Il primo racconto selezionato nel Laboratorio dell’Antico. Il gusto di qualcosa di nuovo, la determinazione nel farlo, la follia che ottenebra qualunque giustizia.
Tornava verso la strada, verso la luce. Camminava con calma, la testa alta, il respiro tranquillo. Tutto bene, tutto sotto controllo. Si immaginava bello, alto, composto nel maglione di lana blu pesante, coi capelli lunghi, biondi, appena arruffati dall’umidità della nebbia e della sera: un eroe senza tempo, il divo di un film che nessuno doveva vedere.
Non era stato difficile: accostarsi a lei con una scusa, sorridere, giocare con i capelli biondi e con le mani larghe, forti, sempre piaciute alle donne. Un brivido inconsueto, uno sguardo persistente oltre la buona educazione, una richiesta che sapeva apparire quasi imbarazzata, ma non timida. Le donne detestano la debolezza.
Sulla macchina c’erano rimasti poco, il tempo di qualche sorso da una bottiglia, qualche bacio ancora sfuggente. Poi le cose erano precipitate, lei aveva cominciato a capire che non ci sarebbe stato un lieto fine, aveva cercato di scappare (stupida), ma dove? Intorno non c’era nessuno e, se anche qualcuno fosse passato, la nebbia e il buio avrebbero fatto la loro parte. Le aveva infilato uno straccio in bocca e con il coltello l’aveva spinta ad avanzare verso l’oscurità e la nebbia fitta.
Ora lui tornava verso la strada, verso la luce, con calma. Tutto bene. Sarebbe morta presto, dissanguata o per il freddo o per la paura. Nessuno l’avrebbe trovata, almeno per quella notte. Era soddisfatto. Ciò che doveva fare l’aveva fatto, lui c’era riuscito, mica come tutti quei cagasotto dei suoi amici. Aveva desiderato uccidere e l’aveva fatto. Si riempì i polmoni di nebbia, spostò indietro i capelli. Sorrise a se stesso, nel buio.
E poi accadde. Pensò alla ragazza, sdraiata là dietro, nel campo. Anzi non pensò la ragazza davvero, pensò solo ai suoi occhi, a com’erano diventati morendo. E’ solo una curiosità che mi voglio togliere, si disse, voglio fare tutto stasera. Si girò e ritornò verso il buio, sopra i suoi stessi passi, ma ora camminava più veloce, e il respiro tradiva un’ansia che non sapeva da dove fosse sbucata, all’improvviso.
La intravide in mezzo alle sterpaglie. Gli sembrò che si fosse mossa, appena un po’. A passi lunghi si avvicinò e vide che si era portata una mano sul petto, come a ripararsi, e chissà che fatica le era costato, quel gesto. Intorno c’era tanto sangue, e vide che i piedi erano storti, all’infuori: quel particolare stupido lo colpì, gliela fece rivedere viva, calda, eccitata, e ora era ridotta un burattino, fragile e senza più senso. E così accadde. Le guardò gli occhi. Erano feroci, spalancati. Provò insieme il terrore di essere scrutato e la pietà che non si aspettava. Accadde così: si avvicinò di più agli occhi della ragazza, di più, finché vide che era morta, e gli dispiacque. Non durò più di tre, quattro secondi. Poi si rialzò e la pietà scomparve.
Fu allora che un capello biondo si impigliò nel bottone della giacca di lei, e lì ostinato rimase, mentre pioggia e tempo distruggevano ogni altra traccia.