Tradire, disilludere le attese, abbandonare o semplicemente accantonare per un periodo senza pensare che la propria libertà andrà sempre e inevitabilmente a urtare quella altrui. Un racconto di Raffaele Marra.
“Il buio, il freddo, la nebbia. Poco tempo. La velocità.”
Tom guardò nello specchietto retrovisore, come aveva visto fare mille volte a Bob, poi tornò a fissare il parabrezza, su cui la campagna nasceva, volava e moriva in pochi attimi.
“La strada. Troppo lunga. Bob e Greta saranno in pensiero per me.”
Il piede pigiò sull’acceleratore nonostante la notte, l’asfalto sconnesso, e la scarsa visibilità. Gli occhi indugiarono qualche secondo sull’orologio.
“La notte di Natale. Non me lo perdoneranno mai.”
Tom strizzò gli occhi, sperando di riuscire a vedere più in là di qualche metro. In effetti la nebbia parve diradarsi. Ma il mondo, là fuori, non era più come si aspettava.
“Il buio, il freddo, la nebbia. E il mare.”
Tom, spaventato, rallentò rapidamente. Era su un ponte.
Cosa diavolo ci faceva su un ponte? E cosa diavolo ci faceva quel ponte su quella strada?
Sbatté le palpebre e guardò ancora nello specchietto retrovisore. Il ponte, una lingua rettilinea di asfalto nuovo, si perdeva nel buio. L’auto rallentò fino a fermarsi. Anche davanti a lui non c’era altro che quella striscia stretta e, a sinistra e a destra di essa, il mare.
“L’acqua, il mare, l’oceano.”
Ebbe paura. Aveva sbagliato strada, forse. Ma un ponte così non lo aveva mai visto. Ed era certo di trovarsi a non meno di cinquanta miglia dalla costa più vicina.
Osservò la strada: non c’erano barriere laterali. E non c’era spazio a sufficienza per svoltare. Si chiese come avesse fatto a correre fino a lì senza cadere in acqua. E come avesse fatto a imboccare quel dannatissimo ponte.
La paura si tramutò in angoscia.
Riprese a camminare, avanzando dapprima lentamente, poi sempre più veloce. Ovunque fosse, qualunque fosse stato il suo errore, qualunque fosse il luogo dove portava quel ponte, non desiderava altro che superarlo e tornare sulla terra ferma. Corse per molto tempo, ma lo scenario non mutò mai. Il ponte pareva infinito.
Fermò il motore e scese dalla macchina. Aveva voglia di piangere. Pensò a Greta e a Bob che, senza di lui, non avrebbero festeggiato il loro Natale. Sentiva il cuore battere forte, un insistente, indicibile, assordante rombare che sommergeva il lontano fruscio di quel mare calmo e nero.
Si guardò intorno, nella notte senza stelle, e gemette sgomento. Quindi tornò in auto e, disperato, riprese la sua corsa nella medesima direzione.
«Ok, possiamo andare» disse Bob spegnendo le luci.
«Era ora. Non mi piace viaggiare di notte» precisò Greta mettendosi a braccetto.
Bob sorrise a sua moglie, aprì la porta e la accompagnò fuori. Prima di chiudere, lanciò un ultimo sguardo a Tom, sulla poltrona.
«Ma che effetto gli fa?» chiese la donna intuendo i suoi dubbi. Bob si impose di rassicurarla.
«Lo stand-by? Dev’essere una specie di attesa. Si riposa, si ricarica e, soprattutto, non ce lo troviamo tra i piedi anche in vacanza.»
Greta rise. La porta si chiuse.
«Allora buon Natale», concluse Bob alzandosi il bavero.
La donna non rispose. Scesero le scale in silenzio e non parlarono più del loro automa.