Tutti gli ingredienti per un romanzo di successo in un racconto di 3000 caratteri. Angelo Frascella ci presenta un urban fantasy dalle tinte decisamente oscure.
Pedalo da ore, i muscoli mi chiedono di rallentare e, poiché non li accontento, decidono di farlo per conto loro. Non appena l’illuminazione inizia a calare, Ciro mi urla: «Sei stupido, Elio? Vuoi che gli inquilini del buio ci inghiottano?»
Mi sforzo, ma le gambe non obbediscono. Elena, invece, sembra ancora fresca, nonostante abbia sette anni contro i miei nove. Ma la mia promessa sposa è sempre stata più robusta di me.
«Omar, dagli il cambio» mi concede Ciro. Elena scuote la testa con disprezzo e, per sottolineare il concetto, sputa per terra. Non saremo mai una bella coppia. Io amo Nadia, ma Ciro l’ha scelta per sé. Il figlio di due piccoletti come voi sarebbe un fuscello inutile, mi ha detto.
Guardo i miei compagni, raccolti attorno alla lampadina. Alcuni dormono, altri siedono in silenzio. Ai margini della zona d’ombra, Apollo osserva, con occhi socchiusi, la moglie allattare la loro bimba. Gli mancano un paio di mesi alla maggiore età, ma l’intolleranza alla luce è già cominciata. Sta quasi tutto il giorno nascosto sotto una coperta. È lui che si è preso cura di me, quando i miei sono diventati parte delle ombre. Fra poco toccherà a lui.
Gli siedo accanto, cercando di non pensare a quanto è vicino il buio.
«Come stai oggi?»
«Bene» la voce somiglia, sempre di più, al raspare di una sega, «almeno finché guardo mia figlia. La chiameremo Maria Sole, sai? Quando sarà adulta, lei non diverrà parte dell’ombra.»
Vorrei abbracciarlo, ma la sua pelle è fredda come una notte d’inverno, così mi limito ad annuire.
In quello stesso istante la luce diviene fioca. Faccio in tempo a vedere Elena che si accascia sul sellino, prima che tutto diventi buio. Aliti freddi mi passano accanto, rapidi. Spero non tocchi a me. Sento un urlo e quando la luce ritorna, la moglie di Apollo è in lacrime e le sue braccia sono vuote.
«Maria Sole!» geme Apollo, gettandosi nelle tenebre.
Con lo sguardo, cerco Ciro: è l’unico che potrebbe aiutarlo, ma ha preso il posto di Elena che giace, svenuta, ai suoi piedi.
Senza pensarci, allora, mi getto all’inseguimento del mio amico. Nadia mi chiama, ma è troppo tardi, non vedo più nulla e mi sento afferrare per un braccio. Una mano gelida. Un odore che conosco.
«Elio, che fai qui?»
È la voce di mio padre. Vorrei aggrapparmi a lui e non mollarlo più, ma dico solo: «Volevo aiutare Apollo.»
«Lui si sta trasformando e inizia a vedere al buio, ma tu sei alla mercé dei nemici.»
Ho da chiedergli tante cose, ma la più urgente ha la precedenza: «Chi sono i nemici, papà?»
«Non l’hai capito? Adulti, come noi, ma di altre tribù.»
«Perché ci rapiscono?»
«I più forti rafforzeranno le tribù dei loro figli. Con gli altri, li nutriranno.»
Ecco da dove arrivano i nostri pasti: uno spasmo mi scuote le viscere. La mano gelida di papà mi accarezza la testa e mi spinge verso il cerchio di luce.
Appena sono in salvo, Nadia mi abbraccia. «Io non diventerò parte del buio, vero?» le dico con voce spezzata.
«Certo che no. I tuoi lo sapevano. Per questo ti hanno chiamato Elio.»
Idea originale. Inizio folgorante che fa sorgere immediatamente delle domande. I personaggi bambini sono ben tratteggiati, mi piace questa oscurità di fondo in contrasto con il nome di Maria Sole: la speranza che alla fine viene strappata. A tratti la narrazione è un po’ nebulosa, sicuramente a causa delle poche battute a disposizione.