Un guasto, un imprevisto, determina una decisione importante, uno sliding doors capace di segnare una vita. Una storia dipinta nella nebbia dei pensieri, in quel breve attimo fra un’azione e l’altra.
La pelle che riveste il bracciolo del mio sedile è un po’ scucita sotto, e il filo di spago che svolazza mi solletica la pelle. Poggio il braccio sopra, per tenerlo fermo. Il caldo è infernale. La donna a fianco a me si alza, e si solleva sulle punte per afferrare la valigia sul portapacchi. A ogni suo movimento si ravviva l’odore forte di sandalo e tabacco che aleggia nello scompartimento. Mi alzo per aiutarla, mentre il treno arriva in stazione. La frenata spinge la donna contro il mio petto. Arrossiamo entrambi per quel contatto imprevisto. «Grazie», mi dice abbassando lo sguardo. Torno a sedermi sulla poltrona mentre il rumore dei suoi tacchi si indebolisce. Dal finestrino la riconosco, stretta tra le braccia di un’altra donna. Chiudo gli occhi, ripensando all’ultimo abbraccio di Gloria, prima che partissi per questa maledetta guerra. Il nome di Gloria si impasta tra le gocce di sudore che ormai scivolano veloci sul collo. La camicia che ho trovato al mercato è troppo pesante, ho dovuto accontentarmi, non ci si può permettere di trattare quando la merce di scambio che si cede è una divisa dell’esercito astroandino. Non sono ancora riuscito ad abituarmi a questo caldo insopportabile, ma ora non importa più. Tra poche ore sarò in città, vedrò dove mi porterà il prossimo treno.
Il convoglio è ancora fermo, la banchina ora è vuota. Mi sporgo dal finestrino, l’orologio segna già l’una e un quarto, che diavolo stiamo aspettando? Il rumore di tacchi nel corridoio scandisce l’impazienza degli altri viaggiatori. Da chi stanno scappando, loro? Un controllore entra nello scompartimento per avvertirmi che a causa di un guasto il treno ripartirà con un ritardo non ancora definito. Per scusarsi del disagio, mi offre dell’acqua. Cerco di dissipare l’aria circospetta dal mio volto e gli sorrido, prendendo il bicchiere dalle sue mani. Mi osserva mentre bevo, forse si è accorto che sono straniero. Gli restituisco il bicchiere vuoto, cercando ancora una volta di sorridere e di nascondere la parola DISERTORE che mi lampeggia sulla fronte. Lui torna nel corridoio, con l’aria poco convinta. La caligine mi entra dentro, mi sento soffocare. Non posso aspettare qui che vengano a prendermi, a torturarmi. Devo scendere dal treno, continuerò a fingermi sordo. Andrò a piedi. O aspetterò fino al prossimo treno. Mi nasconderò. Troverò un granaio per ripararmi. O un fucile per cancellare dalla mia memoria i volti di quei civili innocenti. Gloria, non aspettarmi.
Un treno, una donna, il caldo opprimente di una non precisata stagione. E poi la paura e i tormenti della coscienza. Forse il più banale dei guasti: un treno fermo sui binari. Racconto ambizioso, di non immediata fruibilità, molto ben scritto e capace in pochi tratti di penna di inquadrare il dramma interiore del protagonista.
Grazie mille Dario! È stata proprio una bella edizione, tema stuzzicante e atmosfera adrenalinica. Grazie!