, in qualche modo, mi aspettavo il motoscafo. Non intendo ci sia una scopiazzatura, solo un’atmosfera comune: infanzia (o gioventù) e mare estivo, un binomio che spesso, in letteratura e cinematografia, guida verso un clima mitico. Ho apprezzato anche il fatto che l’incidente del padre sia solo accennato, non spiegato nei minimi particolari: ne aumenta l’impatto emotivo, a mio giudizio. Un’ottima prova.
Rimpianto – Enrico NottoliUn bel racconto, dove il passato non è proprio feroce ma bestia sicuramente sì. Al di là della battuta, mi è piaciuto molto il delirio di quest’uomo che si trova a convivere con i propri sensi di colpa e con la propria voglia di vivere uscita dal corpo e materializzata in una specie di amico immaginario. Mi è venuto in mente l’armadillo di Zero Calcare (forse perché anche nel fumetto c’è un rozzo personaggio con le fattezze di un cinghiale). Il primo paragrafo (fino a “venga ricambiato”) non mi aveva convinto completamente, un po’ convoluto nel voler “raccontare” la disperazione del protagonista: un “cappello” superfluo, visto che poi viene mostrata al meglio con i fatti, in modo più coinvolgente e toccante. Un po’ di confusione con i nomi: a un certo punto la moglie chiama il protagonista “Sebastiano”, lui la chiama “Veronica” invece che Valeria. Aggiustabile dopo una buona rilettura.
Non cambia mai – Marco RoncacciaLe d eufoniche sarebbero da evitare: un punto in meno. Parli di zombie: un punto in più. Sei tornato in pari.
A parte gli scherzi, questo racconto mi è piaciuto molto. Gli zombie cinematografici sono nati come metafora sociale e mi piace quando tornano a esserlo, fuoriuscendo dai soliti triti meccanismi scappa-spara-mangia e permettendo ancora di raccontare delle buone storie come questa. Mi piace anche la scelta di frasi brevi, asciutte, che regalano descrizioni accurate e mai noiose degli eventi. Lo zombie di colore, che cerca invano di arrampicarsi sulla bicicletta, reiterando un atto della propria vita precedente è un’immagine forte, che genera sincera pietà nel lettore… per altro solo minimamente condivisa dal protagonista.Mi resta il dubbio che la congruità al tema proposto non sia piena, qui il passato, per il protagonista, non mi sembra rappresentare una bestia feroce quanto un noioso loop. Ma il tema, per me, è solo un pretesto.
L’assurda colpa di esistere – Jacqueline NiederUn bel racconto, congruo al tema proposto, che affronta argomenti importanti: maternità, violenza, guerra, perdono. Il rischi sono due: scivolare nel melodrammatico e mettere troppa carne al fuoco vista la brevità, imposta, del racconto. Il primo è evitato da un tono che non scivola mai nel patetico, pur nella scelta pericolosa di raccontare molto e mostrare poco. Il secondo è sfiorato: forse ci sono aspetti che meriterebbero più approfondimento, uno per tutti il rapporto con la figlia che al di là dei momenti estremi ( nascita e parto), riassunto nel crudele gioco con le formiche, ma insufficiente per capire il rapporto fra le due donne oltre la carnalità del legame di sangue.
Al di là di questo mi è piaciuto e ho trovato il tono sempre congruo. Solo alcune frasi mi sono sembrate un po’ “sospese” e non posso dire di averle comprese completamente.
“sì credo che tu le piaccia in un altro modo” in che senso?
“scotti come quando il gelo è troppo freddo” il gelo oltre un certo limite diventa caldo?
“Se fosse stato così, ne sarebbe bastata una manciata di macchine della morte, perché oramai le anime, anche nei vivi, non ne erano rimaste” non l’ho capita
Ombre – Carolina PelosiUn racconto interessante, che trova la sua forza nello sbilenco rapporto fra realtà e sogno. Le cinquemilacentoquindici croci che corrispondono ai giorni dall’omicidio, la personalità assassina letta a rovescio sul braccialetto identificativo del paziente sono degli agganci interessanti. Ho apprezzato anche gli eventi sospesi, il fatto che nella visione iniziale non ci sia l’esatta copia dell’omicidio reale ma una rappresentazione modificata, anche se forse l’incubo è un po’ troppo lungo nell’economia di un racconto comunque breve ( nel momento in cui ho capito che si trattava del delirio di un pazzo, ho cominciato a “correre” un po’ nella lettura, alla ricerca di spiegazioni reali oltre alla messa in scena quasi teatrale del mondo onirico).
Mi è piaciuta molto meno il rapporto con lo psichiatra, l’ho trovato cinematografico e poco realistico. Prima di tutto perché imperniato su un on/off legato ai farmaci poco verosimile. Un paziente psichiatrico non viene addormentato al volo solo perché balza in piedi durante un colloquio, deve manifestare degli atteggiamenti aggressivi ( o auto aggressivi) non gestibili con altri metodi. Soprattutto dopo tanto tempo. Inoltre, dopo tutti quegli anni e in una condizione di tale confusione mentale, difficilmente il terapista continuerebbe a insistere sulle ragioni dell’omicidio, ma si occuperebbe più ragionevolmente del rapporto del paziente con la realtà presente. Mi aspetterei di più delle domande su Nailuj, sulla sorella che lo segue con affetto che insistenze sulla madre.
Comunque si tratta di una buona prova, che ho letto con piacere.
Se solo sapessero… – Viviana TengaUna storia interessante, dove il passato non è solo una bestia feroce ma una reale punizione per chi non lo conosce. Un racconto sull’uso dela memoria collettiva e il suo salvataggio. Io vi ho trovato anche un metaracconto sul fatto che il “tell”, raccontare, non potrà mai dire tanto quanto lo “show”, il mostrare, come confermano tutte le scuole di scrittura. Non è un libro che elenca fatti a poter narrare gli orrori del passato, bisogna vederli e viverli. L’argomento è interessante e gestito in modo piuttosto originale. Ci sono tanti personaggi per un racconto così breve e non nascondo, alla prima lettura, di aver fatto un po’ di confusione: per altro Michele sembra esserci solo per accrescere il caos, in fondo per l’evento clou del racconto ci bastano Mattia e Dario. A proposito del congegno, credo che il finale, in cui si spiega l’effettiva funzione dell’oggetto, sia un po’ troppo veloce rispetto il resto del racconto. Capisco che riuscire a “mostrare” l’orrore sia difficile ed è più semplice “raccontare” (e in fondo è il tema stesso della narrazione), ma “Per un tempo che non sa quantificare, la sua mente è stata altrove, ha vissuto in prima persona gli orrori dell’Olocausto” è una spiegazione troppo riassuntiva per essere letteraria: avrei preferito che cercassi di descrivere, anche con pochi cenni, l’orrore vissuto da Dario.
Aida – Nicolas LozitoUn racconto con vette e abissi. Bella l’idea, perfetta l’aderenza al tema, apprezzo anche la scelta del nome della protagonista, legato indissolubilmente al melodramma e alla musica. Notevole la descrizione iniziale di Aida sordo-cieca, che costringe lo scrittore a usare sensi in genere trascurati per mostrare la realtà del personaggio e creare identificazione con mezzi inusuali. Questa parte viene gestita molto bene, è emozionante e coinvolgente.
Nella parte centrale invece è come se l’autore si distraesse: concordanze verbali poco curate, amiche che Aida si limita a conoscere ( e allora non si possono definire amiche), una frase goffa per descrivere il contesto che fa a pugni con l’eleganza precedente (“Trent’anni anni prima, Aida è una diciassettenne sordo-cieca da quando ha iniziato imparato a parlare.”)
Poi ancora l’ottima narrazione della violenza, sempre mediata da sensi inconsueti, fino a sfociare in un’altra frase che mi ha lasciato perplessa.
“Nasce morto da trent’anni, una volta all’anno, ogni giorno, ogni istante in cui il cuore di Aida batte o si ferma.” Se il racconto si svolge il 14 ottobre è perché per Aida è una tragica ricorrenza che ritualizza: dunque non ha senso dire che nasce ogni istante o ogni giorno ( in quel caso non avrebbe senso la contestualizzazione). Mi è sembrata una frase patetica senza un reale contenuto collegato alla vicenda.
La bestia del Gèvaudan – Francesco D’AmoreSono sempre grata a chi mi fa conoscere una leggenda e un mostro: quindi grazie per avermi costretta a scoprire la bestia del Gèvaudan. Credo che il senso del racconto sia la demistificazione. Alcune persone o cose sono forti dell’aura che le circonda, poi se osservate con imparzialità si coglie la loro banalità. Il protagonista “smonta” l’invincibilità del bullo del paese e poi sconfigge una belva che si rivela essere poco più di un cagnaccio. OK, fin qui ho capito ed è un tema interessante.
Due aspetti della storia però mi sono poco chiari: il senso del primo incontro con la bestia (che, se come si dice alla fine è una banalissima iena, cosa avrà potuto mai vedere nell’animo del protagonista? E perché il nipote non la vede?) e la storia della gabbia in cui dice di chiudersi la voce narrante. Non ho colto se si tratti di una gabbia metaforica o reale, e perché, visto che lo stesso personaggio dichiara la propria volontà di essere libero ( per esempio dal matrimonio, quando rimbecca il fratello).
Attenzione alle concordanze e alle ripetizioni.
Radioman di Sharon GalanoNon nascondo di essermi un po’ persa in questo racconto. Un veterano del Vietnam partecipa a un incontro di una specie di Alcolisti Anonimi (dico una specie perché la riunione non mi pare avere le caratteristiche proprie di AA, c’è una moderatrice invece degli sponsor, che propone un proprio libro al posto del classico testo con i sette passi; inoltre il clima “giudicante” finale non è in linea con i principi dell’auto-aiuto del gruppo) e racconta il proprio passato, fra fantasia e dolorosa realtà. La lingua che utilizza è senz’altro interessante e la lettura piacevole, anche se talvolta ho faticato a distinguere i passaggi fra eventi del passato e del presente e non sono riuscita a cogliere se nella vicenda ci sia qualcosa di più oltre la cronaca della ricaduta di un alcolista nel proprio vizio. La storia legata al Vietnam mi è sfuggita, non sono riuscita a riordinare gli eventi. Può essere anche colpa mia.
La domanda che pongo sempre in questi casi: perché un’ambientazione americana? La storia non potrebbe essere declinata all’italiana?
Incenso – Cristina DaniniClara, la protagonista, ci rende partecipi di una serie di riflessioni sull’amore e sull’abbandono. Ci pensa durante la nottata insonne, ci pensa insieme all’amica che cerca di riportarla alla vita, ci pensa dopo che Alessandra se n’è andata. Clara è disperata all’inizio ed è disperata alla fine del racconto. Nel mezzo ha condiviso con noi il suo dolore, ma non è successo nulla. Neppure a livello interiore. E questo è, a mio avviso, il principale difetto del racconto. Non mi fraintendere, non mi aspetto l’invasione aliena o il principe azzurro che entra dalla finestra. Non è necessario che si tratti di eventi eclatanti, non pretendo un lieto fine ne’ un finale tragico. Da un racconto mi aspetto che succeda qualcosa, anche una minima trasformazione nel sentito della protagonista. Un nuovo pensiero che si affaccia alla sua mente, una trasformazione che la renda più combattiva o più prona al dolore, la scoperta di un punto di vista che prima non aveva preso in considerazione. Una nuova consapevolezza che si affaccia all’improvviso alla sua coscienza. Qui ho l’impressione che si parli di una notte come altre, seguita da un’altra comunissima giornata nell’ambito della sofferenza: Clara non fa che ribadire a se stessa pensieri di cui è convinta. Lei medesima, credo, non ricorderà i momenti narrati, se non come frames qualunque nello scorrere del suo dolore (tranne, forse, per la scritta sul muro, che comunque non è che una riaffermazione del suo sentito iniziale). Si tratta di una bella rappresentazione psicologica, ma è una foto. E in un racconto, secondo me, ci vuole movimento, anche se minimo, per dare origine a una storia. Attenzione all’uso della punteggiatura.
Buried Town – Viviana SpagnoloUn lungo monologo gestito da una voce forte, un punto di vista certamente ben gestito, credibile e con un notevole ritmo. Forse un po’ verboso, ma con stile: ricorda un poco, in ambito completamente differente, il Tony Pagoda di “Hanno tutti ragione”. Peccato che (mi) sfugga la storia. La vicenda è appena accennata e, benché io non ritenga che in letteratura tutto debba essere spiegato nei minimi particolari (soprattutto se si vuole ottenere una specifica atmosfera) mi sono trovata spiazzata per non aver capito gli eventi. Forse è un limite mio. O forse il problema è la sproporzione fra la…logorrea della voce narrante e la scarsità delle informazioni utili date al lettore. Alla fine la vicenda motore di tutto quanto viene sbrigata via con poche battute. Insomma, potrebbe essere un grande incipit di una novella di lunghezza medio/lunga, dove resta spazio sufficiente anche per i fatti …sicuramente non di un “corto”. E, in ogni caso, non mi pare che sia un racconto che stia in piedi da solo perché il grande interesse stimolato dall’ottima voce narrante alla fine non viene soddisfatto. Io credo che varrebbe la pena allargare e allungare questa storia al di là del contest, per farne un’opera più ampia, che potrebbe essere assai godibile.
Le radici del futuro di Patty BaraleC’è molto “Terminator” in questo racconto. O “L’Esercito delle Dodici Scimmie”. Forse i racconti sui viaggi del tempo in contesto catastrofista tendono ad assomigliarsi un po’ tutti. C’è sempre qualcuno che vuole cambiare il presente con un gesto estremo nel passato, senza rendersi conto che anche le proprie radici affondano negli eventi che vuole cancellare: manca dunque l’originalità. L’aderenza al tema proposto, invece, c’è. Queste storie portano il lettore (soprattutto gli appassionati di fantascienza), prima che a godersi la narrazione, a cercare eventuali fili pendenti, neanche le storie fossero dei rebus della “Settimana Enigmistica” E qui ne trovo uno evidente: è carina l’idea del registratore che serve a spiegare la storia (a una Michela dimentica del passato se le cose fossero andate bene o semplicemente al lettore, vista la piega…genitoriale presa dagli incontri) ma se lei fosse scomparsa nell’omicidio anteconcepimento del proprio genitore, anche il registratore sarebbe scomparso perché mai esistito. E quindi addio spiegazione al lettore.
Un’altra osservazione: se costruisci uno scenario postcatastrofista in un’ambientazione molto nota come Roma, partendo oltre tutto da un luogo celeberrimo come piazza San Pietro, devi essere molto precisa con i luoghi. La protagonista non deve raggiungere “una” piazza, ma devi dire quale. Perché il brivido di questo tipo di racconti è proprio osservare posti conosciuti con la lente deformante della distopia. Altrimenti tanto valeva ambientare il tutto in un paesino qualunque. Al di là di queste osservazioni, il racconto scorre piacevolmente.
Non entro nel merito della credibilità della distopia che hai ideato perché anche molti degli articoli che leggo sul giornale, anni fa mi sarebbero sembrati improbabili. Comunque il “Nobel per la scienza” non esiste e, per la piega che stanno prendendo le cose, in futuro la tendenza sarà rendere ancora più superspecialistici i premi, piuttosto che generici.
PERFECTION – Eleonora RossettiUn’idea non proprio originale per chiunque abbia frequentato letture cyberpunk, un genere che ha raggiunto vette altissime per poi ritirarsi come la marea una volta spolpato completamente. Questo per dire che è davvero difficile dire qualcosa di nuovo dopo Philip Dick e compagnia, che per altro erano straordinariamente attenti alla coerenza interna delle loro narrazioni. Il racconto è aderente al tema proposto, ma non mi ha convinto completamente per varie ragioni. Non amo la narrazione alla prima persona presente, mi sembra un trucco letterario senza una giustificazione di contenuto oltre che stilistica: a chi sta parlando il protagonista e perché? Questa scelta costringe all’infodump (quando gli sovviene del volantino con le istruzioni dello strumento) perché normalmente una persona non racconta a sé stessa in tempo reale cosa ricorda o sa. Inoltre non si correla all’articolo sul giornale che chiosa la vicenda. Chi lo legge, perché? Fra le varie spiegazioni, per altro, manca la più utile: perché i ricordi, semplicemente immagazzinati in una memoria esterna, vengono improvvisamente manipolati da una coscienza? Il salto fra informazione e consapevolezza è un passaggio enorme, non può essere lasciato nel vago. Chi è questa consapevolezza virtuale, un bug del sistema, una manipolazione della ditta produttrice o il tutto è semplicemente un’allucinazione ed è stato il protagonista a riscaricare involontariamente le memorie dolorose? Questo per altro giustificherebbe l’aspetto dell’interlocutore virtuale, perché non capisco altrimenti perché debba avere le fattezze del narratore e non quelle dell’assistente informatico caricato preventivamente dalla ditta.
La Bestia di Fuoco di Giulio LepriUn racconto scorrevole, aderente al tema proposto, che tuttavia non mi ha completamente convinto.
Si alternano due scenari, uno presente (la seduta psicoanalitica) e uno passato ( la narrazione del trauma che ha portato il protagonista dal terapista). Chi racconta la storia? Sembrerebbe la cosiddetta terza interna, cioè una terza persona non onnisciente, che riferisce solo il punto di vista del ragazzino. Come se il flusso di coscienza della seduta fosse “tradotto” in immagini. E’ una scelta interessante, ma non totalmente efficace.
La storia raccontata dal paziente non può essere scevra da rielaborazioni. Se Daniele a 11 anni poteva non aver capito o, quanto meno, rielaborato le ragioni dell’astio di sua madre (senso di colpa del tradimento, sensazione di essere incastrata in una realtà non desiderata) da adulto è molto probabile di sì. E, se anche il protagonista fosse così offuscato dai traumi da non riuscire a mettere a fuoco la propria illegittimità e le colpe della donna, cercherebbe comunque delle giustificazioni o delle ragioni al comportamento della madre, che qui non ci sono. Il racconto è troppo distaccato per essere frutto di una terza interna ( anche a distanza di anni), ma troppo parziale per essere una terza esterna onnisciente e, in entrambi i casi, diventa poco realistico: non per la storia in sé ( succede anche di peggio) ma a causa delle scelta stilistica della voce narrante..
Unica nota improbabile legata ai fatti duri e puri: che dopo tre giorni di digiuno un cane attacchi il proprio padrone per sbranarlo.
Tutto torna di Diego DucoliAl di là della trama, un racconto difficile da seguire, i personaggi si confondono e i piani sono così tanti da non permettere sempre di capire dove ci si trovi e chi sia il narratore, se ci sia un filo conduttore di tutta la vicenda. Al narratore sfila la vita di fronte negli ultimi istanti di vita, e questo è certo un contesto quanto mai onirico, ma ugualmente servono dei punti di riferimento più chiari che qui non colgo. Forse le ragioni vanno cercate nel fatto che la coppia padre-figlio si ripropone nei due paragrafi e servirebbero delle definizioni più univoche per capire in quale generazione ci si trovi. Compare anche la madre, ma senza regalare ulteriori chiarimenti. Al di là di queste osservazioni, che potrebbero essere legate a un mio difetto di comprensione, servirebbe più attenzione a grammatica e sintassi, perché anche i numerosi errori formali, certo correggibili dopo una rapida revisione, rappresentano dei veri e propri inciampi nella scorrevolezza del testo, rendendo ancora più faticosa la lettura. Emerge comunque un vero talento per la descrizione visiva, che ritengo la parte migliore del racconto. Tema rispettato.
18 marzo 2015 alle 22:52 in risposta a: Lista racconti ammessi e vostre classifiche – MC DEMO EDITION #4618CLASSIFICA
1. Venerdi 12 di Luca Pagnini
2. Facilmente edibile di Marco Roncaccia
3. Prima Linea di Maurizio Bertino
4. LIBROGAME di Beppe Roncari
5. Con il sorriso sulle labbra di Francesco Nucera
6. Souvenir di Serena Aronica
7. Jimmy di Raffaele Marra
8. I figli degli altri di Antonio Frascella
9. L’altra vita di Giulio Marchese
Prima Linea di Maurizio Bertino
Un argomento attualissimo; questo è il racconto in cui vedo in assoluto più riflesso il tema di colpa e complicità proposto al contest. Se gli atti terroristici sono offerti come il più interessante dei programmi tv, pur riparati dietro l’ipocrisia del fornire un servizio d’informazione, non facciamo esattamente il gioco di chi perpetra atrocità? E il mondo dell’informazione non è a sua volta soddisfatto dalla disponibilità di questi spettacoli dell’orrore? Scrittura fluida e convincente al servizio di un tema a me caro. Un neo: non ho trovato una storia, con un inizio e una fine, ma l’espressione, attraverso uno scenario grottesco, di una (condivisibile) tesi. Però l’ho letto con gran piacere.
I figli degli altri di Antonio Frascella
Mea culpa, mea maxima culpa. Perché questo racconto è ben scritto, tutto torna, non riesco a trovare pecche evidenti. Eppure non mi ha convinto, mi sono un po’ annoiata. E non riesco a spiegare con chiarezza, neppure a me, il perché. Forse, dico forse, il fatto che i personaggi sono un po’ stereotipati. Forse perché la situazione va presto in stallo (“il tempo passava e nulla accadeva”) e il protagonista, in pericolo, è così volutamente negativo da rendermi indifferente al suo destino. E il finale, spiegato dalla radio (o tv) perché è necessario “ricapitolare”, beh, mi è sembrato un po’ goffo. Ripeto, mi sento un po’ in colpa perché non credo che questo sia oggettivamente un racconto poco meritevole, certo è una narrazione che non ha coinvolto me. Temo che questo mio commento non ti sia molto utile e me ne scuso.
Jimmy di Raffaele Marra
Ciao Raffaele, quella dei nomi e delle ambientazioni straniere è una mia piccola crociata e me ne lamento sempre. Dunque non farò eccezione in questo caso. Qui in realtà mi ha dato meno fastidio di altrove, forse perché all’inizio inserivo il nome Jimmy nell’esterofilia televisiva delle classi più disagiate. Se fosse stato “Gimmi” e la sorella “Doroti”, sarebbe stato perfetto, soprattutto se la Palmer si fosse chiamata Bianchi, per dire. Concordo anche con chi ha trovato la serie di sfighe un po’ eccessiva e quasi “di maniera”, lo so che non c’è mai fine al peggio, ma pure la madre che si prostituisce gratis mi pare troppo per risultare credibile. Che la realtà spesso superi la letteratura è un altro conto, se raccontassimo alcuni fatti di cronaca risulteremmo grotteschi.
Sono partita in quarta con le critiche, ma in realtà c’è molto di buono in questo racconto. La scrittura è fluida, la tensione e le emozioni ben dosate. E la storia interessante e ben bilanciata, concordo con la scelta di dare attenzione al presente sfumando il passato in modo da coglierne solo i contorni quasi mitologici.
LIBROGAME di Beppe Roncari
Ciao Beppe, un’ottima idea realizzata bene, un piccolo virtuosismo. Un plauso per quella seconda persona che trovo vada usata con parsimonia, ma qui ci sta d’incanto…in fondo, se è il lettore che sceglie le svolte della storia, l’identificazione con il protagonista deve essere completa.
Sei stato bravo. Però, così come mi capitava da bambina quando su “Topolino” le avventure dei paperi con finali a scelta multipla, tendo a considerare il tutto più un gioco che una storia vera e propria e mi faccio coinvolgere poco.
Venerdì 12 di Luca Pagnini
Ciao Luca,
una scelta forte, la tua. Parlare di Piazza Fontana è rischioso, lo scivolone nella retorica è facile ma hai aggirato con grazia l’ostacolo scegliendo una cronaca piana e limpida, come erano le vite spezzate dall’attentato. Ho apprezzato molto questo rapporto fra forma e contenuto. Ottima l’attinenza con il tema proposto.
Souvenir di Serena Aronica
Ciao Serena, piacere di conoscerti.
Ho apprezzato le immagini che hai utilizzato in questo racconto, non banali ma utili e descrittive. Il mio modello è la scrittura più scarna che si può, ma in questo caso gli aggettivi non erano mai scontati. E mi è piaciuta l’idea della quotidianità folle, con i suoi gesti (forse) ingiustificati.
Non amo le ambientazioni gratuitamente straniere, dunque mi domando perché stiamo parlando di Clancy e Ruth e non di… Beppe e Luisa, per dire. Solo perché Ray Cullen può essere giustiziato e da noi un “Paolo Rossi” sarebbe all’ennesimo grado di appello? Mah. Ho sempre l’impressione che l’ambientazione straniera di personaggi stranieri, gestita da autori italiani, crei distanza con il lettore, come il “C’era una volta…” delle favole che proietta in un mondo fantastico in cui tutto è lecito.Oltre alla sensazione di “tuvuoifal’ammericano”, che non mi entusiasma.
Comunque è senza dubbio una buona prova.
A rileggerci
Col sorriso sulle labbra di Francesco Nucera
Ciao Francesco. Alla fine della prima lettura mi sono detta “Accidenti!” perché racconti un pensiero su cui ho riflettuto anch’io…soprattutto a gennaio, in occasione degli attentati francesi: immolarsi a una causa non può essere uno straordinario anestetico nei confronti del dolore quotidiano? Indipendentemente dalla promessa di un paradiso con 40 vergini da deflorare, gli attentatori non cercano disperatamente di dare un senso a una vita altrimenti grigia e banale? Non so quali siano le ragioni del tuo protagonista, ma le immagino semplici, tipo una ragazza che se n’è andata, un lavoro che non si trova. Insomma un destino che non prende forma. E il “santone” regala proprio questo: un fato ineluttabile, prima ancora che eroico. Il senso del tuo racconto dunque mi piace molto. Ho sbirciato però i commenti altrui e mi sono resa conto di un particolare: se non fossi stata nel mezzo di analoghe riflessioni, forse non avrei colto quello che, credo, sia il senso della storia. Forse servono davvero dei particolari in più per cogliere l’epifania di Franco, il cammino da depresso a bomba. Insomma, la struttura del racconto manca di qualche pezzo per arrivare al lettore nella sua interezza e non dare l’impressione che il finale sia un colpo di scena come un’altro. ( P.S. Il mio accento di troppo te lo lascio qui…fanne buon uso ;-))
Facilmente Edibile di Marco Roncaccia
Ciao Marco, la prima parte del racconto è davvero divertente. La finte “brutte lettere” che usi per l’introduzione all’autobiografia sono perfette, il testo è tanto irritante da diventare irresistibile (come il titolo, per altro). L’attinenza al tema proposto è assoluta e l’idea originale e quasi sempre ben gestita. Il “quasi” sta per l’elenco delle vendette. Lo splatter in generale mi annoia ma, al di là del gusto personale, la descrizione puntuale delle sevizie non mi è sembrata indispensabile al senso della vicenda ( tranne la frase sul dolce naufragar della Crisquolo, per la quale chapeau). Nell’equilibrio del racconto mi pare troppo lunga: appurato che l’editor ha deciso di far fuori tutti, dobbiamo proprio rifare l’elenco con relativa tortura? Il sorriso scatta appena si capisce la situazione, poi tutto il resto non fa che ribadire un concetto noto e la tensione cala…per risalire sul finale (bello).
L’altra vita di Giulio Marchese
Ciao Giulio, ben trovato.
La tua storia è interessante, penso che l’assenza di memoria sia un tema che ancora nasconde molte possibilità letterarie. E il tuo racconto, con delle belle immagini visive e tanti fili sospesi (non sono una fan del “tutto chiaro e esplicitato”) ne è un esempio. Ci sono però due aspetti che non mi hanno convinto. Il primo è legato alla quantità di refusi: sono davvero troppi, non è questione di essere nazisti della grammatica, è che ogni errore è un inciampo nella lettura che mi spinge fuori dalla storia, mi toglie concentrazione. Il secondo è il cambio del punto di vista finale, che mi toglie di vista il personaggio a cui mi ero affezionata. Credo che in un testo così breve valesse la pena mantenere una sola voce narrante e trovare un escamotage per far percepire il riconoscimento.Ciao Marco, la prima parte del racconto è davvero divertente. La finte “brutte lettere” che usi per l’introduzione all’autobiografia sono perfette, il testo è tanto irritante da diventare irresistibile (come il titolo, per altro). L’attinenza al tema proposto è assoluta e l’idea originale e quasi sempre ben gestita. Il “quasi” sta per l’elenco delle vendette. Lo splatter in generale mi annoia ma, al di là del gusto personale, la descrizione puntuale delle sevizie non mi è sembrata indispensabile al senso della vicenda ( tranne la frase sul dolce naufragar della Crisquolo, per la quale chapeau). Nell’equilibrio del racconto mi pare troppo lunga: appurato che l’editor ha deciso di far fuori tutti, dobbiamo proprio rifare l’elenco con relativa tortura? Il sorriso scatta appena si capisce la situazione, poi tutto il resto non fa che ribadire un concetto noto e la tensione cala…per risalire sul finale (bello).
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Questa risposta è stata modificata 10 anni, 1 mese fa da
LeggEri.
Ciao Francesco. Alla fine della prima lettura mi sono detta “Accidenti!” perché racconti un pensiero su cui ho riflettuto anch’io…soprattutto a gennaio, in occasione degli attentati francesi: immolarsi a una causa non può essere uno straordinario anestetico nei confronti del dolore quotidiano? Indipendentemente dalla promessa di un paradiso con 40 vergini da deflorare, gli attentatori non cercano disperatamente di dare un senso a una vita altrimenti grigia e banale? Non so quali siano le ragioni del tuo protagonista, ma le immagino semplici, tipo una ragazza che se n’è andata, un lavoro che non si trova. Insomma un destino che non prende forma. E il “santone” regala proprio questo: un fato ineluttabile, prima ancora che eroico. Il senso del tuo racconto dunque mi piace molto. Ho sbirciato però i commenti altrui e mi sono resa conto di un particolare: se non fossi stata nel mezzo di analoghe riflessioni, forse non avrei colto quello che, credo, sia il senso della storia. Forse servono davvero dei particolari in più per cogliere l’epifania di Franco, il cammino da depresso a bomba. Insomma, la struttura del racconto manca di qualche pezzo per arrivare al lettore nella sua interezza e non dare l’impressione che il finale sia un colpo di scena come un’altro. ( P.S. Il mio accento di troppo te lo lascio qui…fanne buon uso ;-))
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Questa risposta è stata modificata 10 anni, 1 mese fa da
LeggEri.
Ciao Raffaele, quella dei nomi e delle ambientazioni straniere è una mia piccola crociata e me ne lamento sempre. Dunque non farò eccezione in questo caso. Qui in realtà mi ha dato meno fastidio di altrove, forse perché all’inizio inserivo il nome Jimmy nell’esterofilia televisiva delle classi più disagiate. Se fosse stato “Gimmi” e la sorella “Doroti”, sarebbe stato perfetto, soprattutto se la Palmer si fosse chiamata Bianchi, per dire. Concordo anche con chi ha trovato la serie di sfighe un po’ eccessiva e quasi “di maniera”, lo so che non c’è mai fine al peggio, ma pure la madre che si prostituisce gratis mi pare troppo per risultare credibile. Che la realtà spesso superi la letteratura è un altro conto, se raccontassimo alcuni fatti di cronaca risulteremmo grotteschi.
Sono partita in quarta con le critiche, ma in realtà c’è molto di buono in questo racconto. La scrittura è fluida, la tensione e le emozioni ben dosate. E la storia interessante e ben bilanciata, concordo con la scelta di dare attenzione al presente sfumando il passato in modo da coglierne solo i contorni quasi mitologici.
Ciao Serena, piacere di conoscerti.
Ho apprezzato le immagini che hai utilizzato in questo racconto, non banali ma utili e descrittive. Il mio modello è la scrittura più scarna che si può, ma in questo caso gli aggettivi non erano mai scontati. E mi è piaciuta l’idea della quotidianità folle, con i suoi gesti (forse) ingiustificati.
Non amo le ambientazioni gratuitamente straniere, dunque mi domando perché stiamo parlando di Clancy e Ruth e non di… Beppe e Luisa, per dire. Solo perché Ray Cullen può essere giustiziato e da noi un “Paolo Rossi” sarebbe all’ennesimo grado di appello? Mah. Ho sempre l’impressione che l’ambientazione straniera di personaggi stranieri, gestita da autori italiani, crei distanza con il lettore, come il “C’era una volta…” delle favole che proietta in un mondo fantastico in cui tutto è lecito.Oltre alla sensazione di “tuvuoifal’ammericano”, che non mi entusiasma.
Comunque è senza dubbio una buona prova.
A rileggerci
Erika
Ciao Beppe, un’ottima idea realizzata bene, un piccolo virtuosismo. Un plauso per quella seconda persona che trovo vada usata con parsimonia, ma qui ci sta d’incanto…in fondo, se è il lettore che sceglie le svolte della storia, l’identificazione con il protagonista deve essere completa.
Sei stato bravo. Però, così come mi capitava da bambina quando su “Topolino” le avventure dei paperi con finali a scelta multipla, tendo a considerare il tutto più un gioco che una storia vera e propria e mi faccio coinvolgere poco.
A rileggerci.
Ciao Luca,
una scelta forte, la tua. Parlare di Piazza Fontana è rischioso, lo scivolone nella retorica è facile ma hai aggirato con grazia l’ostacolo scegliendo una cronaca piana e limpida, come erano le vite spezzate dall’attentato. Ho apprezzato molto questo rapporto fra forma e contenuto. Ottima l’attinenza con il tema proposto. A rileggerci
5 marzo 2015 alle 13:40 in risposta a: Lista racconti ammessi e vostre classifiche – MC DEMO EDITION #3892Antico, dato che ho pasticciato con il nickname sul forum, non compare il mio nome per esteso nel titolo della discussione. Posso aggiungerlo ora o rischio la squalifica per modifica?
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