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Punti di forza
La tua skill di narratrice. Il racconto si fa leggere volentieri, anche se s’intuisce la struttura a “La sentinella” fin troppo presto.
Punti deboli
Di racconti così saresti in grado di scriverne a centinaia e di fila. Questo per sottolineare come, sostanzialmente, non ci siano novità di rilievo: struttura classica, si attende solo di scoprire chi è cosa. E la sorpresa, personalmente, non mi ha soddisfatto al 100%. Hai animato i cereali, ma senza dargli un contesto, un qualcosa che giustifichi la loro presenza nel racconto. Sono in missione? Perché Sembra il mondo di Toy Story dal punto di vista del bambino bastardo, ma lì i giochi avevano una loro funzione, qui i cereali sono “decontestualizzati” (e si ritorna a quanto scritto sopra: potresti scriverne a centinaia di racconti così, uno di fila all’altro).
Migliorabile
Serve un atteggiamento meno passivo, meno soggiogato alla struttura, ben conosciuta, del racconto con twist Browniano. Al momento lo vedo come un’esercitazione. Tenendo la base attuale, invece, va accorciato, tutta la parte finale prima della conclusione risulta quasi ridondante.
Come consiglio, proverei a sovvertire le regole, pestare sull’insensatezza della situazione, renderlo non sense e giocare con le aspettative del lettore. E visto che siamo in un laboratorio, perché non provarci?Però l’hai postato e quindi, da contratto, ti becchi anche un mio, pur minimo, commento (stilato secondo i dettami del nostro Spartaco)…
Punti di forza
Sembra scritto avendo sotto mano le carte di Munchkin, quindi è divertente, scanzonato, irriverente.
Punti deboli
Però è anche troppo lungo. Perdi la misura, andava chiuso prima o quanto meno rilanciato con qualche nuova idea invece di morire nel suo brodo primordiale.
Ci sono anche diverse D eufoniche, soprattutto nella prima parte, e alcune formulazioni un pelo ingenue non da te, semmai di un di te di anni e anni fa.
Migliorabile
Va riscritto con la tua skill attuale. Bene l’impronta generale, ma gli va data una chiusa migliore. Punterei anche a eliminare il nome dei personaggi, a meno che la loro presenza non sia giustificata da un’evoluzione della trama che, allo stato attuale, non si vede. Molto buona l’atmosfera scanzonata, ma va dosata meglio e resa funzionale per quello che vuoi narrare.Punti di forza
L’atmosfera che riesci a creare, hai un talento nel trasmettere immagini, colori, sensazioni (statiche, legate alle immagini).
Punti deboli
Le connessioni interne. Ci sono dei buchi narrativi che vanno riempiti.
Mancano molte virgole.
Alcune forme vanno riviste (“la quale”, la prima che mi viene in mente)
Migliorabile
La parte iniziale va bene, introduci un mondo ed è proprio il tuo punto di forza. Vanno oliati i meccanismi narrativi dalla seconda parte in poi. Esiste una correlazione tra gli spiritelli schiacciati e il suo divenire progressivamente invisibile? Se sì, quale? O forse il suo grado d’invisibilità è direttamente proporzionale al suo successo negli affari? E le sue opere, lasciano un segno nei suoi studenti? In quale modo ha influenzato Lysveeta e perché deve chiedere perdono? E perché sta fuggendo dalla città?
In pratica va rivista la parte in cui dai vita al racconto. Hai costruito uno scheletro potente, infondigli l’anima.Per me non è la prima lettura di questo racconto, quindi procedo spedito. Mi sembra superiore alla prima versione, più rifinito. Toglierei quel “Addio amore mio” perché eccessivo e solo fastidioso, fa sembrare pesante tutto quel paragrafo quando invece si tratta di eliminare solo poche parole, tanto il concetto il lettore lo ha ben presente. Occhio che manca un articolo tra “lungo” e “promontorio”. Per il resto mi ha convinto e non ho molto da aggiungere.
Quindi…
CHIEDO LA GRAZIACiao Alberto! Quanto tempo che non ci s’incrocia… Benvenuto!
20 marzo 2015 alle 17:26 in risposta a: Classifiche giurati e Classifica Generale Parziale Aggiornata #4651Eccomi. Complimenti a tutti: i racconti sono validi e avete condotto un’edizione ineccepibile commentando tutti, consegnando nei tempi, accettando il confronto. Bravi, questo è lo spirito di Minuti Contati.
Due parole sulle mie scelte perché la composizione di una classifica non è solo la sommatoria di un insieme di commenti. Ho deciso di premiare Jacqueline Nieder con il primo posto perché autrice di un racconto che, oltre a essere molto buono, è stato in grado più degli altri di ergersi intorno al tema dell’edizione non limitandosi a usarlo come “musa”, ma arrivando anche ad argomentarlo e a esporre una propria tesi. Ottimo, proprio quello che cerco in un MC. Secondo posto per Roncaccia, autore di un racconto solido, molto controllato, anche originale. Per il terzo posto ho optato per Nottoli, c’è molta potenza nel suo racconto e un grande potenziale nel suo stile. Quarto Santaniello, che paga una seconda parte non all’altezza della prima, forse un pelo passiva. Quinta la Rossetti, un po’ penalizzata da quel web journal finale. Sesta la Pelosi che paga nei confronti di chi la precede un uso della metafora un poco eccessivo e settima la Danini, che ho premiato per la grande sincerità che ho sentito trasparire tra le righe di un racconto molto vissuto. Dispiace aver lasciato fuori gli altri, ma ho cercato di essere il più chiaro possibile nei miei commenti e spero non rimangano dubbi.
E con un “bravi” collettivo, ecco nel dettaglio la mia classifica:
1) L’assurda colpa di esistere, di Jacqueline Nieder
Sono rimasto indeciso a lungo, alla fine ho deciso che il racconto m’è piaciuto. Il tema dell’edizione lo permea fin dalle fondamenta e Jacqueline non si ferma a quello, lo sviluppa andando ad argomentare la necessità di scendere a patti con la bestia feroce del nostro passato, che la vita va avanti, che siamo come fenici e rinasciamo dalle nostre ceneri ed è sbagliato e controproducente rimanere, appunto, cenere. Non m’inoltro nella questione della verosimiglianza o meno riguardo ai fatti narrati, ma faccio notare che Patty Barale, che fra gli autori e i giurati è stata l’unica a dire di avere in certo modo respirato quell’atmosfera, sostiene ci sia verità nelle parole dell’autrice e a me basta e mi sarebbe bastato comunque perché non posso giudicare su argomenti che non conosco e il racconto stesso tratta quella guerra per declinare, appunto, il tema e lo fa bene. A livello di problematiche faccio notare, come altri, la difficoltà per il lettore di distinguere da subito fra madre e figlia che sta partorendo, serve un inserto, anche poche parole che lo definisca da subito in modo da indirizzare “pronti, via” la lettura.
2) NON CAMBIA MAI, di Marco Roncaccia
Quando leggo la parola zombie mi si rizzano le antenne e spesso vengo colto da un inizio di attacco d’orticaria, ormai è un cliché pari ai vampiri e il rischio è di leggere sempre qualcosa di riciclato o, peggio, inutilmente banale. Poi il tuo errabondo protagonista è arrivato alla bicicletta e ho capito che non sarebbe stato questo il caso. Molto bella quella scena, con le reminiscenze dal passato che emergono dando una parvenza d’umanità al mostro. Ma non ti fermi qui e, conscio del vero messaggio di cui è portatrice la letteratura zombie, introduci nel finale i mostri veri e propri: gli umani. La chiusa è perfetta: non c’è salvezza per nessuno e le tre pallottole rimaste vanno usate indistintamente. Il tema è presente, il passato si manifesta sia nei “ricordi” dello zombie che nei comportamenti reiterati degli uomini, non si sfugge, quello siamo e quello rimaniamo. Un consiglio per un’eventuale rielaborazione: fornisci, sparse qua e là, informazioni anche sul protagonista, contribuirebbero a dare maggiore respiro al testo e in generale lo miglioreresti perché un poco se ne sente la mancanza. Ed elimina le D eufoniche! 😉 Detto questo, il mio giudizio è decisamente positivo: complimenti.
3) Rimpianto, di Enrico Nottoli
C’è un solo errore, a mio avviso, in questo racconto: “Così mi alzai anche quella mattina… Sarei morto trentadue anni più tardi”. Dov’è l’errore? Che quello che sta in mezzo è il resoconto di un inizio giornata tipo per il protagonista, una come tante cui ne seguiranno tante altre. Quel “Così mi alzai anche quella mattina” promette qualcosa di straordinario, qualcosa che invece non arriva. Va modificato, va normalizzato.
Sul resto, invece, poco da dire. Mi piace lo stile, ho apprezzato la conduzione del racconto, il controllo esercitato dall’autore, il punto di vista leggermente deviato (la scena di lui che guarda E BASTA il cinghiale morire è da antologia), i dialoghi. Sì, forse il fatto che il tutto si regga su un rimpianto per un amore perduto cozza un pelo con il cinismo che sprizza da ogni parola e forse l’evoluzione qui sta nel cercare di coniugare questo impeto verso sentimenti banali con la visione generale o forse è meglio dire con l’istinto di chi scrive… Ma c’è molta potenza qui.
4) Solo tu puoi prenderlo, di Filippo Santaniello
Uno stile incredibilmente più morbido di quello cui ci hai abituati, ottimo, riesci a controllare registri diversi con pari risultati, davvero bravo. Il racconto mi è piaciuto, concentri l’attenzione su un focus ben preciso (la caccia al polipo) e gli fai ruotare tutto intorno dimostrando, anche qui, un mirabile controllo. Forse pecchi in eccessiva leggerezza nel momento del passaggio all’inversione dei ruoli e ti limiti a evocare il trauma attraverso l’immagine del motoscafo, però qualcosa in più poteva trasparire dalle righe, quel pizzico di tristezza e consapevolezza che contraddistingue a prescindere l’età che avanza e che qui sarebbe stata ancora più giustificata. Ecco, prima parte a mio avviso perfetta mentre alla seconda manca un po’ di cuore in più.
5) Perfection, di Eleonora Rossetti
Molto buona l’idea. Certo, il concetto di un doppio virtuale che acquisisce sostanza fino a divenire entità separata non è nuovo, ma qui è declinato in modo originale con l’aggiunta della macchina che permette di fare pulizia nei propri pensieri (vera idea originaria del testo). E così abbiamo due spunti vincenti che si uniscono per dare vita a un racconto che se solo fosse riuscito a introdurne un terzo davvero originale nella fase finale sarebbe stato quasi “perfection” (mi permetto di giocare anch’io sul titolo). Questo però non accade e la conclusione appare un pelo stanca, quasi passiva, ridondante con quell’inserto del web journal che poteva essere evitato e con quell’attacco diretto alla società di produzione che appare, appunto, troppo diretto. Un racconto più che buono, sia chiaro. E l’idea va ripresa assolutamente per essere trattata su “distanze” maggiori.
6) Ombre, di Carolina Pelosi
Il punto di vista di chi ha commesso un atto atroce e ne paga le conseguenze per il resto della vita. Ottimo l’esordio con la descrizione in toni pacati e rassicuranti del luogo mentale in cui il protagonista cerca di fuggire. Poi l’ombra, il trick subito manifesto (il nome è chiaro) del doppelganger e l’insinuazione di qualcosa che non torna. Infine la realtà, il rimorso, l’impossibilità della fuga più che dalle istituzioni, da se stessi. Ho trovato poco chiara la questione di chi è stato assassinato. Certo, la bambina rappresenta la coscienza di Julian che assume i tratti della madre, ma l’impressione è che lì sia tutto troppo metaforico. Inoltre, avrei puntato più direttamente all’assassinio di una bambina vera che non della madre o magari della moglie e della figlia, tanto per stare in sintonia con i fatti di cronaca attuali.
7) Incenso, di Cristina Danini
Parti bene, fino all’arrivo dell’amica si sente che stai controllando la storia mantenendola equilibrata. Il problema è che da lì in poi il racconto è come se andasse in testa coda, si ritorce su se stesso, tende a ripetere concetti e, soprattutto, l’amica e la scritta sul muro non risaltano per quanto avrebbero dovuto, non rilanciano o meglio, tentano di rilanciare, ma il botto è soffocato e tutto torna al punto di partenza. Si percepisce molto anche la tua urgenza di richiamare il tema, preoccupatene meno… Un tema non dev’essere esplicitato, viene fuori da solo se la storia nasce intorno a lui, è inevitabile. Puoi anche non nominarlo, puoi fare finta che non esista, ma se quello che scrivi è nato in risposta a quel determinato tema il lettore non faticherà a identificarlo. Ribadisco il concetto espresso da Patty: ci sai fare, qui perdi solo in quanto a misura, un po’ come un Sayan incapace di controllare e incanalare la propria potenza… (cavolo, questa battuta dragomballiana dovevo farla in un commento a un autore, non a un’autrice!)
Buried Town, Viviana Spagnolo
Ottimo lo stile, avvinghia subito il lettore grazie al suo essere diretto e senza fronzoli. Mancano dialoghi, ma chi se ne frega, non se ne sente la mancanza. C’è però un grosso divario fra prima parte (avvincente, completa, ben condotta) e seconda parte (necessariamente frettolosa per concludere quando invece, come l’autrice stessa sottolinea, avrebbe avuto bisogno di spazio maggiore per esprimere tutte le proprie potenzialità). Vero, ciò che vuol essere è espresso (bellissima la considerazione con cui si chiude il racconto “l’uomo rispetta solo le storie di cui è il personaggio principale”), ma rimane in superficie e il finale risulta, di conseguenza troppo “leggero” e “accennato” rispetto a quanto precede. La risultante è un disequilibrio fra le parti che non giova al giudizio finale. Certo è che le potenzialità dell’idea, unite allo stile dell’autrice, sono elevate e che il consiglio è di rielaborare il tutto senza limiti di caratteri a limitarlo.
Se solo sapessero, di Viviana Tenga
Racconto formalmente corretto, si legge bene, l’autrice dimostra controllo. Il problema è che “ci va troppo leggera”. Per colpire nel segno avrebbe dovuto sferrare un pugno diretto allo stomaco del lettore, mettere maggiormente in contrasto i giovani d’oggi (perché è lì che vuole colpire) con quelli del passato, la facile protesta troppo spesso vista come occasione per “fare qualcosa di diverso” (da molti, perlomeno) con la vera protesta nata dal non avere niente o poco. In più qui c’è l’ingrediente dell’Olocausto, sempre drammaticamente delicato da toccare perché molto si è detto e se se ne vuol parlare lo si deve fare con una prospettiva e un linguaggio e una forza nuovi e diversi. Poi c’è il tema delle relazioni intergenerazionali con la madre che sceglie la facile via del rinchiudere l’anziano padre (nonno del protagonista) in una casa di riposo. E, ancora, c’è l’ingrediente dell’aggeggio un poco fantascientifico che, però, poco è legato al resto del racconto presentandosi alla fine per chiuderlo, ma riducendosi così a mero artificio, poco sviluppato ai sensi della trama. Insomma, c’è tanta roba, troppa. Si legge bene grazie alla capacità narrativa dell’autrice, cosa che però non è sufficiente a sorreggere l’impianto della storia.
Tutto torna, di Diego Ducoli
Confusione voluta, questa è la mia idea. Semmai non è sufficientemente disordinata, vado controcorrente. Come intervenire? Quello che dev’essere più chiaro al lettore è l’incidente, arriva troppo tardi, va seminato meglio. Una volta incastonato meglio il racconto nella cornice, puoi liberare l’anarchia dei pensieri scomposti che si alternano in fase terminale e lasciare spazio al flusso apparentemente disordinato dei sensi di colpa che braccano la coscienza dilaniandola fino alla morte. Allo stato attuale appare tutto troppo “in potenza” e necessariamente da confondere con maggior controllo.
Radioman, di Sharon Galano
L’ho inteso così: il vecchio è davvero colui che dice di essere e concordo appieno con la riflessione sulla radio de-sintonizzata di Beppe. Il racconto è ben condotto fino alle sue fasi finali, laddove avresti dovuto rendere un pelo più manifesta la fantasia in cui si è rinchiuso il protagonista. La frase finale, che avrebbe dovuto spiegare e dare il colpo lasciando la giusta sensazione al lettore, si rivela come un nuovo quesito che però tende ad appesantire il tutto anche perché il racconto non conduce verso quella riflessione così amara, manca di un qualcosa nell’ultimo terzo che lo disveli rispondendo ad alcuni degli interrogativi che avevi aperto. Intendiamoci, lo stile mi piace molto, è tutto molto solido. La mancanza qui sta nella conduzione della parte finale.
La bestia del Gevaudan, di Francesco D’Amore
Mi piace il tema del racconto: i mostri sono solo nella mente e la loro creazione è un’opera collettiva, tipico caso di memoria dovuta a narrazione orale, modificata di bocca in bocca fino a divenire altro. Il percorso del protagonista diventa allora quello di colui che si oppone, che pensa di vedere oltre, ma che solo dopo aver toccato con mano (e averla anche persa) capisce di essere caduto egli stesso nel tranello. Una iena è una iena, un ragazzo è un ragazzo, una leggenda è una leggenda. Detto questo, devo sottolineare a mia volta come i piani temporali tendano a confondersi dal dialogo del protagonista con il fratello in avanti. Personalmente ho sentito la necessità di una migliore definizione del protagonista, parti sottolineando che è in giro con il nipote e subito si pensa a un nonno. Più avanti lasci intendere che in verità sia ancora giovane e il nipote sia il figlio del fratello. Credo che lì stiano molti dei problemi legati ai piani temporali, va specificato meglio da subito. Riprendilo assolutamente perché se riesci a chiudere più efficacemente le fila intorno al discorso della tradizione orale e della creazione di conoscenza collettiva può uscirne un lavoro davvero valido.
Aida, di Nicolas Lozito
Cercando di interpretare il senso del tuo racconto, non sono contrario a tutte le sfighe della protagonista, ma servono più parole per Michele e il padre. La frase finale, inoltre è sbagliata perché fornisce una chiave errata, non allineata con quanto precede. Per come l’ho inteso, dovevi andare verso una critica della società, più sorda e più cieca della protagonista stessa. Ma per farlo serve 1) qualche parola in più, non troppe, sui personaggi che ti ho indicato e 2) una conclusione che non punti al patetico, ma, appunto, verso il vero disabile protagonista: il Sistema. Se concordi con le mie osservazioni, aggiustalo, credo che il possibile risultato finale meriti lo sforzo.
Le radici del futuro, di Patty Barale
Un bel racconto di genere che necessita di diverse riparazioni che spero proprio vorrai operare, tanto più che ce n’è la possibilità, anche in ottica di eventuale ripescaggio. Parti bene e inciampi per la prima volta sul registratore. Vuole essere una semina, è chiaro, un qualcosa che aiuti più avanti il lettore a capire il contesto, ma che si trasforma in un pericoloso e mai totalmente gradito infodump, pur ben mascherato, e va inoltre a scontrarsi con la questione del paradosso del viaggio temporale: se sparisce la protagonista, sparisce anche il registratore (e la pistola), non se ne esce. Ti segnalo anche qualche altra “riparazione”: 1) perché la torturano? Perché le uccidono le bambine? Per caso è più importante di altre donne? 2) perché Roma è distrutta? Ok, è diventato un uomini contro donne, ma esplicitalo meglio… Bella comunque l’idea di ambientare il tutto presso “il covo” di altri maschilisti convinti quali sono al Vaticano, magari faccela una battuta sopra, non stonerebbe 3) non può risolversi tutto con l’assassinio di un singolo uomo, a meno che tu non ci faccia capire perché proprio quell’uomo è stato quello giusto nel momento storico giusto. Detto questo, è stato un piacere rileggerti e già te lo dico: per le tue caratteristiche non puoi proprio mancare all’edizione di Minuti Contati di aprile, no no, non puoi mancare… 😉
La bestia di fuoco, di Giulio Lepri
Credo che questo racconto abbia risentito pesantemente del taglione di caratteri che hai dovuto apportare. Sono convinto che molte pennellate che avrebbero contribuito a delineare meglio il carattere della madre siano state asportate in quella fatidica mezz’ora finale in cui ti sei accorto d’essere andato lungo. Ed è un peccato perché è vero che il personaggio di lei aveva bisogno di più spazio, occhio che non intendo spiegoni, solo di più spazio. E anche il personaggio del cane ne ha risentito, magari hai proprio cancellato il momento in cui la madre lo chiude nello scantinato. Riscrivilo, dagli il respiro che si merita, mostracelo per quello che doveva essere. E alla prossima edizione di Minuti Contati stai attento alle specifiche perché anche il rispettarle e costruire un lavoro nei loro limiti fa parte della palestra dello scrittore.Credo che questo racconto abbia risentito pesantemente del taglione di caratteri che hai dovuto apportare. Sono convinto che molte pennellate che avrebbero contribuito a delineare meglio il carattere della madre siano state asportate in quella fatidica mezz’ora finale in cui ti sei accorto d’essere andato lungo. Ed è un peccato perché è vero che il personaggio di lei aveva bisogno di più spazio, occhio che non intendo spiegoni, solo di più spazio. E anche il personaggio del cane ne ha risentito, magari hai proprio cancellato il momento in cui la madre lo chiude nello scantinato. Riscrivilo, dagli il respiro che si merita, mostracelo per quello che doveva essere. E alla prossima edizione di Minuti Contati stai attento alle specifiche perché anche il rispettarle e costruire un lavoro nei loro limiti fa parte della palestra dello scrittore.
Avulso dal commento, ti copio qui l’intervento di Marco Lomonaco, un bravo autore milanese che si occupa di un altro contest e con cui ho avuto un breve scambio proprio questa mattina: “Le palestre letterarie a tema credo insegnino la disciplina, il saper mettere la creatività al servizio di un obiettivo dato da altri. Cosa che prima di tutto serve per lavorare, una bella fetta di commissioni per gli scribacchini arriva con paletti, direttive e limitazioni. Poi serve anche quando si lavora per noi stessi, senza disciplina è dura arrivare in fondo a una storia (soprattutto se lunga) mantenendo coerenza, sistema di riferimenti interni e via così…”
Un bel racconto di genere che necessita di diverse riparazioni che spero proprio vorrai operare, tanto più che ce n’è la possibilità, anche in ottica di eventuale ripescaggio. Parti bene e inciampi per la prima volta sul registratore. Vuole essere una semina, è chiaro, un qualcosa che aiuti più avanti il lettore a capire il contesto, ma che si trasforma in un pericoloso e mai totalmente gradito infodump, pur ben mascherato, e va inoltre a scontrarsi con la questione del paradosso del viaggio temporale: se sparisce la protagonista, sparisce anche il registratore (e la pistola), non se ne esce. Ti segnalo anche qualche altra “riparazione”: 1) perché la torturano? Perché le uccidono le bambine? Per caso è più importante di altre donne? 2) perché Roma è distrutta? Ok, è diventato un uomini contro donne, ma esplicitalo meglio… Bella comunque l’idea di ambientare il tutto presso “il covo” di altri maschilisti convinti quali sono al Vaticano, magari faccela una battuta sopra, non stonerebbe 3) non può risolversi tutto con l’assassinio di un singolo uomo, a meno che tu non ci faccia capire perché proprio quell’uomo è stato quello giusto nel momento storico giusto. Detto questo, è stato un piacere rileggerti e già te lo dico: per le tue caratteristiche non puoi proprio mancare all’edizione di Minuti Contati di aprile, no no, non puoi mancare… 😉
Cercando di interpretare il senso del tuo racconto, non sono contrario a tutte le sfighe della protagonista, ma servono più parole per Michele e il padre. La frase finale, inoltre è sbagliata perché fornisce una chiave errata, non allineata con quanto precede. Per come l’ho inteso, dovevi andare verso una critica della società, più sorda e più cieca della protagonista stessa. Ma per farlo serve 1) qualche parola in più, non troppe, sui personaggi che ti ho indicato e 2) una conclusione che non punti al patetico, ma, appunto, verso il vero disabile protagonista: il Sistema. Se concordi con le mie osservazioni, aggiustalo, credo che il possibile risultato finale meriti lo sforzo.
20 marzo 2015 alle 11:14 in risposta a: Privato: L’assurda colpa di esistere – Jacqueline Nieder #4644Sono rimasto indeciso a lungo, alla fine ho deciso che il racconto m’è piaciuto. Il tema dell’edizione lo permea fin dalle fondamenta e Jacqueline non si ferma a quello, lo sviluppa andando ad argomentare la necessità di scendere a patti con la bestia feroce del nostro passato, che la vita va avanti, che siamo come fenici e rinasciamo dalle nostre ceneri ed è sbagliato e controproducente rimanere, appunto, cenere. Non m’inoltro nella questione della verosimiglianza o meno riguardo ai fatti narrati, ma faccio notare che Patty Barale, che fra gli autori e i giurati è stata l’unica a dire di avere in certo modo respirato quell’atmosfera, sostiene ci sia verità nelle parole dell’autrice e a me basta e mi sarebbe bastato comunque perché non posso giudicare su argomenti che non conosco e il racconto stesso tratta quella guerra per declinare, appunto, il tema e lo fa bene. A livello di problematiche faccio notare, come altri, la difficoltà per il lettore di distinguere da subito fra madre e figlia che sta partorendo, serve un inserto, anche poche parole che lo definisca da subito in modo da indirizzare “pronti, via” la lettura.
Mi piace il tema del racconto: i mostri sono solo nella mente e la loro creazione è un’opera collettiva, tipico caso di memoria dovuta a narrazione orale, modificata di bocca in bocca fino a divenire altro. Il percorso del protagonista diventa allora quello di colui che si oppone, che pensa di vedere oltre, ma che solo dopo aver toccato con mano (e averla anche persa) capisce di essere caduto egli stesso nel tranello. Una iena è una iena, un ragazzo è un ragazzo, una leggenda è una leggenda. Detto questo, devo sottolineare a mia volta come i piani temporali tendano a confondersi dal dialogo del protagonista con il fratello in avanti. Personalmente ho sentito la necessità di una migliore definizione del protagonista, parti sottolineando che è in giro con il nipote e subito si pensa a un nonno. Più avanti lasci intendere che in verità sia ancora giovane e il nipote sia il figlio del fratello. Credo che lì stiano molti dei problemi legati ai piani temporali, va specificato meglio da subito. Riprendilo assolutamente perché se riesci a chiudere più efficacemente le fila intorno al discorso della tradizione orale e della creazione di conoscenza collettiva può uscirne un lavoro davvero valido.
Bravissimi tutti e in special modo i tre podisti! Ho trovato una bella varietà e lavori validi e interessanti. E Luca, ora non hai più scuse, i prossimi MC ti aspettano! Oh, magari arriveranno anche le sconfitte, ma che bello è confrontarsi per due settimane e attendere con trepidazione le classifiche degli altri autori? Palestra e gioco, questo è Minuti Contati! 😀
C’è un solo errore, a mio avviso, in questo racconto: “Così mi alzai anche quella mattina… Sarei morto trentadue anni più tardi”. Dov’è l’errore? Che quello che sta in mezzo è il resoconto di un inizio giornata tipo per il protagonista, una come tante cui ne seguiranno tante altre. Quel “Così mi alzai anche quella mattina” promette qualcosa di straordinario, qualcosa che invece non arriva. Va modificato, va normalizzato.
Sul resto, invece, poco da dire. Mi piace lo stile, ho apprezzato la conduzione del racconto, il controllo esercitato dall’autore, il punto di vista leggermente deviato (la scena di lui che guarda E BASTA il cinghiale morire è da antologia), i dialoghi. Sì, forse il fatto che il tutto si regga su un rimpianto per un amore perduto cozza un pelo con il cinismo che sprizza da ogni parola e forse l’evoluzione qui sta nel cercare di coniugare questo impeto verso sentimenti banali con la visione generale o forse è meglio dire con l’istinto di chi scrive… Ma c’è molta potenza qui.L’ho inteso così: il vecchio è davvero colui che dice di essere e concordo appieno con la riflessione sulla radio de-sintonizzata di Beppe. Il racconto è ben condotto fino alle sue fasi finali, laddove avresti dovuto rendere un pelo più manifesta la fantasia in cui si è rinchiuso il protagonista. La frase finale, che avrebbe dovuto spiegare e dare il colpo lasciando la giusta sensazione al lettore, si rivela come un nuovo quesito che però tende ad appesantire il tutto anche perché il racconto non conduce verso quella riflessione così amara, manca di un qualcosa nell’ultimo terzo che lo disveli rispondendo ad alcuni degli interrogativi che avevi aperto. Intendiamoci, lo stile mi piace molto, è tutto molto solido. La mancanza qui sta nella conduzione della parte finale.
Parti bene, fino all’arrivo dell’amica si sente che stai controllando la storia mantenendola equilibrata. Il problema è che da lì in poi il racconto è come se andasse in testa coda, si ritorce su se stesso, tende a ripetere concetti e, soprattutto, l’amica e la scritta sul muro non risaltano per quanto avrebbero dovuto, non rilanciano o meglio, tentano di rilanciare, ma il botto è soffocato e tutto torna al punto di partenza. Si percepisce molto anche la tua urgenza di richiamare il tema, preoccupatene meno… Un tema non dev’essere esplicitato, viene fuori da solo se la storia nasce intorno a lui, è inevitabile. Puoi anche non nominarlo, puoi fare finta che non esista, ma se quello che scrivi è nato in risposta a quel determinato tema il lettore non faticherà a identificarlo. Ribadisco il concetto espresso da Patty: ci sai fare, qui perdi solo in quanto a misura, un po’ come un Sayan incapace di controllare e incanalare la propria potenza… (cavolo, questa battuta dragomballiana dovevo farla in un commento a un autore, non a un’autrice!)
Uno stile incredibilmente più morbido di quello cui ci hai abituati, ottimo, riesci a controllare registri diversi con pari risultati, davvero bravo. Il racconto mi è piaciuto, concentri l’attenzione su un focus ben preciso (la caccia al polipo) e gli fai ruotare tutto intorno dimostrando, anche qui, un mirabile controllo. Forse pecchi in eccessiva leggerezza nel momento del passaggio all’inversione dei ruoli e ti limiti a evocare il trauma attraverso l’immagine del motoscafo, però qualcosa in più poteva trasparire dalle righe, quel pizzico di tristezza e consapevolezza che contraddistingue a prescindere l’età che avanza e che qui sarebbe stata ancora più giustificata. Ecco, prima parte a mio avviso perfetta mentre alla seconda manca un po’ di cuore in più.
Confusione voluta, questa è la mia idea. Semmai non è sufficientemente disordinata, vado controcorrente. Come intervenire? Quello che dev’essere più chiaro al lettore è l’incidente, arriva troppo tardi, va seminato meglio. Una volta incastonato meglio il racconto nella cornice, puoi liberare l’anarchia dei pensieri scomposti che si alternano in fase terminale e lasciare spazio al flusso apparentemente disordinato dei sensi di colpa che braccano la coscienza dilaniandola fino alla morte. Allo stato attuale appare tutto troppo “in potenza” e necessariamente da confondere con maggior controllo.
18 marzo 2015 alle 2:08 in risposta a: Lista racconti ammessi e vostre classifiche – MC DEMO EDITION #4585Sarà anche stata un’edizione DEMO, ma complimenti a tutti per i racconti, tutti interessanti e dotati di ottimi spunti di riflessione.
1) Il tribunale di Sara, di Erika Adale
Un racconto che ti porta dove vuole lui lasciandoti infine con un dubbio che è palese nella sua inverosimiglianza, ma che dona quell’alone di fantastico (dannato) che non guasta e anzi arricchisce. Sono un grande fan di queste menti malate che tendono a perdere i confini con la realtà fino a sfumarla in altro, ad arricchirla di misterioso, di elementi surreali benché frutto della confusione. Decisamente non male e godibile fino in fondo. Una prova davvero buona.
2) Souvenir, di Serena Aronica
“Quell’estate torrida consumò tutta la saliva di quelli pronti a giurarmi vendetta”… Splendida frase, davvero. Sostituisci “quelli” con “coloro” ed è perfetta. Detto questo, il racconto mi ha soddisfatto. Con pennellate apparentemente disordinate tratteggi un protagonista seminandoci da subito il dubbio circa la sua reale colpevolezza. Il merito qui sta nel mostrarci gradualmente il suo essere deviato, la sua natura perversa, l’impossibilità della fuga da se stesso. Nella scena finale l’assistente sociale non ha visto la mutandina, l’aveva già seppellita in tasca, eppure le dice e ripete a se stesso “Sono innocente”. E in parte l’affermazione è vera perché rispetto alla sua natura è innocente, non può farci nulla, nel deviare non è altro che se stesso.
Condivido con altri il disappunto per i nomi inglesi, ma in questo caso sarebbe sufficiente sostituirli, il senso del racconto non cambia.
Il tema è preso in pieno proprio per quanto ho esposto sopra circa la natura del protagonista. In sostanza, una prova più che buona.
3) Facilmente edibile, di Marco Roncaccia
Peccato che alla fine l’unico a salvarsi sia proprio il decelebrato! Del resto è logico, ma avrei preferito trovare una motivazione anche interna al racconto, del tipo “quelli cascano sempre in piedi e a farne le spese sono comunque e sempre i soliti”. Forse, a opera in corso, ti sei fatto prendere la mano dal gioco e ti sei concentrato sull’elenco di vittime perdendo di vista la possibilità di continuare comunque ad arricchire il racconto disseminando altri indizi e chiavi di lettura. Detto questo, il racconto mi è piaciuto, l’idea è davvero ottima e ritengo che lo dovrebbero leggere in molti, sicuramente tutti quelli che potrebbero rischiare di fare la fine dei tuoi personaggi… Chissà che, spaventandoli, il mondo non possa migliorare?
4) Venerdì 12, di Luca Pagnini
Un tema grave della storia italiana trattato con rispetto ed equilibrio. I due piani temporali funzionano e non concordo con l’idea di modificare anticipando l’esplicitazione dell’attentato specifico, semmai introdurrei qualche elemento dissonante rispetto alla norma nel giorno dell’attentato, anche solo uno, tanto da trasmettere al lettore l’imminenza di qualcosa di grave che forse allo stato attuale rimane troppo nascosta e anticipata solo dall’altro piano temporale, cosa che fa in modo che fino al finale il lettore senta distacco fra le parti rendendolo anche meno partecipe di quanto invece potrebbe. Detto questo, una prova più che buona.
5) Jimmi, di Raffaele Marra
Mi accodo alla “velata” critica riguardo alla scelta di nomi non italiani. Il contesto non li giustifica e per scelta personale ritengo che in quanto italiani, quando è possibile, è preferibile portare acqua al nostro mulino. Certo è che se il nome di Jimmy ti si era radicato in testa potevi comunque usarlo inserendolo in un contesto italiano proprio perché ormai i genitori sono soliti dare nomi inglesi. Avresti anche potuto mantenere Dorothy, in quest’ottica, e ti sarebbe bastato cambiare il nome della dottoressa Palmer e inserire una veloce riflessione sulla perdita d’identità collettiva che bene si sarebbe integrata nelle pennellate al presente su cui hai puntato la maggiore attenzione, sarebbe stato anche utile a definire meglio i genitori e quindi Jimmy stesso.
Passando al racconto, molto a effetto l’atmosfera che hai creato intorno al giovane protagonista, velata, quasi poetica. Ottima la bestia feroce che emerge dal passato, fa anche venire un po’ di pelle d’oca. Meno bene il fatto che in fase di racconto risulti un pelo di disequilibrio tale da suggerire da subito il vero colpevole. Forse manca la giusta trattazione del padre, manca quel seminare dubbi che avrebbe reso il percorso verso il finale più “misterioso”. Il giudizio rimane buono, in certi frangenti anche molto buono, ma forse in certi punti emerge quel disequilibrio che avresti potuto moderare dando più spazio agli altri protagonisti della vicenda: il padre e Dorothy. La madre è ok anche se probabilmente avresti potuto lavorare di più su di lei per riflesso al maggiore spazio dato agli altri componenti della famiglia.
6) Col sorriso sulle labbra, di Francesco Nucera
Punto diversamente il dito: non manca la parte centrale, non è vero che avresti dovuto argomentare il cambiamento e la conversione di Franco. O per meglio dire, non era da fare nella parte centrale. Gli interventi vanno fatti prima, devi rendere più manifesta la noia e la mancanza di voglia di vivere del protagonista, devi enfatizzare il suo non avere ragioni di vita, il suo vivere passivo. Il tutto va ottenuto in una diversa strutturazione del rapporto con il fratello, i caratteri vanno specificati di più, le diversità fra i due uscire con forza dalle linee di dialogo. Deve essere infine esplicito, anche se ancora implicito, che Franco vuole diventare come il fratello e allora l’ingresso nel suo mondo, l’arrivo del santone, non è altro che il classico evento che fa scattare il click in un meccanismo già caldo. Il racconto c’è, il senso pure, è solo da sviluppare dando voce alle sue potenzialità e intervenendo laddove è necessario. Ribadisco: non serve una parte centrale, qui c’è da lavorare in quella iniziale. Detto questo: è evidente che il racconto è condotto ordinatamente, ma senza il giusto osare e in tal modo procede un pelo passivo. Intervenendo nei punti giusti può migliorare e non poco.
7) I figli degli altri, di Angelo Frascella
Un racconto che affronta tematiche attuali lanciando anche pesanti accuse sulla collusione fra poteri (politico ed economico). Il giudice assolve l’industriale, ma il popolo insorge cercando di dargli una lezione “morale” venendo però sedato, anzi annientato, dal Sistema. Il tema è presente: Pani si sente assolto, ma non lo si è mai veramente quando sono coinvolte le masse e così arriva a trovarsi “quasi” in pericolo di vita. Il racconto è ben controllato anche se forse un po’ troppo lineare. Il punto focale è il confronto fra i due uomini nell’atrio, che però nell’attuale economia degli spazi appare ridotto. Forse il tutto avrebbe avuto maggiore impatto incentrando in toto su quell’immagine facendo uscire le informazioni sul contesto dal dialogo fra i due uomini (ci sarebbe stato spazio per tutto, anche per il Sindaco al piano di sopra). In quest’ottica, probabilmente anche la lettura avrebbe avuto un impatto maggiore mentre allo stato attuale la sensazione con cui la si termina è che sia stato svolto il “compitino” in modo formalmente corretto, ma un poco annacquato. Intendiamoci, il giudizio complessivo è buono, ma i margini di miglioramento (di questo specifico racconto) sono notevoli e le potenzialità espresse solo in parte.
8) LIBROGAME, di Beppe Roncari
La struttura è affascinante e l’idea di portarla in un Minuti Contati decisamente coraggiosa e intrigante. Ma quel punto 4… Che bello sarebbe stato se tu non l’avessi rimandato da nessuna parte e, finito di leggere, il lettore disattento l’avesse perso mentre quello più attento l’avrebbe potuto recuperare per scoprirci il vero tesoro del tutto, qualcosa che sconvolgesse l’impianto, una scatola nera sigillata nella struttura… Devo essere sincero: da te me lo sarei aspettato e fino all’ultimo lo stavi per realizzare. Tra l’altro, in un racconto così breve avresti potuto davvero farlo senza rischiare che troppi lettori se lo perdessero. Detto questo, ho percepito, durante la mia lettura, un primo punto un pelo duro da leggere, ho dovuto riprenderlo un paio di volte e ancora non ero partito. Inoltre, come ovvio, la storia è solo un pretesto per il gioco e, di conseguenza, risulta poco appetibile… E anche qui forse, anzi di sicuro, potevi fare molto di più.
9) L’altra vita, di Giulio Marchese
Il cambio di tempo nell’ultimo paragrafo non mi convince. Ci sono refusi sparsi e mancano delle virgole, incidenti che possono capitare scrivendo di fretta. In ogni caso, il consiglio è di leggere con più attenzione prima di postare, molti di questi errori non passerebbero il setaccio di quella fase. Passando al contenuto, il tema è presente, anche se la storia di questo ragazzo che torna nella sua terra natale e subito incappa, per caso, in quelli che sono stati i suoi aguzzini, non ricordandoselo per la perdita di memoria sopraggiunta in seguito al fatto, non convince appieno. Non c’è un crescendo, il protagonista passa senza agire, il finale non fornisce una chiave di lettura e lascia aperte molte domande. Tutto accade in modo vagamente passivo, quasi determinato. Il consiglio è di bypassare la prima parte, le informazioni lì contenute possono essere inserite facilmente più avanti, e di concentrarsi maggiormente, anche in toto, sull’incontro con i due balordi giocando però di più sulla danza dei loro ammiccamenti reciprochi (“sporcando” da subito la figura del barbiere) e ampliando in tal modo il senso di mistero nel lettore. In poche parole, il focus dovrebbe essere incentrato unicamente su quanto accade dal barbiere, dall’ingresso del protagonista alla sua uscita, giocando molto di più sui sottintesi e sul mistero di quanto sta effettivamente accadendo.Un tema grave della storia italiana trattato con rispetto ed equilibrio. I due piani temporali funzionano e non concordo con l’idea di modificare anticipando l’esplicitazione dell’attentato specifico, semmai introdurrei qualche elemento dissonante rispetto alla norma nel giorno dell’attentato, anche solo uno, tanto da trasmettere al lettore l’imminenza di qualcosa di grave che forse allo stato attuale rimane troppo nascosta e anticipata solo dall’altro piano temporale, cosa che fa in modo che fino al finale il lettore senta distacco fra le parti rendendolo anche meno partecipe di quanto invece potrebbe. Detto questo, una prova più che buona.
Punto diversamente il dito: non manca la parte centrale, non è vero che avresti dovuto argomentare il cambiamento e la conversione di Franco. O per meglio dire, non era da fare nella parte centrale. Gli interventi vanno fatti prima, devi rendere più manifesta la noia e la mancanza di voglia di vivere del protagonista, devi enfatizzare il suo non avere ragioni di vita, il suo vivere passivo. Il tutto va ottenuto in una diversa strutturazione del rapporto con il fratello, i caratteri vanno specificati di più, le diversità fra i due uscire con forza dalle linee di dialogo. Deve essere infine esplicito, anche se ancora implicito, che Franco vuole diventare come il fratello e allora l’ingresso nel suo mondo, l’arrivo del santone, non è altro che il classico evento che fa scattare il click in un meccanismo già caldo. Il racconto c’è, il senso pure, è solo da sviluppare dando voce alle sue potenzialità e intervenendo laddove è necessario. Ribadisco: non serve una parte centrale, qui c’è da lavorare in quella iniziale. Detto questo: è evidente che il racconto è condotto ordinatamente, ma senza il giusto osare e in tal modo procede un pelo passivo. Intervenendo nei punti giusti può migliorare e non poco.
Peccato che alla fine l’unico a salvarsi sia proprio il decelebrato! Del resto è logico, ma avrei preferito trovare una motivazione anche interna al racconto, del tipo “quelli cascano sempre in piedi e a farne le spese sono comunque e sempre i soliti”. Forse, a opera in corso, ti sei fatto prendere la mano dal gioco e ti sei concentrato sull’elenco di vittime perdendo di vista la possibilità di continuare comunque ad arricchire il racconto disseminando altri indizi e chiavi di lettura. Detto questo, il racconto mi è piaciuto, l’idea è davvero ottima e ritengo che lo dovrebbero leggere in molti, sicuramente tutti quelli che potrebbero rischiare di fare la fine dei tuoi personaggi… Chissà che, spaventandoli, il mondo non possa migliorare?
La struttura è affascinante e l’idea di portarla in un Minuti Contati decisamente coraggiosa e intrigante. Ma quel punto 4… Che bello sarebbe stato se tu non l’avessi rimandato da nessuna parte e, finito di leggere, il lettore disattento l’avesse perso mentre quello più attento l’avrebbe potuto recuperare per scoprirci il vero tesoro del tutto, qualcosa che sconvolgesse l’impianto, una scatola nera sigillata nella struttura… Devo essere sincero: da te me lo sarei aspettato e fino all’ultimo lo stavi per realizzare. Tra l’altro, in un racconto così breve avresti potuto davvero farlo senza rischiare che troppi lettori se lo perdessero. Detto questo, ho percepito, durante la mia lettura, un primo punto un pelo duro da leggere, ho dovuto riprenderlo un paio di volte e ancora non ero partito. Inoltre, come ovvio, la storia è solo un pretesto per il gioco e, di conseguenza, risulta poco appetibile… E anche qui forse, anzi di sicuro, potevi fare molto di più.
Un racconto che ti porta dove vuole lui lasciandoti infine con un dubbio che è palese nella sua inverosimiglianza, ma che dona quell’alone di fantastico (dannato) che non guasta e anzi arricchisce. Sono un grande fan di queste menti malate che tendono a perdere i confini con la realtà fino a sfumarla in altro, ad arricchirla di misterioso, di elementi surreali benché frutto della confusione. Decisamente non male e godibile fino in fondo. Una prova davvero buona.
“Quell’estate torrida consumò tutta la saliva di quelli pronti a giurarmi vendetta”… Splendida frase, davvero. Sostituisci “quelli” con “coloro” ed è perfetta. Detto questo, il racconto mi ha soddisfatto. Con pennellate apparentemente disordinate tratteggi un protagonista seminandoci da subito il dubbio circa la sua reale colpevolezza. Il merito qui sta nel mostrarci gradualmente il suo essere deviato, la sua natura perversa, l’impossibilità della fuga da se stesso. Nella scena finale l’assistente sociale non ha visto la mutandina, l’aveva già seppellita in tasca, eppure le dice e ripete a se stesso “Sono innocente”. E in parte l’affermazione è vera perché rispetto alla sua natura è innocente, non può farci nulla, nel deviare non è altro che se stesso.
Condivido con altri il disappunto per i nomi inglesi, ma in questo caso sarebbe sufficiente sostituirli, il senso del racconto non cambia.
Il tema è preso in pieno proprio per quanto ho esposto sopra circa la natura del protagonista. In sostanza, una prova più che buona.
Molto buona l’idea. Certo, il concetto di un doppio virtuale che acquisisce sostanza fino a divenire entità separata non è nuovo, ma qui è declinato in modo originale con l’aggiunta della macchina che permette di fare pulizia nei propri pensieri (vera idea originaria del testo). E così abbiamo due spunti vincenti che si uniscono per dare vita a un racconto che se solo fosse riuscito a introdurne un terzo davvero originale nella fase finale sarebbe stato quasi “perfection” (mi permetto di giocare anch’io sul titolo). Questo però non accade e la conclusione appare un pelo stanca, quasi passiva, ridondante con quell’inserto del web journal che poteva essere evitato e con quell’attacco diretto alla società di produzione che appare, appunto, troppo diretto. Un racconto più che buono, sia chiaro. E l’idea va ripresa assolutamente per essere trattata su “distanze” maggiori.
Angelo, ecco, questo è un commento che mi piace molto di più e che mi fornisce spunti di riflessione per non ripetere gli stessi errori. Ora scrivo dal cell e non riesco a dilungarmi di più, ma grazie!
Ringrazio entrambi per il commento e rispetto i punti di vista, ma mi permetto di sottolineare che non c’è molta logica nel giudicare, per fare il primo esempio che mi viene in mente, un “Balle spaziali” alla stregua di un “Guerre stellari”… O nel mettere a confronto un “Ace Ventura” e un “Balla coi lupi”… Insomma, se questo specifico racconto è caricaturale o satirico è difficile empatizzare con i protagonisti, non era senz’altro quella l’intenzione. Non avete fatto cenno all’attinenza al tema, alla costruzione della trama, al divertimento o meno che vi ha trasmesso la lettura… Credo che un giudizio, soprattutto di un racconto breve e non solo, vada sempre contestualizzato e non basato su un modello assoluto di racconto ideale che è utopia e anche un errore pensare che esista 😉
Un racconto che affronta tematiche attuali lanciando anche pesanti accuse sulla collusione fra poteri (politico ed economico). Il giudice assolve l’industriale, ma il popolo insorge cercando di dargli una lezione “morale” venendo però sedato, anzi annientato, dal Sistema. Il tema è presente: Pani si sente assolto, ma non lo si è mai veramente quando sono coinvolte le masse e così arriva a trovarsi “quasi” in pericolo di vita. Il racconto è ben controllato anche se forse un po’ troppo lineare. Il punto focale è il confronto fra i due uomini nell’atrio, che però nell’attuale economia degli spazi appare ridotto. Forse il tutto avrebbe avuto maggiore impatto incentrando in toto su quell’immagine facendo uscire le informazioni sul contesto dal dialogo fra i due uomini (ci sarebbe stato spazio per tutto, anche per il Sindaco al piano di sopra). In quest’ottica, probabilmente anche la lettura avrebbe avuto un impatto maggiore mentre allo stato attuale la sensazione con cui la si termina è che sia stato svolto il “compitino” in modo formalmente corretto, ma un poco annacquato. Intendiamoci, il giudizio complessivo è buono, ma i margini di miglioramento (di questo specifico racconto) sono notevoli e le potenzialità espresse solo in parte.
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Questa risposta è stata modificata 10 anni, 1 mese fa da
L'Antico.
Mi accodo alla “velata” critica riguardo alla scelta di nomi non italiani. Il contesto non li giustifica e per scelta personale ritengo che in quanto italiani, quando è possibile, è preferibile portare acqua al nostro mulino. Certo è che se il nome di Jimmy ti si era radicato in testa potevi comunque usarlo inserendolo in un contesto italiano proprio perché ormai i genitori sono soliti dare nomi inglesi. Avresti anche potuto mantenere Dorothy, in quest’ottica, e ti sarebbe bastato cambiare il nome della dottoressa Palmer e inserire una veloce riflessione sulla perdita d’identità collettiva che bene si sarebbe integrata nelle pennellate al presente su cui hai puntato la maggiore attenzione, sarebbe stato anche utile a definire meglio i genitori e quindi Jimmy stesso.
Passando al racconto, molto a effetto l’atmosfera che hai creato intorno al giovane protagonista, velata, quasi poetica. Ottima la bestia feroce che emerge dal passato, fa anche venire un po’ di pelle d’oca. Meno bene il fatto che in fase di racconto risulti un pelo di disequilibrio tale da suggerire da subito il vero colpevole. Forse manca la giusta trattazione del padre, manca quel seminare dubbi che avrebbe reso il percorso verso il finale più “misterioso”. Il giudizio rimane buono, in certi frangenti anche molto buono, ma forse in certi punti emerge quel disequilibrio che avresti potuto moderare dando più spazio agli altri protagonisti della vicenda: il padre e Dorothy. La madre è ok anche se probabilmente avresti potuto lavorare di più su di lei per riflesso al maggiore spazio dato agli altri componenti della famiglia.Il cambio di tempo nell’ultimo paragrafo non mi convince. Ci sono refusi sparsi e mancano delle virgole, incidenti che possono capitare scrivendo di fretta. In ogni caso, il consiglio è di leggere con più attenzione prima di postare, molti di questi errori non passerebbero il setaccio di quella fase. Passando al contenuto, il tema è presente, anche se la storia di questo ragazzo che torna nella sua terra natale e subito incappa, per caso, in quelli che sono stati i suoi aguzzini, non ricordandoselo per la perdita di memoria sopraggiunta in seguito al fatto, non convince appieno. Non c’è un crescendo, il protagonista passa senza agire, il finale non fornisce una chiave di lettura e lascia aperte molte domande. Tutto accade in modo vagamente passivo, quasi determinato. Il consiglio è di bypassare la prima parte, le informazioni lì contenute possono essere inserite facilmente più avanti, e di concentrarsi maggiormente, anche in toto, sull’incontro con i due balordi giocando però di più sulla danza dei loro ammiccamenti reciprochi (“sporcando” da subito la figura del barbiere) e ampliando in tal modo il senso di mistero nel lettore. In poche parole, il focus dovrebbe essere incentrato unicamente su quanto accade dal barbiere, dall’ingresso del protagonista alla sua uscita, giocando molto di più sui sottintesi e sul mistero di quanto sta effettivamente accadendo.
Questa è un’OTTIMA notizia!
Proprio per le problematiche legate ai vincoli con i bimbi (belle, sia chiaro) gli orari di MC si sono fatti via via più ampi e al momento prevedono 4 ore (dalle 21.00 all’una di notte) per racconti raramente sopra i 3000 caratteri (che quindi si possono scrivere anche in un’ora e la cui gestazione è così più facilmente distribuibile nel corso della serata). Quindi… Non hai scusanti e ti aspettiamo tutti nell’Arena!!! 😀
Chi si rivede!!!
Pronto a minuteggiare di nuovo? La prox edizione regolare dovrebbe arrivare a breve! 😉
Il punto di vista di chi ha commesso un atto atroce e ne paga le conseguenze per il resto della vita. Ottimo l’esordio con la descrizione in toni pacati e rassicuranti del luogo mentale in cui il protagonista cerca di fuggire. Poi l’ombra, il trick subito manifesto (il nome è chiaro) del doppelganger e l’insinuazione di qualcosa che non torna. Infine la realtà, il rimorso, l’impossibilità della fuga più che dalle istituzioni, da se stessi. Ho trovato poco chiara la questione di chi è stato assassinato. Certo, la bambina rappresenta la coscienza di Julian che assume i tratti della madre, ma l’impressione è che lì sia tutto troppo metaforico. Inoltre, avrei puntato più direttamente all’assassinio di una bambina vera che non della madre o magari della moglie e della figlia, tanto per stare in sintonia con i fatti di cronaca attuali.
Minuti Contati serve anche a quello, a darti la scarica di adrenalina alla creatività e portarti a creare storie che poi potrai riprendere e allargare. Hai fatto un ottimo lavoro Viviana, certo il difetto può essere quello, ma magari per qualcuno non lo sarà (le teste sono tante e anche le idee e i punti di vista).
In particolare sono molto curioso di saperne di più su quest’uomo in grado di convincere riguardo a un diverso passato e capace di costruirne di personalizzati: è un’idea vincente che merita un racconto anche nell’ordine dei 30000 caratteri, tanto per iniziare. Nel caso veda la luce, mi piacerebbe leggerlo!
Ottimo lo stile, avvinghia subito il lettore grazie al suo essere diretto e senza fronzoli. Mancano dialoghi, ma chi se ne frega, non se ne sente la mancanza. C’è però un grosso divario fra prima parte (avvincente, completa, ben condotta) e seconda parte (necessariamente frettolosa per concludere quando invece, come l’autrice stessa sottolinea, avrebbe avuto bisogno di spazio maggiore per esprimere tutte le proprie potenzialità). Vero, ciò che vuol essere è espresso (bellissima la considerazione con cui si chiude il racconto “l’uomo rispetta solo le storie di cui è il personaggio principale”), ma rimane in superficie e il finale risulta, di conseguenza troppo “leggero” e “accennato” rispetto a quanto precede. La risultante è un disequilibrio fra le parti che non giova al giudizio finale. Certo è che le potenzialità dell’idea, unite allo stile dell’autrice, sono elevate e che il consiglio è di rielaborare il tutto senza limiti di caratteri a limitarlo.
Racconto formalmente corretto, si legge bene, l’autrice dimostra controllo. Il problema è che “ci va troppo leggera”. Per colpire nel segno avrebbe dovuto sferrare un pugno diretto allo stomaco del lettore, mettere maggiormente in contrasto i giovani d’oggi (perché è lì che vuole colpire) con quelli del passato, la facile protesta troppo spesso vista come occasione per “fare qualcosa di diverso” (da molti, perlomeno) con la vera protesta nata dal non avere niente o poco. In più qui c’è l’ingrediente dell’Olocausto, sempre drammaticamente delicato da toccare perché molto si è detto e se se ne vuol parlare lo si deve fare con una prospettiva e un linguaggio e una forza nuovi e diversi. Poi c’è il tema delle relazioni intergenerazionali con la madre che sceglie la facile via del rinchiudere l’anziano padre (nonno del protagonista) in una casa di riposo. E, ancora, c’è l’ingrediente dell’aggeggio un poco fantascientifico che, però, poco è legato al resto del racconto presentandosi alla fine per chiuderlo, ma riducendosi così a mero artificio, poco sviluppato ai sensi della trama. Insomma, c’è tanta roba, troppa. Si legge bene grazie alla capacità narrativa dell’autrice, cosa che però non è sufficiente a sorreggere l’impianto della storia.
“Estrapolati e leggiti, come se fossi tu il tuo destinatario.” (cit. The Beps)
Vero, ma nei limiti. Ci si rivolge comunque sempre all’esterno e nella marea di offerta che c’è lo si deve conoscere per emergere. Quindi ok affidarsi al proprio lettore interiore, ma sempre con il corretto atteggiamento critico, pena il rischio di passare inosservati. La giusta via sta sempre nel giusto mix d’ingredienti e l’asticella non va posta troppo da una parte, ma neppure dall’altra.
Premetto che non ho ancora letto il racconto, Enrico, ripasserò per il commento ;).
Quando leggo la parola zombie mi si rizzano le antenne e spesso vengo colto da un inizio di attacco d’orticaria, ormai è un cliché pari ai vampiri e il rischio è di leggere sempre qualcosa di riciclato o, peggio, inutilmente banale. Poi il tuo errabondo protagonista è arrivato alla bicicletta e ho capito che non sarebbe stato questo il caso. Molto bella quella scena, con le reminiscenze dal passato che emergono dando una parvenza d’umanità al mostro. Ma non ti fermi qui e, conscio del vero messaggio di cui è portatrice la letteratura zombie, introduci nel finale i mostri veri e propri: gli umani. La chiusa è perfetta: non c’è salvezza per nessuno e le tre pallottole rimaste vanno usate indistintamente. Il tema è presente, il passato si manifesta sia nei “ricordi” dello zombie che nei comportamenti reiterati degli uomini, non si sfugge, quello siamo e quello rimaniamo. Un consiglio per un’eventuale rielaborazione: fornisci, sparse qua e là, informazioni anche sul protagonista, contribuirebbero a dare maggiore respiro al testo e in generale lo miglioreresti perché un poco se ne sente la mancanza. Ed elimina le D eufoniche! 😉 Detto questo, il mio giudizio è decisamente positivo: complimenti.
Accetto la sfida 😉
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