Quando una porta sembra chiusa servono occhi entusiasti per capire come aprirla. Un racconto di Beppe Roncari.
Lucia girava e rigirava intorno al cerchio di pietre. Correva, si fermava, tornava indietro, controllava, ricontrollava. Non c’erano dubbi: era così!
«Piano!» Le gridò una voce.
«Sì, zio!» Rispose la bambina. E riprese a correre.
Lo zio sedette su una roccia bassa. Chissà che cosa significava per sua nipote quello sfiancante andirivieni? Quando aveva deciso di portarla lì sperava di risvegliare in lei la sua stessa passione per l’archeologia… Inutile. Non ricordava forse che la cosa che le era piaciuta di più del British Museum era stata rincorrere come una forsennata suo cugino Brian per le sale?
In fondo, che giocasse pure. Anche lui, da bambino, sognava che il bastone fosse una spada e infinite avventure contro nemici di felce e d’ortica… Rigirò fra le mani il bastone da passeggio. Quanti ricordi! Com’è che non ci aveva mai più pensato, da allora?
«Uffa! Non si muove!» La bambina batté i piedi per terra. Poi riprese a spingere contro la parete di pietra, alta cinque volte più di lei.
«Che succede, Lucia?»
La bimba corse da lui: «Zio! Le porte non si muovono!»
«Credi che le pietre siano porte?»
«Ma ovvio che erano porte! Che altro credevi che erano?»
Lo zio sorrise alla scelta di tempi verbali della nipotina. Prima di farle imparare l’inglese, forse, sarebbe stato il caso d’insegnarle meglio l’italiano.
«Beh, gli archeologi pensano che siano un calendario di pietra, oppure…»
«Uffa, zio! Ti dico che erano porte! Non ce li hai gli occhi per guardare?»
Lo zio sospirò. Gli occhi gli caddero sul bastone. Per un attimo, solo un attimo, fu sicuro che il bastone fosse una spada! Ma poi scosse la testa, strizzò gli occhi e li rivolse sul viso corrucciato di Lucia, così grazioso, quando si arrabbiava.
«E perché sarebbero porte?»
«Uffa, non mi piace quando mi tratti così!»
«Come?»
«Come una bambina!»
Lo zio annuì. Aveva ragione. Si era lasciato prendere dalla sciocca condiscendenza con cui gli adulti parlano ai bambini, come fossero dei ritardati o l’assistente vocale del computer.
«Scusa.» Le disse. «Gli occhi dello zio sono come le sue gambe, che hanno bisogno di un bastone.»
«Ma tu mica porti gli occhiali!»
«No. Ma certe cose non riesco più a vederle…» Si alzò, facendo schioccare la schiena. «Vuoi aiutarmi?»
La bambina sorrise e si presero per mano.
Lo condusse al dolmen più vicino e gli indicò dei segni a V alla sua base. «Vedi?»
Lo zio scosse la testa.
«Aspetta.»
Lo tirò dall’altra parte, al megalite successivo. E di nuovo indicò la base col ditino. «Vedi?»
Lo zio stava già per scuotere di nuovo il capo quando… «Ehi! Ma c’erano dei segni a V anche su quella roccia!»
«Visto?» Disse lieta Lucia. «E non è finita qui… Sono segni uguali! Identici!»
Riprese lo zio per la mano. E lui si lasciò condurre, avanti e indietro, pietra dopo pietra: su ogni coppia di megaliti opposti si trovavano solchi diversi, ma sempre identici, a due a due.
«Lucia, sai che nessuno l’aveva mai notato? Da grande diventerai una grande archeologa. Chissà che significa?»
«Uffa! Io mica voglio diventare grande, se poi divento stupida come te!»
«Come me?»
«Sì. Te l’ho già detto che significa! Sono porte! Porte scorrevoli! Anzi» abbracciò con un gesto tutto il cerchio di pietre «porte girevoli, come quelle dell’Ikea! Ma non si muovono! Mi aiuti, zio?»
E si mise a spingere forte forte, col suo corpicino di bambina, contro la “porta” più vicina.
Ma un’altra porta doveva schiudersi affinché lo zio si mettesse ad aiutarla. Era arrugginita, le sue guide un po’ storte, sbeccate, come quelle pietre millenarie. Ma a che serve una porta, se non viene mai aperta?
E, facendo leva sulla roccia col bastone, lo zio spinse con tutte le sue forze…
E i dolmen presero a girare. Bastava poco, una volta attivato il meccanismo. Il sole tornò indietro, la terra risucchiò l’alba, nella notte sorse il tramonto, per mille, diecimila, ventimila volte, fino a che i segni a V si toccarono. Combaciavano perfettamente.
Lucia guardò felice verso suo zio. Ma non c’era più. Al suo posto, c’era un bimbo come lei, dai tratti vagamente famigliari. E nel pugno stringeva una spada. La estrasse dalla base della porta di pietra. La roccia era liscia, levigata. Come nuova.
Lucia sorrise. Si presero per mano: «Vieni a giocare?»