Luca Pagnini


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  • in risposta a: [S] Vecchio leone #9522
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
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    Infatti, anche per me è molto meglio non metterli proprio, te l’avevo fatto notare perché in questo racconto ne hai inseriti molti, ma se non li usi, come non detto. :)

    in risposta a: Gruppo SILENZIO: Lista racconti ammessi e vostre classifiche #9486
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    L’amico immaginario, di Flavia Imperi

    Racconto interessante che purtroppo soffre troppo i limiti imposti da MC. A mio parere infatti sono stati inseriti nel testo degli elementi molto importanti che non dovrebbero restare in sospeso, tipo (dato che il ritrovamento del bambolotto è casuale), quale fosse il patto tra i fratelli e, soprattutto, perché il fratello assassina la zia (e comunque si rivela malvagio). Capisco che un horror non si sarebbe potuto sviluppare in maniera diversa, ma al lettore servono più dettagli altrimenti sembrano scene gratuite ad effetto fini a se stesse. Segnalo poi una stonatura nella trama che in sede di riscrittura, secondo me, andrebbe tolta, mi riferisco a quell’ecografia così importante ritrovata con il latte sul fornello (quindi in cucina o nei pressi). Direi che un parto siamese difficilmente può restare segreto, ma, se lo è stato, allora va motivato anche questo punto. Lo stile della narrazione è adatto al genere scelto, direi che con almeno il triplo di caratteri ne uscirà un bel racconto. Per quanto riguarda MC, non sono convinto che il tema sia stato centrato, perché a dimenticare è la sorella, mentre lo stato mentale della madre (causato dal parto?) entra di diritto tra i dettagli da chiarire.

     

    Philip Morris, di Enrico

    Più che di genitori sbagliati, mi pare che in questo racconto di sbagliato ci sia il partner. A parte questo direi che la narrazione scorre dritta senza intoppi fino alla conclusione, anche troppo senza intoppi. L’incontro, la seduzione, l’amplesso, la gravidanza, l’abbandono, l’aborto… tutto troppo scontato. In definitiva il racconto è scritto molto bene, ma è davvero troppo semplice, sia come trama che come sviluppo, come la foto scattata ad arte di un paesaggio stra-conosciuto, bella ma il paesaggio resta sempre quello. Il pdv della protagonista è stato reso bene, ma la trama  o la narrazione avrebbe bisogno di qualche “scatto” in più (tipo la “Volkswagen bianca di qualche anno prima”) e molti stereotipi di meno (il bello coi riccioli e i tatuaggi, per dire).

     

    Eppure era chiusa, di Damiano Garofalo

    La scelta della narrazione in prima persona al presente è rischiosa, perché si rischia di scrivere dettagli ininfluenti e scordarne altri, che ovviamente il soggetto narrante conosce bene, molto importanti. Per questo, in sede di riscrittura, dovresti spiegare meglio i passaggi su Emilio e quello sul cane randagio e l’avvocato, se si inseriscono degli elementi è bene che siano chiari al lettore, anche se sono solo elementi di contorno. A parte questa considerazione che riguarda lo stile, nello sviluppare la scena hai inserito un dato che fa cadere tutta l’aspettativa, almeno io infatti stento davvero a immaginarmi un bambino di 11 mesi che scavalca una finestra. Certo, tutto è possibile, ma se fosse un bambino di 5 anni il dubbio non mi sarebbe neanche sorto, invece così, questo semplice dettaglio, mi ha fatto scomparire in un attimo la sospensione dell’incredulità, con il risultato finale che il racconto ha perso efficacia. Non sono certo che il tema sia stato centrato, perché a essere dimenticata è la finestra aperta, e non Albertino.

     

    Vecchio Leone, di Charlesdexter

    Il racconto non ha grandi spunti, soprattutto perché si basa su uno stereotipo (il ricco puttaniere) mantenuto tale fino alla fine. Se non altro però il finale, proprio perché mantiene il punto, evita una caduta di stile (l’eventuale redenzione) che sarebbe stata per me davvero letale. Un paio di appunti, il primo stilistico: se proprio devi inserire i verbi del parlato (ma se provi a toglierli vedrai che il testo scorrerà di più senza togliere nulla alla comprensione dei fatti), cerca di usare qualche sinonimo in sostituzioni dei soliti “disse”, “chiese” e “rispose” (informò, valutò, considerò, ribatté, ecc. ecc.), ci sono case editrici che dopo il terzo “disse” in poche righe sospendono la lettura. Il secondo è giusto un dettaglio che non toglie nulla alla trama ma che dovresti comunque correggere perché nella realtà un dettaglio non lo è: l’intubazione, chi la subisce non può parlare. Racconto leggero, tema centrato.

     

    Errori di gioventù, di Manuel Piredda

    Obiettivo inquadrato e centrato. Il soggetto è semplice, ma il finale funziona, e siccome tutto si regge sul finale, almeno per me il racconto stesso funziona. Personalmente stavo quasi per interrompere la lettura da quanto fosse noiosa, questo dimostra come tu sia riuscito a nascondere bene il succo di tutto. Ho avuto un dubbio, che c’era qualcosa dietro a tutte quelle banalità, quando lei cita i 14 anni, in quel momento mi è stato chiaro che ciò che sembrava essere in realtà era solo un’esca, il fatto però che l’indizio sia arrivato solo tre righi prima della rivelazione finale, non mi ha dato il tempo di pensarci a fondo e quindi pericolo scampato. Appunti: rivedrei la frase finale in modo che Tamagotchi sia l’ultimissima parola; toglierei un paio d’anni ai 14, perché parlando ancora di scuola (quinta superiore?) vorrebbe dire che: o i due ragazzi sono pluriripetenti (e ci sta, ma non ce n’è traccia nel testo) oppure Sara ha iniziato a badare al pulcino a circa 5 anni (e mi sembrano davvero pochi, anche per le nuove generazioni).

     

    Fantasma, di Simone Cassia

    Racconto per me riuscito a metà, perché se è innegabilmente scritto bene, si nutre troppo su qualcosa che nel racconto non c’è, qualcosa (la storia di Onoda) demandata alle conoscenze sull’argomento che si suppone il lettore abbia, quando invece non è affatto possibile dare per scontate. Se infatti faccio finta di non sapere nulla del ritrovamento del soldato Onoda, mi sorgono forti dubbi sulla storia narrata. Per esempio, se il soldato ha avuto degli incontri e gli è stato paracadutato del materiale, com’è possibile che l’abbiano convinto prima che la guerra era finita da anni? Non me lo ricordo, e ci sta che nella realtà sia andata davvero così, ma nelle cronache ci saranno state anche le spiegazioni sul perché Onoda non “abboccava” ai messaggi, spiegazioni che qui mancano e quindi, per me lettore inconsapevole, ci sono parti intere che non hanno senso o quasi. Figlio dimenticato (e ritrovato) da un’intera nazione, il tema c’è.

     

    Pianeti, di Gianantonio Nuvolone

    Ammiro sempre chi si cimenta, in MC, con la fantascienza, purtroppo però devo dire che solo raramente ho letto dei racconti che alla fine non mi abbiano lasciato un senso di incompiuto, questo semplicemente perché di solito la sf ha bisogno di molti più caratteri e tempo di quelli concessi da MC per spiegare una realtà che, fino a quel momento, esisteva solo nella testa dell’autore. Anche in questo caso l’idea, sebbene non nuova, è interessante, peccato che alla fine si resti con tanti, troppi perché. Il racconto va quindi ampliato per spiegare, per esempio: la missione con meno parole ma più fatti (show, don’t tell); perché qualcuno si è preso la briga di non avvisare prima gli astronauti della guerra e perché allora il messaggio finale; perché gli affetti dovrebbero peggiorare lo stato psico-emotivo peggio della mancanza degli stessi; perché c’è stata una guerra… Insomma, di lavoro ce n’è tanto. A parte questo c’è, almeno per me, anche un grosso problema di stile, periodi lunghi come questi “L’unica ragion d’essere sua e dell’equipaggio consisteva, raggiunta l’orbita di Plutone, nella perlustrazione a distanza della superficie di un pianeta del sistema solare che forse già gli antichi Caldei avevano presentito e contemplato nell’elaborazione delle previsioni astrologiche che riguardavano i destini degli uomini” o “Solo a dodici ore dal previsto ritorno sulla Terra accadde qualcosa di sconcertante agli occhi dell’equipaggio: i canali di comunicazione privati con i parenti nascosti sotto un’atmosfera sempre più prossima furono improvvisamente tagliati e un blackout audio-video di poco più di un’ora sprofondò nello sconforto e nell’ansia più atroci gli uomini di Metraton-V”, con punteggiatura al limite e pieni di aggettivi e avverbi superflui, non aiutano la lettura e, a volte, nemmeno la comprensione dei fatti narrati, tanto che personalmente ho dovuto rileggere diverse parti. Ora, che abbia dovuto rileggere non è un dato oggettivo, perché potrei essere solo un po’ duro io, però ti consiglio di tenerne conto, perché ogni lettore porta comunque con sé una verità che ti può tornare utile. In conclusione, questo racconto può avere un futuro, a patto di asciugarlo nella forma e allargarlo nello sviluppo del soggetto. Il tema non mi pare azzeccato, chi sono i figli dimenticati?

     

    Non ne ho idea, di Marco Lomonaco

    Racconto con un soggetto interessante che, secondo me, forse funzionerebbe meglio con un’altra struttura e, di sicuro, con molti più dettagli sulla realtà narrata, in letteratura va bene tutto, anzi, però non si può mescolare a caso solo per sorprendere, una logica, sia pur surreale, deve esserci. Al di là dei gusti personali, la barzelletta prende troppo spazio, anzitutto perché, come nel mio caso, potrebbe essere nota al lettore e quindi sembrare quasi un riempitivo, ma anche non lo fosse (nota), dovrebbe avere una funzione di richiamo come la citazione di un film e le citazioni si limitano a poche frasi significative e non alla riproposizione di un’intera scena. Partendo da questo, lo spazio guadagnato potrebbe essere utilizzato per mostrare (magari con dei flashback) sprazzi della vita della “coppia” che ha generato Chiara e il mondo (chiaramente fantasy) in cui vivono. Da spiegare, infine, la motivazione che porta la ragazza a uccidere colui che, al di là di tutto, è comunque suo padre. Da lavorarci e non abbandonare. Tema certamente centrato.

     

    L’ultimo respiro, di Valter Carignano

    Il racconto è scritto molto bene, però a mio parere ha due limiti, il primo non è di per sé importante e sarebbe la mancanza di originalità, il secondo invece è determinante ed è l’elencazione piatta con cui vengono eliminati, ad uno ad uno, tutti gli Dei senza coinvolgere il lettore in ciò che sta accadendo. In pratica alla fine mi pare di aver letto solo un mini riassunto sull’Olimpo, utile per imparare un po’ di mitologia, ma anche noioso. Molto più interessante e coinvolgente, per me, sarebbe stato se la stessa storia si fosse svelata pian piano, magari con qualche personaggio in meno e, soprattutto, con qualche azione in più. Butto lì a mo’ di esempio: Ares che muore davvero in un duello, oppure Artemide in una battuta al cinghiale, Afrodite in un baccanale. E’ vero che i caratteri sono pochi, però così la storia è veramente compressa nell’ultima frase di Zeus, con tutto il resto a semplice elenco di premessa. Niente da dire da dire sullo stile, la lettura scorre sempre bene. Tema preso e affondato.

     

    Oggetti smarriti, di Stefano Pastor

    Racconto assolutamente piacevole, ben strutturato e ben “gestito”. Fino alla fine pensavo in qualcosa di “magico”, quindi il finale oltremodo realistico è stato davvero una sorpresa. Nel merito ti segnalo solo la frase finale che, almeno a me, è suonata superflua e, forse addirittura, nociva. Una sceneggiata del genere non mi sembra possa essere figlia di un accordo temporaneo e casuale, ma di un gruppo ben affiatato e funzionante, per cui la divisione del malloppo va bene, ma il “ciascuno per la sua strada” mi stona con quanto letto prima. Tema centrato dal primo rigo.

     

    ***************

    Ho letto di polemiche e abbandoni, vi assicuro che la forza di MC non sta nella classifica finale (anche se fa piacere) ma nell’occasione di avere almeno 10/12 lettori attenti che useranno parte del loro tempo per spiegare cosa c’è che va o non va in ciò che hanno letto, in pratica, oro.

    Detto questo, ecco la mia classifica:

     

    (1) Oggetti smarriti, di Stefano Pastor

    (2) Errori di gioventù, di Manuel Piredda

    (3) L’amico immaginario, di Flavia Imperi

    (4) Vecchio Leone, di Charlesdexter

    (5) Fantasma, di Simone Cassia

    (6) L’ultimo respiro, di Valter Carreggiano

    (7) Eppure era chiusa, di Damiano Garofalo

    (8) Philip Morris, di Enrico Nottoli

    (9) Non ne ho idea, di Marco Lomonaco

    (10) Pianeti, di Gianantonio Nuvolone

     

     

    in risposta a: [S] Oggetti smarriti, di Stefano Pastor #9483
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Stefano!

     

    Racconto assolutamente piacevole, ben strutturato e ben “gestito”. Fino alla fine pensavo in qualcosa di “magico”, quindi il finale oltremodo realistico è stato davvero una sorpresa. Nel merito ti segnalo solo la frase finale che, almeno a me, è suonata superflua e, forse addirittura, nociva. Una sceneggiata del genere non mi sembra possa essere figlia di un accordo temporaneo e casuale, ma di un gruppo ben affiatato e funzionante, per cui la divisione del malloppo va bene, ma il “ciascuno per la sua strada” mi stona con quanto letto prima. Tema centrato dal primo rigo.

    Alla prossima!

     

    PS Appena posso ti mando la foto dello scaffale di Feltrinelli dove si trovavano i nostri libri nel dicembre 2012. :)

    in risposta a: [S] L’ultimo respiro (di Valter Carignano) #9480
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Valter!

    Il racconto è scritto molto bene, però a mio parere ha due limiti, il primo non è di per sé importante e sarebbe la mancanza di originalità, il secondo invece è determinante ed è l’elencazione piatta con cui vengono eliminati, ad uno ad uno, tutti gli Dei senza coinvolgere il lettore in ciò che sta accadendo. In pratica alla fine mi pare di aver letto solo un mini riassunto sull’Olimpo, utile per imparare un po’ di mitologia, ma anche noioso. Molto più interessante e coinvolgente, per me, sarebbe stato se la stessa storia si fosse svelata pian piano, magari con qualche personaggio in meno e, soprattutto, con qualche azione in più, come hai fatto all’inizio con Pan. Butto lì a mo’ di esempio: Ares che muore davvero in un duello, oppure Artemide in una battuta al cinghiale, Afrodite in un baccanale. E’ vero che i caratteri sono pochi, però così la storia è veramente compressa nell’inizio e nell’ultima frase di Zeus, con tutto il resto a semplice elenco tipo pagina dei necrologi. Niente da dire da dire sullo stile, la lettura scorre sempre bene. Tema preso e affondato.

    Alla prossima!

    • Questa risposta è stata modificata 9 anni, 9 mesi fa da Luca Pagnini Luca Pagnini.
    in risposta a: [S] Errori di gioventù – Manuel Piredda #9479
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Manuel!

    Obiettivo inquadrato e centrato. Il soggetto è semplice, ma il finale funziona, e siccome tutto si regge sul finale, almeno per me il racconto stesso funziona. Personalmente stavo quasi per interrompere la lettura da quanto fosse noiosa, questo dimostra come tu sia riuscito a nascondere bene il succo di tutto. Ho avuto un dubbio, che c’era qualcosa dietro a tutte quelle banalità, quando lei cita i 14 anni, in quel momento mi è stato chiaro che ciò che sembrava essere in realtà era solo un’esca, il fatto però che l’indizio sia arrivato solo tre righi prima della rivelazione finale, non mi ha dato il tempo di pensarci a fondo e quindi pericolo scampato. Appunti: rivedrei la frase finale in modo che Tamagotchi sia l’ultimissima parola; toglierei un paio d’anni ai 14, perché parlando ancora di scuola (quinta superiore?) vorrebbe dire che: o i due ragazzi sono pluriripetenti (e ci sta, ma non ce n’è traccia nel testo) oppure Sara ha iniziato a badare al pulcino a circa 5 anni (e mi sembrano davvero pochi, anche per le nuove generazioni).

    A rileggersi!

    in risposta a: [S] Philip Morris #9478
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Enrico!

    Più che di genitori sbagliati, mi pare che in questo racconto di sbagliato ci sia il partner. A parte questo direi che la narrazione scorre dritta senza intoppi fino alla conclusione, anche troppo senza intoppi. L’incontro, la seduzione, l’amplesso, la gravidanza, l’abbandono, l’aborto… tutto troppo scontato. In definitiva il racconto è scritto molto bene, ma è davvero troppo semplice, sia come trama che come sviluppo, come la foto scattata ad arte di un paesaggio stra-conosciuto, bella ma il paesaggio resta sempre quello. Il pdv della protagonista è stato reso bene, ma la trama  o la narrazione avrebbe bisogno di qualche “scatto” in più (tipo la “Volkswagen bianca di qualche anno prima”) e molti stereotipi di meno (il bello coi riccioli e i tatuaggi, per dire).

    Alla prossima!

    in risposta a: [S] Eppure era chiusa #9476
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Damiano!

    Il  flusso di coscienza, ovvero la scelta della narrazione in prima persona al presente, è pericolosa, perché si rischia di scrivere dettagli ininfluenti e scordarne altri, che il soggetto narrante conosce bene, molto importanti (vedi la finestra chiusa ma non chiusa che però non sembra affatto una dimenticanza dell’autore, ma del protagonista, e ci sta). Per questo, per esempio, in sede di riscrittura dovresti spiegare meglio anche altri passaggi tipo quelli su chi siano Emilio e l’avvocato, perché se si inseriscono degli elementi è bene che siano chiari al lettore, anche se sono solo di contorno. A parte questa considerazione che riguarda lo stile, nello sviluppare la scena hai inserito un dato che fa cadere tutta l’aspettativa, almeno io infatti stento davvero a immaginarmi un bambino di 11 mesi che scavalca una finestra. Certo, tutto è possibile, ma se fosse un bambino di 5 anni il dubbio non mi sarebbe neanche sorto, invece così, questo semplice dettaglio, mi ha fatto scomparire in un attimo la sospensione dell’incredulità, con il risultato finale che il racconto ha perso efficacia. Non sono certo che il tema sia stato centrato, perché a essere dimenticata è la finestra aperta, e non Albertino.

    A rileggersi!

    • Questa risposta è stata modificata 9 anni, 9 mesi fa da Luca Pagnini Luca Pagnini.
    in risposta a: [S] L’amico immaginario #9475
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Flavia!

    Racconto interessante che purtroppo soffre troppo i limiti imposti da MC. A mio parere infatti sono stati inseriti nel testo degli elementi molto importanti che non dovrebbero restare in sospeso, tipo (dato che il ritrovamento del bambolotto è casuale) quale fosse il patto tra i fratelli e, soprattutto, perché il fratello assassina la zia (e comunque si rivela malvagio). Capisco che un horror non si sarebbe potuto sviluppare in maniera diversa, ma al lettore servono più dettagli altrimenti sembrano scene gratuite ad effetto fini a se stesse. Segnalo poi una stonatura nella trama che in sede di riscrittura, secondo me, andrebbe tolta, mi riferisco a quell’ecografia così importante ritrovata con il latte sul fornello (quindi in cucina o nei pressi). Direi che un parto siamese difficilmente può restare segreto, ma, se lo è stato, allora va motivato anche questo punto. Lo stile della narrazione è adatto al genere scelto, direi che con almeno il triplo di caratteri ne uscirà un bel racconto. Per quanto riguarda MC, non sono convinto che il tema sia stato centrato, perché a dimenticare è la sorella, mentre lo stato mentale della madre (causato dal parto?) entra di diritto tra i dettagli da chiarire.

    A rileggersi!

    in risposta a: [S] Non ne ho idea #9474
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

     

    Ciao Marco!

    Racconto con un soggetto interessante che, secondo me, forse funzionerebbe meglio con un’altra struttura e, di sicuro, con molti più dettagli sulla realtà narrata, in letteratura va bene tutto, anzi, però non si può mescolare a caso solo per sorprendere, una logica, sia pur surreale, deve esserci. Al di là dei gusti personali, la barzelletta prende troppo spazio, anzitutto perché, come nel mio caso, potrebbe essere nota al lettore e quindi sembrare quasi un riempitivo, ma anche non lo fosse (nota), dovrebbe avere una funzione di richiamo come la citazione di un film e le citazioni si limitano a poche frasi significative e non alla riproposizione di un’intera scena. Partendo da questo, lo spazio guadagnato potrebbe essere utilizzato per mostrare (magari con dei flashback) sprazzi della vita della “coppia” che ha generato Chiara e il mondo (chiaramente fantasy) in cui vivono. Da spiegare, infine, la motivazione che porta la ragazza a uccidere colui che, al di là di tutto, è comunque suo padre. Da lavorarci e non abbandonare. Tema certamente centrato.

    A rileggersi!

    in risposta a: [S] Vecchio leone #9473
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Dexter!

    Il racconto non ha grandi spunti, soprattutto perché si basa su uno stereotipo (il ricco puttaniere) mantenuto tale fino alla fine. Se non altro però il finale, proprio perché mantiene il punto, evita una caduta di stile (l’eventuale redenzione) che sarebbe stata per me davvero letale. Un paio di appunti, il primo stilistico: se proprio devi inserire i verbi del parlato (ma se provi a toglierli vedrai che il testo scorrerà di più senza togliere nulla alla comprensione dei fatti), cerca di usare qualche sinonimo in sostituzioni dei soliti “disse”, “chiese” e “rispose” (informò, valutò, considerò, ribatté, ecc. ecc.), ci sono case editrici che dopo il terzo “disse” in poche righe sospendono la lettura. Il secondo è giusto un dettaglio che non toglie nulla alla trama ma che dovresti comunque correggere perché nella realtà un dettaglio non lo è: l’intubazione, chi la subisce non può parlare. Racconto leggero, tema centrato.

    A rileggersi!

     

    in risposta a: [S] Pianeti #9472
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Gianantonio!

    Ammiro sempre chi si cimenta, in MC, con la fantascienza, purtroppo però devo dire che solo raramente ho letto dei racconti che alla fine non mi abbiano lasciato un senso di incompiuto, questo semplicemente perché di solito la sf ha bisogno di molti più caratteri e tempo di quelli concessi da MC per spiegare una realtà che, fino a quel momento, esisteva solo nella testa dell’autore. Anche in questo caso l’idea, sebbene non nuova, è interessante, peccato che alla fine si resti con tanti, troppi perché. Il racconto va quindi ampliato per spiegare, per esempio: la missione con meno parole ma più fatti (show, don’t tell); perché qualcuno si è preso la briga di non avvisare prima gli astronauti della guerra e perché allora il messaggio finale; perché gli affetti dovrebbero peggiorare lo stato psico-emotivo peggio della mancanza degli stessi; perché c’è stata una guerra… Insomma, di lavoro ce n’è tanto. A parte questo c’è, almeno per me, anche un grosso problema di stile, periodi lunghi come questi “L’unica ragion d’essere sua e dell’equipaggio consisteva, raggiunta l’orbita di Plutone, nella perlustrazione a distanza della superficie di un pianeta del sistema solare che forse già gli antichi Caldei avevano presentito e contemplato nell’elaborazione delle previsioni astrologiche che riguardavano i destini degli uomini” o “Solo a dodici ore dal previsto ritorno sulla Terra accadde qualcosa di sconcertante agli occhi dell’equipaggio: i canali di comunicazione privati con i parenti nascosti sotto un’atmosfera sempre più prossima furono improvvisamente tagliati e un blackout audio-video di poco più di un’ora sprofondò nello sconforto e nell’ansia più atroci gli uomini di Metraton-V”, con punteggiatura al limite e pieni di aggettivi e avverbi superflui, non aiutano la lettura e, a volte, nemmeno la comprensione dei fatti narrati, tanto che personalmente ho dovuto rileggere diverse parti. Ora, che abbia dovuto rileggere non è un dato oggettivo, perché potrei essere solo un po’ duro io, però ti consiglio di tenerne conto, perché ogni lettore porta comunque con sé una verità che ti può tornare utile. In conclusione, questo racconto può avere un futuro, a patto di asciugarlo nella forma e allargarlo nello sviluppo del soggetto. Il tema non mi pare azzeccato, chi sono i figli dimenticati?

    Alla prossima!

    in risposta a: [S] Fantasma #9471
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Simone!

    Racconto per me riuscito a metà, perché se è innegabilmente scritto bene, si nutre troppo su qualcosa che nel racconto non c’è, qualcosa (la storia di Onoda) demandata alle conoscenze sull’argomento che si suppone il lettore abbia, quando invece non è affatto possibile dare per scontate. Se infatti faccio finta di non sapere nulla del ritrovamento del soldato Onoda, mi sorgono forti dubbi sulla storia narrata. Per esempio, se il soldato ha avuto degli incontri e gli è stato paracadutato del materiale, com’è possibile che l’abbiano convinto prima che la guerra era finita da anni? Non me lo ricordo, e ci sta che nella realtà sia andata davvero così, ma nelle cronache ci saranno state anche le spiegazioni sul perché Onoda non “abboccava” ai messaggi, spiegazioni che qui mancano e quindi, per me lettore inconsapevole, ci sono parti intere che non hanno senso o quasi. Figlio dimenticato (e ritrovato) da un’intera nazione, il tema c’è.

    Alla prossima!

     

    in risposta a: [S] L’essenza della vita #9444
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ringrazio tutti per i commenti, purtroppo ora sono armato solo di smartphone, sabato  da casa risponderò anche se saremo già fuori limite.

    in risposta a: [E] La lezione #8595
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    E grazie anche a Luana, L’Antico ed Enrico  per lettura e commenti. :)

    Purtroppo mi sono accorto che il finale aveva bisogno di qualche parola in più quando il tempo era ormai esaurito, trovarle al volo coerenti con il tutto non era facile e ho dovuto fare una scelta… ma questo è MC, bellezza. 😉

    Grazie all’Antico per l’opportunità, e chissà che nella mia prossima raccolta… :)

    • Questa risposta è stata modificata 9 anni, 10 mesi fa da Luca Pagnini Luca Pagnini.
    • Questa risposta è stata modificata 9 anni, 10 mesi fa da Luca Pagnini Luca Pagnini.
    in risposta a: [V] La nuda verità #8358
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Non c’entro nulla con questo gruppo, ma avevo 5 minuti… :)

    Bravo il nostro Beppe, molto bravo, il racconto mi è piaciuto moltissimo, però… però… lasciamo stare, va’, non voglio influenzare i tuoi lettori di gruppo. 😉

    A presto!

    Lp

    in risposta a: [E] La lezione #8357
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Grazie a tutti per i commenti. 😀

    Per la pendola vi rimando a quando avranno commentato anche gli altri. 😉

    Grazie di nuovo e a presto!

    Lp

    in risposta a: [E] Routine cromatica #8355
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao!
    Trovo questo racconto completo e ben realizzato, quindi sottolineerò soltanto un paio di dettagli. Il primo è un appunto negativo su un elemento dell’ambiente: la televisione. Se l’hai messa un motivo ce l’hai avuto di sicuro, io però non l’ho colto, quindi mi sembra un oggetto che invece di dare qualcosa al racconto la toglie. Questo perché semplicemente nella televisione immagino passerebbero programmi, tipo i tg, che riporterebbero il protagonista nel mondo reale e questo, alla luce (sic!) del finale, mi stona. Il secondo invece è un apprezzamento sulle foto che, oltre a starci molto bene scenograficamente, sono state un ottimo espediente per indicare al lettore il passaggio del tempo da “giovane di bell’aspetto” a uomo con la lunga barba incanutita. Poi il finale, ecco, l’idea è sicuramente buona, però ti consiglierei di lavorarci un pochino per trovare, magari libero dall’obbligo dei 3000 caratteri, un’immagine altrettanto efficace ma meno didascalica. Tema centrato, racconto ottimo.

    in risposta a: [E] 26-14-11… #8354
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Luana!
    Stavolta inizio proprio dal primissimo rigo, il titolo: che significa? Ho cercato la spiegazione nel testo ma mi sono arreso, sono tardo io o non c’è (la spiegazione)? Te lo chiedo perché a volte il titolo viene troppo sottovalutato, invece per me è molto importante e ancor di più lo è in un contesto come MC. Qui ogni parola scritta ha un suo peso e quella/quelle del titolo a volte hanno valore doppio. Spesso la chiave del racconto sta addirittura tutta nel titolo, ora, questo non è certo un obbligo, però se il titolo non è immediatamente decifrabile (alla fine della lettura) siamo davanti a un difetto da risolvere. Ma veniamo al racconto vero e proprio. Buona l’ambientazione, forse un po’ troppo ricca di aggettivi, ma descritta bene e in tema con la vicenda narrata. In generale il testo si potrebbe asciugare un po’ rendendo la lettura più scorrevole, sono dettagli che però fanno tanto, del tipo da “Cadde in ginocchio, la spada piantata nel terreno morbido davanti a lui” a “Cadde in ginocchio, la spada piantata nel terreno”, oppure da “impegnato a tenersi le budella che gli fuoriuscivano da uno squarcio sul ventre” a “impegnato a tenersi le budella dal ventre squarciato”. Gli improvvisi passaggi della narrazione dalla terza persona alla seconda non mi dispiacciono, però andrebbero curati meglio perché portano il lettore su un piano colloquiale che, secondo me, questa storia non richiede (anche per colpa dell’obbligata brevità). Nel soggetto troviamo invece, a mio parere, il difetto maggiore: la vicenda è semplice e chiara ma avrei sacrificato qualche carattere della descrizione per impiegarlo in un paio di dettagli sul contesto, che è archetipico ma un po’ troppo astratto. Tema assolto, prova discreta.

    in risposta a: [E] La finestra al primo piano_ Enrico Nottoli #8353
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Enrico!
    Ultimo racconto in lettura (per me) e altra voce narrante in prima persona (6 su 12, non mi era mai successo). In questo caso la scelta mi pare azzeccata in pieno, un racconto così narrato in terza persona avrebbe avuto molto meno successo. Diciamo che questo lo potrei portare come esempio di corretta scelta in funzione dell’obiettivo da centrare: non vi racconterò mirabilia, ma ve le racconterò bene e con lo stile appropriato. La tecnica ha funzionato così bene che  l’immedesimazione col protagonista arriva al di là del vissuto del lettore, che abbia o meno avuto un’esperienza del genere nella propria vita. Anche la chiusura mi è piaciuta, niente colpo di scena eclatante, ma semplice e funzionale descrizione di una possibile realtà. La luce qui s’è spenta, ma non per lui. Racconto integro.

    in risposta a: [E] Luce-Giulio Marchese #8352
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Giulio!
    Addentrandoti nella fantascienza hai scelto una via già di per sé molto impervia e pericolosa, per il tempo e i caratteri di MC un po’ troppo impervia e davvero troppo pericolosa. In così poco spazio sei stato costretto a spiegarci troppe cose e, come ben saprai, se c’è una cosa che uccide la narrativa è il raccontare invece del mostrare. Inoltre, in questo caso, la realtà che hai creato è così complessa che, probabilmente, non ti sarebbero bastati neanche il doppio dei caratteri per illustrarla. Alla fine di sicuro mi hai incuriosito, ma il risultato non è stato all’altezza dell’aspettativa. Non starò quindi ha elencarti le cose che per me non tornano o che avrebbero bisogno di più spazio, diciamo che, in generale, tutto il racconto può salire di livello ampliandolo al di fuori di MC. La luce c’è, peccato non sia chiaro “il buio”.

    in risposta a: [E] Se solo avessi – Adriano Muzzi #8351
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Adriano!
    In un racconto “epistolare” come questo, secondo me, ciò che conta sopra ogni cosa, anche sopra agli avvenimenti narrati, è lo stile usato. Purtroppo in questo caso il tentativo non mi ha soddisfatto, perché se la vicenda sarebbe riuscita a toccarmi, lo stile usato mi ci ha allontanato. La scelta della narrazione in prima persona forse è l’elemento determinante: un narratore esterno che raccontasse gli stessi eventi usando termini come “obnubilante” e “ignavia”, o frasi come “una frenata stridula e odori metallici nauseanti”, forse sarebbe da encomiare (andrebbe comunque visto il risultato complessivo); di sicuro gli stessi termini e frasi, usati da un padre che si rivolge direttamente a un figlio morto in un incidente di cui si ritiene corresponsabile, hanno avuto su di me l’effetto contrario. Anzi, di più, l’uso di tale linguaggio in prima persona ha annullato la mia sospensione dell’incredulità, di conseguenza mentre leggevo non partecipavo alla sofferenza del padre, ma consideravo quanto fosse colto l’autore. Tema azzeccato e racconto con potenziale, ma espresso in maniera inadeguata.

    in risposta a: [E] Alla deriva #8350
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Alberto!
    Racconto da manuale, a cui devo solo fare i complimenti. Ottima la descrizione della situazione, dei personaggi e degli eventi. Il soggetto è minimalista, non c’è dubbio, ma è stato scritto bene e in maniera esauriente, elementi affatto scontati quando si parla di MC. Il finale mi è parso scontato, ma anche l’inverso (lo scozzese che si mangia gatto e, forse, padrone) lo sarebbe stato, quindi niente da dire. Ci sono racconti, come questo, in cui conta molto di più rendere viva la scena per il lettore che narrare fatti” eclatanti. Bello il tema accarezzato per metafora, racconto che starebbe tranquillamente incastonato in qualcosa di più ampio.

    in risposta a: [E] I giganti_Sharon Galano #8349
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Sharon!
    Partiamo dai pregi: mi è molto piaciuta l’accuratezza con cui è stata costruita la scena, i colori, i suoni, gli oggetti. Buona anche la resa dell’attesa. Non ho capito la scena della preghiera, spazio che non dà un grande contributo al personaggio e nessuno alla trama, quindi avrebbe potuto essere usato meglio; non lo considero un vero difetto perché è solo una questione di miei gusti. Per quanto riguarda i difetti più concreti: intanto la trama, è davvero troppo semplice. Come ho detto l’attesa è ricostruita bene, ma alla fine resta davvero poco altro. Non ci sono scosse e anche il finale non rende bene perché è inserito a sorpresa ma completamente scollegato con ciò che è scritto poco prima: “Vado alla casa in fondo al vialetto con l’intenzione di chiedere a quella donna cosa sia successo a mio padre dall’ultima volta che l’ha visto, se ha notizie di lui”, quindi va per chiedere e finisce per entrare, ma perché? Il colpo di scena è certamente un colpo di scena ma se avessi scritto che era un extraterrestre sarebbe stato uguale, ma se al lettore non era stata data la possibilità di capire prima che Tizio era un ET (anche rileggendo una volta avuta la rivelazione) allora siamo davanti a una scorciatoia che andrebbe evitata. Un altro appunto lo faccio sulla (in)coerenza dei tempi: da quello che scrivi si capisce che dalla fuga del padre sono passati 40 mesi  (al massimo, se il pacchetto era pieno), un po’ troppo pochi per non ricordarsi il volto del genitore, no? (“Ogni sera attendo di riconoscere il suo volto in mezzo a quello degli altri. Spero di ricordare quanto basti…”)
    Per quanto riguarda lo stile, niente da dire, la lettura fluisce bene. Ti segnalo questa frase perché leggendola mi ha fatto sorridere: “Guardo l’immaginetta che mi sorride in modo dolce. L’uomo che chiude la porta alle sue spalle… ecc. ecc.” Che ci fa un uomo dietro all’immaginetta? Tema individuato, racconto con potenziale.

    in risposta a: [E] “Un oscuro pellegrinaggio”, di Francesco Iorio #8348
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Francesco!
    Sono in difficoltà perché valutare questo tipo di racconti è, per me, sempre un problema. Qui non abbiamo un inizio, uno svolgimento e una fine, abbiamo un tutt’uno che rimanda a immagini e impressioni, nascondendo però troppe cose. Sorvoliamo sul chi è la protagonista perché è davvero un dettaglio, ma sapere cosa sta succedendo sarebbe importante (almeno per me), cioè capire almeno se il viaggio di cui stiamo leggendo c’è o è solo una metafora. Tra l’altro all’inizio la protagonista dice che stava camminando «da un’apparente infinità di tempo per quella landa desolata che qualcuno aveva imparato a chiamare “casa”», ma dopo si ritrova a camminare «da tanto tempo senza una meta precisa, ma nella mappa impressa nella mia testa sapevo esattamente dove dovermi dirigere. Era un percorso mentale che conduceva in quel fantastico luogo che avevo scoperto di poter chiamare “casa”», quindi è dissociata o cosa? Al mistero del soggetto narrato, si aggiunge lo stile con cui scrivi, per me troppo “pesante”. Frasi come “Nessuno in questo mondo dovrebbe essere così importante per noi da vedere noi stessi attraverso i suoi occhi, da negarci la possibilità di amare noi per primi” mi hanno costretto alla rilettura e, al di là di quella che potrebbe essere una mia deficienza, la mancanza di scene mostrate e non raccontate rende la lettura davvero lenta. Anche  l’uso degli aggettivi (perché scrivere “violente sferzate di vento”, quando “sferzate di vento” rende già l’idea della violenza?) e degli avverbi (sei in –mente in un racconto così breve sono davvero tanti) non aiuta. Non avendo capito il soggetto, non sono in grado di dire se il tema sia stato preso o meno, un oscuro pellegrinaggio per me troppo oscuro.

    in risposta a: [E] Continua a credere in quella luce #8347
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Filippo!
    Racconto scritto bene (tranne che per la minuzia della torta che “si era un poco disintegrata”: lo stato di disintegrazione non permette vie di mezzo, qualcosa disintegrato o lo è o non lo è, termini come poco, molto, abbastanza, ecc. non hanno senso), anche se la scelta del dialogo diretto con la madre a mio parere ha tolto molta potenzialità al testo. Magari un’alternanza tra dialogo e pdv esterno avrebbe dato più “colore” alla narrazione, anche in un testo obbligatoriamente così breve. Sul soggetto non c’è molto da dire, sembra quasi un esercizio di stile: la vicenda è chiara quasi da subito, ma l’accostamento con Cappuccetto rosso, sebbene non nuovo, funziona. Non ci sono colpi scena, ecco, forse un finale diverso, totalmente inaspettato, avrebbe dato quel tocco in più per renderlo davvero unico. Ultimo suggerimento: cambierei il titolo, troppo esplicito. Il tema c’è, prova riuscita.

    in risposta a: [E] Dolly #8345
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Emiliano!
    Non ho molto da osservare, il racconto si lascia leggere, scorre senza intoppi né linguistici, né di trama, ma forse proprio questo è il suo limite. Intanto dai troppo presto delle indicazioni che dicono chiaramente dove andremo a parare (“Le ragazze che ha contattato trovano le scuse più assurde, parlano di rumori e presenze.”) e questo toglie gran parte dell’aspettativa sul colpo di scena finale che, secondo me, in questo tipo di racconti basati sulla suspense, soprattutto quando sono così brevi, deve restare alta fino all’ultimo rigo, o quasi. Poi c’è una mancanza di “movimento” narrativo che se realizzata, oltre a far rispettare il dettato “show, don’t tell”, avrebbe distolto l’attenzione dalla rivelazione finale informando il lettore su altri aspetti. A mo’ di esempio (ma potresti usare qualsiasi altra tecnica), avresti potuto andare avanti e indietro nel tempo descrivendo (e non raccontando) piccoli sprazzi di vita quotidiana del cane e del suo padrone, così da mostrare ciò che era quella casa prima della dipartita dell’uomo. Sul piano stilistico ci sono frasi un po’ lunghe che, per gusto personale, trovo pesanti (Perché “Non si accorge che qualcuno la osserva da dietro un vetro posto all’interno di una cornice di legno poggiata su di un comodino accanto al letto” invece di una più diretta, per esempio, “Non s’accorge di qualcuno che l’osserva da una foto poggiata sul comodino”?). La luce accesa c’è, testo con potenzialità.

    in risposta a: [E] ossessione #8344
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Alessandro!
    Purtroppo per me il tuo racconto ha troppe cose che non vanno. Intanto la storia rimanda a qualcosa di letto e riletto, ma il limite maggiore non è tanto questo, quanto la mancanza di chiarezza. Capisco che il flusso di coscienza sia molto difficile da gestire, ma, proprio per questo, se l’autore decide di farne uso deve impegnarsi a guidare la lettura in modo che dal testo possa trasparire lo stesso (senza dirlo esplicitamente) tutto ciò che il lettore dovrebbe capire e sapere: dal cosa sta accadendo, al dove, eccetera. In questo caso, invece, il flusso di coscienza mi è parso solo un espediente per riempire la pagina di parole che, in gran parte, danno al lettore poche informazioni importanti. In un contesto come quello di MC, questo è un limite molto pesante. Personalmente alla fine non ho capito se è tutto un delirio o se è un delirio a metà, se c’è stato un omicidio e quando, se il frigo esiste e, se esiste, come mai il protagonista lo può andare a controllare quando, dato per scontato che gli ”angeli” siano l’unica cosa reale assieme all’ago (anche se lui non lo sente, quindi non si capisce come faccia poi a parlarne), si suppone stia tutto accadendo in una specie di manicomio. Troppe domande irrisolte per un racconto solo, anche se siamo a MC. A questo si aggiunge la scelta, per me infelice, di non lasciare i dovuti spazi dopo la punteggiatura. Se la scelta è stata fatta per guadagnare caratteri, forse non ce n’era bisogno, ovvero, il testo è talmente pieno di frasi ridondanti e, a volte, superflue, che bastava qualche taglio e i 3000 caratteri sarebbero stati salvi; se invece la scelta fosse stilistica, allora, al di là del fatto che sarebbe parziale, visto che alcuni spazi sono stati rispettati, non la condivido perché non dà al lettore nessun aiuto, anzi, rende la lettura difficoltosa, disagio che andrebbe assolutamente evitato. Il tema c’è, ma lo spunto è debole.

    in risposta a: Gruppo ELVIRA: Lista racconti ammessi e vostre classifiche #8343
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Salve a tutti!

    I mei commenti…

    Ossessione, di Alessandro Duino
    Purtroppo per me il tuo racconto ha troppe cose che non vanno. Intanto la storia rimanda a qualcosa di letto e riletto, ma il limite maggiore non è tanto questo, quanto la mancanza di chiarezza. Capisco che il flusso di coscienza sia molto difficile da gestire, ma, proprio per questo, se l’autore decide di farne uso deve impegnarsi a guidare la lettura in modo che dal testo possa trasparire lo stesso (senza dirlo esplicitamente) tutto ciò che il lettore dovrebbe capire e sapere: dal cosa sta accadendo, al dove, eccetera. In questo caso, invece, il flusso di coscienza mi è parso solo un espediente per riempire la pagina di parole che, in gran parte, danno al lettore poche informazioni importanti. In un contesto come quello di MC, questo è un limite molto pesante. Personalmente alla fine non ho capito se è tutto un delirio o se è un delirio a metà, se c’è stato un omicidio e quando, se il frigo esiste e, se esiste, come mai il protagonista lo può andare a controllare quando, dato per scontato che gli ”angeli” siano l’unica cosa reale assieme all’ago (anche se lui non lo sente, quindi non si capisce come faccia poi a parlarne), si suppone stia tutto accadendo in una specie di manicomio. Troppe domande irrisolte per un racconto solo, anche se siamo a MC. A questo si aggiunge la scelta, per me infelice, di non lasciare i dovuti spazi dopo la punteggiatura. Se la scelta è stata fatta per guadagnare caratteri, forse non ce n’era bisogno, ovvero, il testo è talmente pieno di frasi ridondanti e, a volte, superflue, che bastava qualche taglio e i 3000 caratteri sarebbero stati salvi; se invece la scelta fosse stilistica, allora, al di là del fatto che sarebbe parziale, visto che alcuni spazi sono stati rispettati, non la condivido perché non dà al lettore nessun aiuto, anzi, rende la lettura difficoltosa, disagio che andrebbe assolutamente evitato. Il tema c’è, ma lo spunto è debole.

    26-14-11, di Luana Mazzi
    Stavolta inizio proprio dal primissimo rigo, il titolo: che significa? Ho cercato la spiegazione nel testo ma mi sono arreso, sono tardo io o non c’è (la spiegazione)? Te lo chiedo perché a volte il titolo viene troppo sottovalutato, invece per me è molto importante e ancor di più lo è in un contesto come MC. Qui ogni parola scritta ha un suo peso e quella/quelle del titolo a volte hanno valore doppio. Spesso la chiave del racconto sta addirittura tutta nel titolo, ora, questo non è certo un obbligo, però se il titolo non è immediatamente decifrabile (alla fine della lettura) siamo davanti a un difetto da risolvere. Ma veniamo al racconto vero e proprio. Buona l’ambientazione, forse un po’ troppo ricca di aggettivi, ma descritta bene e in tema con la vicenda narrata. In generale il testo si potrebbe asciugare un po’ rendendo la lettura più scorrevole, sono dettagli che però fanno tanto, del tipo da “Cadde in ginocchio, la spada piantata nel terreno morbido davanti a lui” a “Cadde in ginocchio, la spada piantata nel terreno”, oppure da “impegnato a tenersi le budella che gli fuoriuscivano da uno squarcio sul ventre” a “impegnato a tenersi le budella dal ventre squarciato”. Gli improvvisi passaggi della narrazione dalla terza persona alla seconda non mi dispiacciono, però andrebbero curati meglio perché portano il lettore su un piano colloquiale che, secondo me, questa storia non richiede (anche per colpa dell’obbligata brevità). Nel soggetto troviamo invece, a mio parere, il difetto maggiore: la vicenda è semplice e chiara ma avrei sacrificato qualche carattere della descrizione per impiegarlo in un paio di dettagli sul contesto, che è archetipico ma un po’ troppo astratto. Tema assolto, prova discreta.

    Dolly, di Emiliano Grisostolo
    Non ho molto da osservare, il racconto si lascia leggere, scorre senza intoppi né linguistici, né di trama, ma forse proprio questo è il suo limite. Intanto dai troppo presto delle indicazioni che dicono chiaramente dove andremo a parare (“Le ragazze che ha contattato trovano le scuse più assurde, parlano di rumori e presenze.”) e questo toglie gran parte dell’aspettativa sul colpo di scena finale che, secondo me, in questo tipo di racconti basati sulla suspense, soprattutto quando sono così brevi, deve restare alta fino all’ultimo rigo, o quasi. Poi c’è una mancanza di “movimento” narrativo che se realizzata, oltre a far rispettare il dettato “show, don’t tell”, avrebbe distolto l’attenzione dalla rivelazione finale informando il lettore su altri aspetti. A mo’ di esempio (ma potresti usare qualsiasi altra tecnica), avresti potuto andare avanti e indietro nel tempo descrivendo (e non raccontando) piccoli sprazzi di vita quotidiana del cane e del suo padrone, così da mostrare ciò che era quella casa prima della dipartita dell’uomo. Sul piano stilistico ci sono frasi un po’ lunghe che, per gusto personale, trovo pesanti (Perché “Non si accorge che qualcuno la osserva da dietro un vetro posto all’interno di una cornice di legno poggiata su di un comodino accanto al letto” invece di una più diretta, per esempio, “Non s’accorge di qualcuno che l’osserva da una foto poggiata sul comodino”?). La luce accesa c’è, testo con potenzialità.

    Routine cromatica, di invernomuto
    Trovo questo racconto completo e ben realizzato, quindi sottolineerò soltanto un paio di dettagli. Il primo è un appunto negativo su un elemento dell’ambiente: la televisione. Se l’hai messa un motivo ce l’hai avuto di sicuro, io però non l’ho colto, quindi mi sembra un oggetto che invece di dare qualcosa al racconto la toglie. Questo perché semplicemente nella televisione immagino passerebbero programmi, tipo i tg, che riporterebbero il protagonista nel mondo reale e questo, alla luce (sic!) del finale, mi stona. Il secondo invece è un apprezzamento sulle foto che, oltre a starci molto bene scenograficamente, sono state un ottimo espediente per indicare al lettore il passaggio del tempo da “giovane di bell’aspetto” a uomo con la lunga barba incanutita. Poi il finale, ecco, l’idea è sicuramente buona, però ti consiglierei di lavorarci un pochino per trovare, magari libero dall’obbligo dei 3000 caratteri, un’immagine altrettanto efficace ma meno didascalica. Tema centrato, racconto ottimo.

    Continua a credere in quella luce, di Filippo Puddu
    Racconto scritto bene (tranne che per la minuzia della torta che “si era un poco disintegrata”: lo stato di disintegrazione non permette vie di mezzo, qualcosa disintegrato o lo è o non lo è, termini come poco, molto, abbastanza, ecc. non hanno senso), anche se la scelta del dialogo diretto con la madre a mio parere ha tolto molta potenzialità al testo. Magari un’alternanza tra dialogo e pdv esterno avrebbe dato più “colore” alla narrazione, anche in un testo obbligatoriamente così breve. Sul soggetto non c’è molto da dire, sembra quasi un esercizio di stile: la vicenda è chiara quasi da subito, ma l’accostamento con Cappuccetto rosso, sebbene non nuovo, funziona. Non ci sono colpi scena, ecco, forse un finale diverso, totalmente inaspettato, avrebbe dato quel tocco in più per renderlo davvero unico. Ultimo suggerimento: cambierei il titolo, troppo esplicito. Il tema c’è, prova riuscita.

    Un oscuro pellegrinaggio, di Francesco Iorio
    Sono in difficoltà perché valutare questo tipo di racconti è, per me, sempre un problema. Qui non abbiamo un inizio, uno svolgimento e una fine, abbiamo un tutt’uno che rimanda a immagini e impressioni, nascondendo però troppe cose. Sorvoliamo sul chi è la protagonista perché è davvero un dettaglio, ma sapere cosa sta succedendo sarebbe importante (almeno per me), cioè capire almeno se il viaggio di cui stiamo leggendo c’è o è solo una metafora. Tra l’altro all’inizio la protagonista dice che stava camminando «da un’apparente infinità di tempo per quella landa desolata che qualcuno aveva imparato a chiamare “casa”», ma dopo si ritrova a camminare «da tanto tempo senza una meta precisa, ma nella mappa impressa nella mia testa sapevo esattamente dove dovermi dirigere. Era un percorso mentale che conduceva in quel fantastico luogo che avevo scoperto di poter chiamare “casa”», quindi è dissociata o cosa? Al mistero del soggetto narrato, si aggiunge lo stile con cui scrivi, per me troppo “pesante”. Frasi come “Nessuno in questo mondo dovrebbe essere così importante per noi da vedere noi stessi attraverso i suoi occhi, da negarci la possibilità di amare noi per primi” mi hanno costretto alla rilettura e, al di là di quella che potrebbe essere una mia deficienza, la mancanza di scene mostrate e non raccontate rende la lettura davvero lenta. Anche  l’uso degli aggettivi (perché scrivere “violente sferzate di vento”, quando “sferzate di vento” rende già l’idea della violenza?) e degli avverbi (sei in –mente in un racconto così breve sono davvero tanti) non aiuta. Non avendo capito il soggetto, non sono in grado di dire se il tema sia stato preso o meno, un oscuro pellegrinaggio per me troppo oscuro.

    I giganti, di Sharon Galano
    Partiamo dai pregi: mi è molto piaciuta l’accuratezza con cui è stata costruita la scena, i colori, i suoni, gli oggetti. Buona anche la resa dell’attesa. Non ho capito la scena della preghiera, spazio che non dà un grande contributo al personaggio e nessuno alla trama, quindi avrebbe potuto essere usato meglio; non lo considero un vero difetto perché è solo una questione di miei gusti. Per quanto riguarda i difetti più concreti: intanto la trama, è davvero troppo semplice. Come ho detto l’attesa è ricostruita bene, ma alla fine resta davvero poco altro. Non ci sono scosse e anche il finale non rende bene perché è inserito a sorpresa ma completamente scollegato con ciò che è scritto poco prima: “Vado alla casa in fondo al vialetto con l’intenzione di chiedere a quella donna cosa sia successo a mio padre dall’ultima volta che l’ha visto, se ha notizie di lui”, quindi va per chiedere e finisce per entrare, ma perché? Il colpo di scena è certamente un colpo di scena ma se avessi scritto che era un extraterrestre sarebbe stato uguale, ma se al lettore non era stata data la possibilità di capire prima che Tizio era un ET (anche rileggendo una volta avuta la rivelazione) allora siamo davanti a una scorciatoia che andrebbe evitata. Un altro appunto lo faccio sulla (in)coerenza dei tempi: da quello che scrivi si capisce che dalla fuga del padre sono passati 40 mesi  (al massimo, se il pacchetto era pieno), un po’ troppo pochi per non ricordarsi il volto del genitore, no? (“Ogni sera attendo di riconoscere il suo volto in mezzo a quello degli altri. Spero di ricordare quanto basti…”)
    Per quanto riguarda lo stile, niente da dire, la lettura fluisce bene. Ti segnalo questa frase perché leggendola mi ha fatto sorridere: “Guardo l’immaginetta che mi sorride in modo dolce. L’uomo che chiude la porta alle sue spalle… ecc. ecc.” Che ci fa un uomo dietro all’immaginetta? Tema individuato, racconto con potenziale.

    Alla deriva, di Alberto Della Rossa
    Racconto da manuale, a cui devo solo fare i complimenti. Ottima la descrizione della situazione, dei personaggi e degli eventi. Il soggetto è minimalista, non c’è dubbio, ma è stato scritto bene e in maniera esauriente, elementi affatto scontati quando si parla di MC. Il finale mi è parso scontato, ma anche l’inverso (lo scozzese che si mangia gatto e, forse, padrone) lo sarebbe stato, quindi niente da dire. Ci sono racconti, come questo, in cui conta molto di più rendere viva la scena per il lettore che narrare fatti” eclatanti. Bello il tema accarezzato per metafora, racconto che starebbe tranquillamente incastonato in qualcosa di più ampio.

    Se solo avessi, di Adriano Muzzi
    In un racconto “epistolare” come questo, secondo me, ciò che conta sopra ogni cosa, anche sopra agli avvenimenti narrati, è lo stile usato. Purtroppo in questo caso il tentativo non mi ha soddisfatto, perché se la vicenda sarebbe riuscita a toccarmi, lo stile usato mi ci ha allontanato. La scelta della narrazione in prima persona forse è l’elemento determinante: un narratore esterno che raccontasse gli stessi eventi usando termini come “obnubilante” e “ignavia”, o frasi come “una frenata stridula e odori metallici nauseanti”, forse sarebbe da encomiare (andrebbe comunque visto il risultato complessivo); di sicuro gli stessi termini e frasi, usati da un padre che si rivolge direttamente a un figlio morto in un incidente di cui si ritiene corresponsabile, hanno avuto su di me l’effetto contrario. Anzi, di più, l’uso di tale linguaggio in prima persona ha annullato la mia sospensione dell’incredulità, di conseguenza mentre leggevo non partecipavo alla sofferenza del padre, ma consideravo quanto fosse colto l’autore. Tema azzeccato e racconto con potenziale, ma espresso in maniera inadeguata.

    Luce, di Giulio Marchese
    Addentrandoti nella fantascienza hai scelto una via già di per sé molto impervia e pericolosa, per il tempo e i caratteri di MC un po’ troppo impervia e davvero troppo pericolosa. In così poco spazio sei stato costretto a spiegarci troppe cose e, come ben saprai, se c’è una cosa che uccide la narrativa è il raccontare invece del mostrare. Inoltre, in questo caso, la realtà che hai creato è così complessa che, probabilmente, non ti sarebbero bastati neanche il doppio dei caratteri per illustrarla. Alla fine di sicuro mi hai incuriosito, ma il risultato non è stato all’altezza dell’aspettativa. Non starò quindi ha elencarti le cose che per me non tornano o che avrebbero bisogno di più spazio, diciamo che, in generale, tutto il racconto può salire di livello ampliandolo al di fuori di MC. La luce c’è, peccato non sia chiaro “il buio”.

    La finestra al primo piano, di Enrico Nottoli
    Ultimo racconto in lettura (per me) e altra voce narrante in prima persona (6 su 12, non mi era mai successo). In questo caso la scelta mi pare azzeccata in pieno, un racconto così narrato in terza persona avrebbe avuto molto meno successo. Diciamo che questo lo potrei portare come esempio di corretta scelta in funzione dell’obiettivo da centrare: non vi racconterò mirabilia, ma ve le racconterò bene e con lo stile appropriato. La tecnica ha funzionato così bene che  l’immedesimazione col protagonista arriva al di là del vissuto del lettore, che abbia o meno avuto un’esperienza del genere nella propria vita. Anche la chiusura mi è piaciuta, niente colpo di scena eclatante, ma semplice e funzionale descrizione di una possibile realtà. La luce qui s’è spenta, ma non per lui. Racconto integro.

    …e la mia classifica:
    1 – Alla deriva, di Alberto Della Rossa
    2 – Routine cromatica, di invernomuto
    3 – La finestra al primo piano, di Enrico Nottoli
    4 – 26-14-11, di Luana Mazzi
    5 – Se solo avessi, di Adriano Muzzi
    6 – Dolly, di Emiliano Grisostolo
    7 – Continua a credere in quella luce, di Filippo Puddu
    8 – I giganti, di Sharon Galano
    9 – Luce, di Giulio Marchese
    10 – Un oscuro pellegrinaggio, di Francesco Iorio
    11 – Ossessione, di Alessandro Duino

    A presto!

    Lp

    in risposta a: Classifica Finale MC DEMO EDITION #4649
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Esperienza assolutamente positiva, proprio come me la ricordavo. Cercherò di partecpare di nuovo, ma fin qui la mia assenza non era dovuta alla pigrizia (che comunque ho) o, peggio, a snobbismo, ma al fatto che l’unica sera settimanale che ho libera è il mercoledì. Vedremo prossimamente… :)
    Un saluto a tutti e a presto!

    in risposta a: Classifica Finale MC DEMO EDITION #4637
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Anzitutto rinnovo i complimenti a tutti per l’alto livello della competizione, bravi davvero. Poi, grazie ai concorrenti per i giudizi espressi, tutti positivi oltre ogni mia aspettativa, e grazie a L’Antico e al resto del team di MC per l’organizzazione.
    A presto!

    Lp

    in risposta a: Venerdì 12 #4604
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Grazie, Maurizio, commento davvero utile (ma non mi aspettavo niente di meno 😉 ).

    in risposta a: Venerdì 12 #4542
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Lo sai che mi hai dato una bella idea!? Io scrivo anche per il teatro, anzi, ultimamente quasi solo… Grazie! 😉

    in risposta a: Venerdì 12 #4528
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Beppe!
    Grazie del commento molto utile. Mettendo insieme le tue considerazioni e quelle degli altri, soprattutto di Marco, di sicuro vedrò come funzionerebbe il racconto anticipando all’inizio la rivelazione, a quel punto l’attenzione (e la comprensione) dovrebbe essere subito alta. Certo, ci sarebbero altri rischi, ma ci penserò.
    Sulla vita dei personaggi hai pienamente ragione, è troppo normale, ma il punto è proprio quello, in questo caso l’identificazione viene (o meglio, dovrebbe venire) automatica, proprio perchè ciò che è accaduto non è accaduto a degli eroi o a delle persone speciali, ma a gente comune, come noi. Queste che si rifanno alla realtà sono storie un po’ particolari, come il teatro civile di Paolini, nelle quali, secondo me, il succo non sta tanto nell’evento trattato (anche se una bomba in una banca o una montagna che frana in un lago non sono certo eventi ordinari), quanto nel modo stesso di raccontare l’evento e, ovviamente, nel risultato che questo lascia (dovrebbe lasciare) sullo spettatore/lettore.
    Ancora grazie e alla prossima.

    • Questa risposta è stata modificata 10 anni, 1 mese fa da Luca Pagnini Luca Pagnini.
    in risposta a: Venerdì 12 #4521
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Sono assolutamente d’accordo con l’amico Daniele e proprio rispondendo a quella domanda, “quali tra queste informazioni toglieresti perchè inutili?”, non toglierei nulla, perchè questo racconto è basato sull’empatia con il personaggio, ma se il personaggio è solo uno che si chiama Pietro e va in banca, quale empatia potrebbe mai trasmettere? :)
    Sullo scemo non sono d’accordo, perchè certamente non dimostri di esserlo, ma farò comunque tesoro della dritta. 😉

    in risposta a: Venerdì 12 #4494
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    @ Giulio, grazie. :)

    @Marco, intanto grazie per l’analisi e sono contento che tu abbia notato la “finezza” del titolo. :) Sul resto sono assolutamente d’accordo quando scrivi che un racconto deve essere autosufficiente, però sono altrettanto convinto che ci sono, per forza, delle eccezioni quando ci si rifa a fatti storici precisi e conosciuti. In questo caso non avrei mai potuto scrivere qualcosa tipo: “…e a piazza fontana fu messa una bomba che…” ecc. ecc.,  come non scriverei mai “…il 28 aprile 1945 a Giulino, in provincia di Como, Mussolini e la Petacci…” ecc. ecc. Se il lettore non sa di cosa si parla sarà sua cura andare a cercare notizie, anzi, sono convinto che la buona riuscita di racconti come questo sta proprio in ciò che accade nel lettore: se conosce il fatto (come presumo), spero di muovere qualcosa in lui che lo tocchi (com’è successo qui, a quanto pare); se invece, per caso, becco l’unico che non sa di cosa parlo, ma poi va a cercare per informarsi, allora sono ancora più contento, perchè significa che l’ho incuriosito a sufficienza e avremo un “ignorante” in meno; se becco l’unico che non sa e non va a informarsi, cercherò di capire dove ho sbagliato (ma intanto peggio per lui 😉 ).

    Per quanto riguarda l’infodump non sono d’accordo con te perchè in questo caso non mi pare che lo sia. Mi spiego. Almeno io per infodump intendo quelle parti di un brano in cui l’autore invece di far “vedere” una cosa al lettore (soprattutto le azioni) le racconta. Ora, in questo caso quelle che io elenco sono stati d’essere che passano per la testa del personaggio. Certo, avrei potuto anche scrivere “Quella mattina Pietro aveva accompagnato Paolo, il suo secondo genito, alle scuole medie di Lodi dove frequentava la prima classe. Poi era andato a comprare un biglietto per lo stadio ecc. ecc.”, ma, a parte il problema del limite di caratteri, non sarebbe cambiato nulla nella storia. Quello che qui contava (per me) era creare lo spessore del personaggio, la sua immagine di persona comune e semplice. Certo, tutto dipende dal mezzo usato: in un film avrei fatto vedere le immagini, qui mi sembrava più funzionale accennarle. Spero che alla fine il risultato sia stato lo stesso. :)

    • Questa risposta è stata modificata 10 anni, 1 mese fa da Luca Pagnini Luca Pagnini.
    in risposta a: FACILMENTE EDIBILE di Marco Roncaccia #4490
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Cit. “Comunque devo confessarti che scrivere metà racconto in prima persona sgrammaticata, avendo a ogni rilettura (e sperando di trasmettere al lettore) il brivido del gesso che scricchiola sulla lavagna ha avuto per me un fascino imprescindibile”, chapeu! 😀

     

    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Salve a tutti!
    Prima di inserire la classifica devo fare i miei sinceri complimenti a tutti i partecipanti, perchè il livello dei racconti postati è davvero alto. La classifica è il risultato di varie considerazioni, ma devo dire che tra il primo e l’ultimo non ci sono affatto 8 posizioni, davvero una gran bella contesa, bravi.
     
    Questi i miei 9:
    1. Il tribunale di Sara – Erika Adale
    2. Jimmy – Raffaele Marra
    3. Prima linea – Maurizio Bertino
    4. Facilmente edibile – Marco Roncaccia
    5. Librogame – Beppe Roncari
    6. Souvenir – Serena Aronica
    7. I figli degli altri – Angelo Frascella
    8. Col sorriso sulle labbra – Francesco Nucera
    9. L’altra vita  – Giulio Marchese
     
    Questi i miei commenti:
     
    Il tribunale di Sara – Erika Adale
    Su questo racconto ho davvero poco da dire perché è ben strutturato e sviluppato, mi piace lo stile asciutto e, a parte alcuni refusi qua e là, l’unico difetto sostanziale che trovo non è neanche da addebitare all’autrice. Mi riferisco alle bambole: è un soggetto talmente sfruttato nella letteratura di genere che appena ho letto “collezione di bambole”, purtroppo, mi sono immaginato dove si andava a parare. Ora, siccome secondo me il racconto è comunque riuscito bene, l’unico miglioramento che mi viene da suggerire sarebbe qualcosa per evitare questo spoiler involontario. Considerato che le bambole sono ovviamente intoccabili, forse sarebbe sufficiente inserire, nella parte iniziale, altri elementi descrittivi della casa o del rapporto tra Sara e Andrea in modo da “nasconderle” un po’. Il tema c’è, anche se l’elemento soggettivo del “sentirsi assolti” rimane velato dal dubbio: le bambole si sentono assolte?
     
    Jimmy – Raffaele Marra
    Racconto molto intenso e scritto benissimo. In un contesto di semplice lettura non avrei nulla da dire, visto che però siamo qui, do voce a qualche perplessità che potrebbe tornare utile in un’eventuale riscrittura. Ottimo l’ambiente. Bene Jimmy e la madre, definita bene con poche pennellate, accennati gli altri personaggi ma quanto basta al racconto. La prima perplessità che ho è: perché i nomi inglesi? Nel racconto non c’è niente che rimandi a un paese anglosassone, quindi non capisco. Certo, anche in Italia (purtroppo) possiamo trovare dei Jimmy e delle Dorothy italianissimi, ma essendo i nomi, in questo racconto, ininfluenti, perché questa scelta e non un Andrea e una Cristina qualsiasi? Altro dettaglio che, secondo me, andrebbe meglio elaborato una volta rotto il limite dei 5000 caratteri, è il punto centrale della storia, ovvero l’omicidio da parte di Jimmy. La vicenda è verosimile, però un bambino di 12 anni che uccide la sorella per “errore”, strozzandola, è un azzardo un po’ forte, come lettore sono rimasto dubbioso, come scrittore suggerirei di trovare un altro modo, perché per strozzare qualcuno serve forza e tempo (relativamente alla situazione, ovvio, un minuto o due sono pochi, ma in quella situazione sarebbero lunghissimi, immagino, soprattutto per un bambino), e sebbene lei sia una bambina di 4 anni lui resta un ragazzino che, come dimostra il resto del racconto, non è il male personificato, anzi. Il tema per me è stato centrato.
     
    Prima linea – Maurizio
    L’idea mi è piaciuta, non completamente la realizzazione. Data per assodata la parodia verso i due mondi presi di mira, e sempre più in contatto tra loro (tv e isis), non mi torna il contesto: se questo non è il primo massacro del genere, non mi sembra credibile che si realizzi così facilmente (la gente si barrica già in casa per molto meno, basta un furto, immagina se ci fosse stato un qualunque precedente sul territorio nazionale); se, invece, è il primo del genere, allora non mi torna la reazione quasi immediata delle forze dell’ordine (se davvero succedesse un fatto così, di punto in bianco, scommetto che i morti verrebbero ritrovati il giorno dopo dal lattaio di turno). Ti scrivo questo, non per demolire la trama che qui è solo una trovata, ma perché, secondo me, sei rimasto un po’ in mezzo al guado: da una parte hai opportunamente esagerato le caratteristiche e le reazioni dei tre operatori (“semmai prima di uscire chiederò ai terroristi se possiamo farci un caffè”), dall’altro hai creato un evento (il massacro) calato in un contesto di normalità incerta che toglie forza al racconto. Faccio un paio di esempi: lì la gente dorme tutta, eppure c’è la diretta mondiale, com’è possibile? Se i buoni arrivano così in forze dopo poco tempo (e quindi sembrano abituati), come fanno a cadere nelle imboscate in quel modo sciocco? Tutto questo per dire che ogni cosa è plausibile ma va motivata, anche nella parodia,  dove esagerare e uscire dagli schemi è nell’essenza stessa del genere, ma c’è comunque bisogno di un sottobosco credibile, altrimenti il tutto rischia di sembrare solo una barzelletta. Siccome questo racconto non lo è (una barzelletta), con un paio di aggiustamenti può diventare ottimo. Il tema è stato colpito in pieno.
     
    Facilmente edibile – Marco Roncaccia
    Purtroppo non sono un amante del genere, ma mi pare che per un lavoro concepito e redatto in 4 ore non ci sia di che lamentarsi. Il soggetto è davvero originale, la trama piena zeppa di avvenimenti, proprio per questo però, visti i caratteri a disposizione, il risultato mi suona un po’ troppo “denso”. La descrizione delle esecuzioni ne esce un po’ compressa tra l’introduzione sgrammaticata e il finale. Per gusto personale, soprattutto la prima parte forse starebbe meglio inserita tra i vari supplizi, anche per evitare l’effetto “elenco”, sia all’inizio che dopo con gli omicidi. In definitiva, sempre secondo me, una storia così avrebbe bisogno di altri caratteri, o forse bastavano un paio di morti in meno. Interessante il passaggio della narrazione dalla prima persona alla seconda. Tema colpito e affondato.
     
    Librogame – Beppe Roncari
    Esperimento (lo posso chiamare così?) scritto molto bene (anche visti i caratteri a disposizione) e interessante. Se non mi sono perso, il puzzle si ricompone comunque per raccontare una sola storia, qualsiasi strada si scelga, quindi il racconto è completo, però c’è qualcosa che non mi soddisfa e mi lascia perplesso, parlo di quel “…nel processo ti sei fatto cancellarla memoria”: da chi? E, soprattutto, perché?
    L’idea è geniale, ma ti confesso che ho trovato la lettura (tra andare e tornare, più e più volte) un po’ faticosa. Segnalo un paio di dettagli tecnico-polizieschi: 1. un sospettato di omicidio non dividerebbe la cella con nessuno, ne avrebbe una tutta sua per molto tempo; 2. l’idea delle testate è spiazzante, però un semplice bernoccolo su di lui, come effetto collaterale, è davvero troppo poco.
    Il tema mi pare abbastanza centrato: Valente è di sicuro coinvolto, ma che si senta (e lo sia) assolto non è affatto chiaro.
     
    Souvenir – Serena Aronica
    La prima impressione che mi lascia questo racconto sono le fotografie: tante belle immagini curate nei dettagli (volevo mettere degli esempi, ma il racconto ne è talmente pieno da non sapere quale scegliere), purtroppo però la trama non è all’altezza. Abbiamo un pazzo che scampa alla forca, un altro che viene condannato anche per il suo crimine e un’assistente sociale che “gironzola per casa”, il tutto per scoprire che il pazzo numero 1 ha ucciso una bambina per le sue mutandine. Un po’ poco. Mi sembra quindi che questo racconto sia uscito come fosse un esercizio di stile, lasciando la trama e il soggetto in secondo piano. Della trama ho detto, per il soggetto, capisco che tu abbia scelto un’ambientazione statunitense per giustificare la pena di morte, però così facendo ti sei assunta quell’impegno di creare un ambiente a noi “estraneo”, impegno che, purtroppo, spesso non siamo all’altezza di rispettare, semplicemente perché l’ambiente creato diventa straniero solo nelle intenzioni, ma non lo è nel risultato. E’ il solito discorso sui tritarifiuti (esempio banale) che noi non abbiamo e, di conseguenza, nessuno inserisce mai in un racconto. Gli ambienti sono importanti (per me, fondamentali), se si creano solo dandogli un nome diventano un boomerang. In questo caso, al di là della pena di morte e dei nomi, non c’è niente che ci rimandi al mondo yankee, anzi, hai inserito un elemento forte (per le foto di cui sopra), il ghiacciolo, che tutto richiama alla mente fuorché il Texas o l’Alabama. Detto questo, se pena di morte dev’essere, attenzione a creare un mondo, così dettagliatamente descritto come hai fatto, che ci faccia però vedere l’America senza dirlo. Il tema è preso di striscio: qui di coinvolto e assolto c’è solo una persona soltanto.
     
    Col sorriso sulle labbra – Francesco Nucera
    Racconto scritto molto bene. Sul piano dello svolgimento della trama, ottima la prima parte, dove si crea l’aspettativa, molto meno la chiusura. Non nel finale in sé, che, nella miglior tradizione MC, per sorprendere sorprende, ma nella motivazione (mancante) che porta a tale conclusione: hai lanciato una bomba, ma apparentemente senza un movente. Per esagerare, allo stesso modo avresti potuto far atterrare gli alieni sul sagrato schiacciando tutti e l’effetto sarebbe stato lo stesso: “accidenti! Ma questi da dove sbucano?” Al di là della provenienza astrale… Probabilmente anche questo racconto soffre il limite dei caratteri, però al partecipante di MC è richiesto anche questo: saper dosare il racconto in modo che in esso, per quanto breve possa essere, ci siano tutti gli ingredienti, o, quanto meno, ci siano almeno degli accenni che possano aiutare il lettore a capire. Qui, purtroppo, a mio parere non mancano due ingredienti, ma proprio due portate intere: 1. il motivo per cui i due fratelli si votino a una causa kamikaze (almeno per Franco: troppo poco l’accenno a una donna con quel “Anche lei lo guardava così prima di andarsene”); 2. chi sono questi che riescono a convincere così tanta gente al martirio, gente che, da quanto si legge, sembra normalissima senza alcuna caratterizzazione e nemmeno un indizio su come possa essere stata “convertita” (che ne so: i classici arabi, oppure degli alieni, o dei possessori di una droga potentissima, ecc. ecc.). Il tema c’è, però, proprio perché mancano gli indizi fondamentali, non ho capito “i fratelli” da che cosa si sentano assolti, né in cosa siano coinvolti (tranne l’esplosione, ovvio).
     
    I figli degli altri – Angelo Frascella
    Racconto scritto bene (tranne che per una minuzia di cui dirò dopo), ma soggetto e trama deboli. L’idea è un po’ scontata e solo la morte del Motti rende allo sviluppo degli avvenimenti un po’ di colore. Secondo me però, il punto debole principale sta nel contesto in cui tutto avviene: se la raffineria e la villa sono nella stessa zona (e niente ci fa pensare il contrario, anzi, visto che anche la cameriera ha un figlio ammalato, è chiaro che la villa del padrone è, quanto meno, nella stessa città), come fa Rino ad essere sicuro che i suoi figli, a cui tiene tanto, non si ammaleranno mai? Questo può sembrare un dettaglio, ma secondo me toglie forza a tutto il racconto, compreso il pensiero finale “Anche avvelenandoli poco per volta”, cioè, lui ammazzerebbe tutti avvelenandoli per difendersi, ma come fa a garantirsi l’immunità? Il problema è facilmente risolvibile, ma non lo sottovaluterei. Per il resto, ci sono un po’ troppi stereotipi (il ricco cattivo, l’ecologista buono, il sindaco corrotto, i giusti bistrattati, i furbi assolti) per un solo racconto così breve. E’ vero, l’attualità ci dice che le cose vanno davvero così, ma per gusti personali, almeno in narrativa cercherei qualcosa di diverso. La minuzia di cui ho accennato all’inizio è il cambio improvviso di pdv (da quello di Rino a Motti) quando Motti va ad aprire la porta: “L’aprì con lentezza, il viso rivolto verso Rino per mostrargli il ghigno, e non si accorse…” fino a qui il narratore era nella testa di Rino, il quale non può sapere: 1. se Motti si sia voltato per mostrare il ghigno oppure solo perché c’era una mosca; 2.  se Motti si sia accorto o meno della pistola (al limite potrebbe aver “avuto l’impressione che…”). Il dettaglio è importante, non tanto per una questione formale di stile, ma perché se si lascia il pdv dov’era, la scena diventa molto più forte. Scrivo un esempio al volo giusto per rendere l’idea: “Motti aprì con lentezza, mostrandogli il ghigno, un attimo dopo comparve una pistola che sparò, trapassandogli il cervello.” Il tema direi che c’è tutto.
     
    L’altra vita – Giulio Marchese
    Racconto davvero interessante. L’idea mi piace, però restano in canna troppi colpi e con il limite dei 5000 caratteri forse era inevitabile (dico forse perché la parte iniziale, essendo solo di ambientazione, poteva essere accorciata a favore di altro). Questo racconto potrebbe essere il capitolo di qualcosa di ben più ampio, così com’è lascia solo la voglia di saperne di più. Non che lasciare la voglia sia un errore, ma una cosa è chiedersi e poi immaginarsi da soli, da lettori, il contorno della storia letta, che comunque dovrebbe in sé un inizio, uno svolgimento e una fine, un’altra è rendersi conto che mancano elementi talmente fondamentali (per lo svolgimento e per capire la fine) che solo l’autore può e deve dare. Non basta segnalare una cicatrice e accennare a un campo scout, ecco. Elenco qualcuno dei miei dubbi, giusto per esemplificare: perché Dennis ha perso la memoria? Cos’ha combinato nell’altra vita? Chi sono Paolo e Marco? Com’è che Dennis è sfuggito alla morte se Paolo si stupisce di ritrovarlo vivo? Come fa Marco a sapere che Dennis è vulnerabile? E se avesse solo finto l’amnesia (i personaggi non sanno i pensieri di Dennis come noi lettori) per correre dai Carabinieri?
    Detto questo, il racconto ha grandi potenzialità, io non lo metterei da parte.
    Ci sono alcuni refusi, segnalo «po», che si scrive «po’», perché l’hai scritto due volte. Inoltre se metti le virgolette alte (“ ”) non serve il trattino (-), e comunque, caso mai, nei dialoghi è da usare quello lungo (–). Eviterei di ripetere “un ragazzo della mia età” e poco dopo “un ragazzo che avrà avuto la mia età”.
    Tema colpito, ma secondo me non in pieno.
     
    Ciao e a presto!

    • Questa risposta è stata modificata 10 anni, 1 mese fa da The Beps The Beps.
    in risposta a: FACILMENTE EDIBILE di Marco Roncaccia #4366
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Marco!

    Purtroppo non sono un amante del genere, ma mi pare che per un lavoro concepito e redatto in 4 ore non ci sia di che lamentarsi. Il soggetto è davvero originale, la trama piena zeppa di avvenimenti, proprio per questo però, visti i caratteri a disposizione, il risultato mi suona un po’ troppo “denso”. La descrizione delle esecuzioni ne esce compressa tra l’introduzione sgrammaticata e il finale. Per gusto personale, soprattutto la prima parte forse starebbe meglio inserita tra i vari supplizi, anche per evitare l’effetto “elenco”, sia all’inizio che dopo, con gli omicidi. In definitiva, sempre secondo me, una storia così avrebbe bisogno di molti più caratteri, (o, in questo contesto, forse bastavano un paio di morti in meno). Interessante il passaggio della narrazione dalla prima persona alla seconda. Tema colpito e affondato.

    in risposta a: I figli degli altri (di Angelo Frascella) #4365
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Angelo!

    Racconto scritto bene (tranne che per una minuzia di cui dirò dopo), ma soggetto e trama deboli. L’idea è un po’ scontata e solo la morte del Motti rende allo sviluppo degli avvenimenti un po’ di colore. Secondo me però, il punto debole principale sta nel contesto in cui tutto avviene: se la raffineria e la villa sono nella stessa zona (e niente ci fa pensare il contrario, anzi, visto che anche la cameriera ha un figlio ammalato, è chiaro che la villa del suo padrone è, quanto meno, nella stessa città), come fa Rino ad essere sicuro che i suoi figli, a cui tiene tanto, non si ammaleranno mai? Questo può sembrare un dettaglio, ma secondo me toglie forza a tutto il racconto, compreso il pensiero finale “Anche avvelenandoli poco per volta”, cioè, lui ammazzerebbe tutti “avvelenandoli” per difendersi, ma come fa a garantirsi l’immunità? Il problema è facilmente risolvibile, ma non lo sottovaluterei. Per il resto in merito al soggetto, ci sono un po’ troppi stereotipi (il ricco cattivo, l’ecologista buono, il sindaco corrotto, i giusti bistrattati, i furbi assolti) per un solo racconto così breve. E’ vero, l’attualità ci dice che le cose vanno davvero così, ma per gusti personali, almeno in narrativa cercherei di mescolare le carte anche quando si parla di questi temi. La minuzia di cui ho accennato all’inizio è il cambio improvviso di pdv (da quello di Rino a quello di Motti) quando Motti va ad aprire la porta: “L’aprì con lentezza, il viso rivolto verso Rino per mostrargli il ghigno, e non si accorse…” fino a qui il narratore era nella testa di Rino, il quale non può sapere: 1. se Motti si sia voltato per mostrare il ghigno oppure solo perché c’era una mosca; 2.  se Motti si sia accorto o meno della pistola (al limite potrebbe aver avuto “l’impressione che…”). Il dettaglio è importante, non tanto per una questione formale di stile, ma perché se si lascia il pdv dov’era, la scena diventa molto più forte. Scrivo un esempio al volo giusto per rendere l’idea: “Motti aprì con lentezza, mostrandogli il ghigno, un attimo dopo da fuori comparve una pistola che sparò, trapassandogli il cervello.” Il tema direi che c’è tutto.

    in risposta a: Il tribunale di Sara (di Erika Adale) #4353
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao erika!

    Su questo racconto ho davvero poco da dire perché è ben strutturato e sviluppato, mi piace lo stile asciutto e, a parte alcuni refusi qua e là, l’unico difetto sostanziale che trovo non è neanche da addebitare all’autrice. Mi riferisco alle bambole: è un soggetto talmente sfruttato nella letteratura di genere che appena ho letto “collezione di bambole”, purtroppo, mi sono immaginato dove si andava a parare. Ora, siccome secondo me il racconto è comunque riuscito bene, l’unico miglioramento che mi viene da suggerire sarebbe qualcosa per evitare questo spoiler involontario. Considerato che le bambole sono ovviamente intoccabili, forse sarebbe sufficiente inserire, nella parte iniziale, altri elementi descrittivi della casa o del rapporto tra Sara e Andrea in modo da “nasconderle” un po’. Il tema c’è, anche se l’elemento soggettivo del “sentirsi assolti” rimane velato dal dubbio: le bambole si sentono assolte?

    • Questa risposta è stata modificata 10 anni, 1 mese fa da Luca Pagnini Luca Pagnini.
    in risposta a: Souvenir (di Serena Aronica) #4329
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Serena!

    La prima impressione che mi lascia questo racconto sono le fotografie: tante belle immagini curate nei dettagli (volevo mettere degli esempi, ma il racconto ne è talmente pieno da non sapere quale scegliere), purtroppo però la trama non è all’altezza. Abbiamo un pazzo che scampa alla forca, un altro che viene condannato anche per il suo crimine e un’assistente sociale che “gironzola per casa”, il tutto per scoprire che il pazzo numero 1 ha ucciso una bambina per le sue mutandine. Un po’ poco. Mi sembra quindi che questo racconto sia uscito come fosse un esercizio di stile, lasciando la trama e il soggetto in secondo piano. Per lo stile allora devo dire che forse è un po’ troppo carico, però nel contesto regge. Della trama ho detto, per il soggetto, capisco che tu abbia scelto un’ambientazione statunitense per giustificare la pena di morte, però così facendo ti sei assunta quell’impegno di creare un ambiente a noi “estraneo”, impegno che, purtroppo, spesso non siamo all’altezza di rispettare, semplicemente perché l’ambiente creato diventa straniero solo nelle intenzioni, ma non lo è nel risultato. E’ il solito discorso sui tritarifiuti (esempio banale) che noi non abbiamo e, di conseguenza, nessuno inserisce mai in un racconto. Gli ambienti sono importanti (per me, fondamentali), se si creano solo dandogli un nome diventano un boomerang. In questo caso, al di là della pena di morte e dei nomi, non c’è niente che ci rimandi al mondo yankee, anzi, hai inserito un elemento forte (per le foto di cui sopra), il ghiacciolo, che tutto richiama alla mente fuorché il Texas o l’Alabama. Detto questo, se pena di morte dev’essere, attenzione a creare un mondo, così dettagliatamente descritto come hai fatto, che ci faccia però vedere l’America senza dirlo. Il tema è preso di striscio: qui di coinvolto e assolto c’è solo una persona soltanto.

    in risposta a: Prima linea (di Maurizio Bertino) #4326
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Maurizio!

    L’idea mi è piaciuta, non completamente la realizzazione. Data per assodata la parodia verso i due mondi presi di mira, e sempre più in contatto tra loro (tv e isis), non mi torna il contesto: se questo non è il primo massacro del genere, non mi sembra credibile che si realizzi così facilmente (la gente si barrica già in casa per molto meno, basta un furto, immagina se ci fosse stato un qualunque precedente sul territorio nazionale); se, invece, è il primo del genere, allora non mi torna la reazione quasi immediata delle forze dell’ordine (se davvero succedesse un fatto così, di punto in bianco, scommetto che i morti verrebbero ritrovati il giorno dopo dal lattaio di turno). Ti scrivo questo, non per demolire la trama che qui è solo una trovata, ma perché, secondo me, sei rimasto un po’ in mezzo al guado: da una parte hai opportunamente esagerato le caratteristiche e le reazioni dei tre operatori (“semmai prima di uscire chiederò ai terroristi se possiamo farci un caffè”), dall’altro hai creato un evento (il massacro) calato in un contesto di normalità incerta che toglie forza al racconto. Faccio un paio di esempi: lì la gente dorme tutta, eppure c’è la diretta mondiale, com’è possibile? Se i buoni arrivano così in forze dopo poco tempo (e quindi sembrano abituati), come fanno a cadere nelle imboscate in quel modo sciocco? Tutto questo per dire che ogni cosa è plausibile ma va motivata, anche nella parodia, dove esagerare e uscire dagli schemi è nell’essenza stessa del genere, ma c’è comunque bisogno di un sottobosco credibile, altrimenti il tutto rischia di sembrare solo una barzelletta. Siccome questo racconto non lo è (una barzelletta), con un paio di aggiustamenti può diventare ottimo. Il tema è stato colpito in pieno.

    • Questa risposta è stata modificata 10 anni, 1 mese fa da Luca Pagnini Luca Pagnini.
    in risposta a: Venerdì 12 #4282
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Anzitutto, un grazie collettivo a tutti e tre per i bei commenti.

    @Ceranu

    Concordo con te sia per i nomi che per la frase, provvederò sicuramente, grazie per i suggerimenti.

    A presto.

     

     

    in risposta a: Col sorriso sulle labbra (di Francesco Nucera) #4244
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Francesco!
    Racconto scritto molto bene. Sul piano dello svolgimento della trama, ottima la prima parte, dove si crea l’aspettativa, molto meno la chiusura. Non nel finale in sé, che, nella miglior tradizione MC, per sorprendere sorprende, ma nella motivazione (mancante) che porta a tale conclusione: hai lanciato una bomba, ma apparentemente senza un movente. Per esagerare, allo stesso modo avresti potuto far atterrare gli alieni sul sagrato schiacciando tutti e l’effetto sarebbe stato lo stesso: “accidenti! Ma questi da dove sbucano?” Al di là della provenienza astrale… Probabilmente anche questo racconto soffre il limite dei caratteri, però al partecipante di MC è richiesto anche questo: saper dosare il racconto in modo che in esso, per quanto breve possa essere, ci siano tutti gli ingredienti o, quanto meno, ci siano almeno degli accenni che possano aiutare il lettore a capire. Qui, purtroppo, a mio parere non mancano due ingredienti, ma proprio due portate intere: 1. il motivo per cui i due fratelli si votino a una causa kamikaze (non dico entrambi, ma almeno per Franco sì, troppo poco l’accenno a una donna con quel “Anche lei lo guardava così prima di andarsene”); 2. chi sono questi che riescono a convincere così tanta gente al martirio, gente che, da quanto si legge, sembra normalissima senza alcuna caratterizzazione e nemmeno un indizio su come possa essere stata “convertita” (che ne so: i classici arabi, oppure degli alieni, o dei possessori di una droga potentissima, ecc. ecc.). Il tema c’è, però, proprio perché mancano gli indizi fondamentali, non ho capito “i fratelli” da che cosa si sentano assolti, né in cosa siano coinvolti (tranne l’esplosione, ovvio).

    in risposta a: L’altra vita (di Giulio Marchese) #4036
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Giulio!

    Racconto davvero interessante. L’idea mi piace, però restano in canna troppi colpi e con il limite dei 5000 caratteri forse era inevitabile (dico forse perché la parte iniziale, essendo solo di ambientazione, poteva essere accorciata a favore di altro). Questo racconto potrebbe essere il capitolo di qualcosa di ben più ampio, così com’è lascia solo la voglia di saperne di più. Non che lasciare la voglia sia un errore, ma una cosa è chiedersi e poi immaginarsi da soli, da lettori, il contorno della storia letta, che comunque dovrebbe in sé un inizio, uno svolgimento e una fine, un’altra è rendersi conto che mancano elementi talmente fondamentali (per lo svolgimento e per capire la fine) che solo l’autore può e deve dare. Non basta segnalare una cicatrice e accennare a un campo scout, ecco. Elenco qualcuno dei miei dubbi, giusto per esemplificare: perché Dennis ha perso la memoria? Cos’ha combinato nell’altra vita? Chi sono Paolo e Marco? Com’è che Dennis è sfuggito alla morte se Paolo si stupisce di ritrovarlo vivo? Come fa Marco a sapere che Dennis è vulnerabile? E se avesse solo finto l’amnesia (i personaggi non sanno i pensieri di Dennis come noi lettori) per correre dai Carabinieri?

    Detto questo, il racconto ha grandi potenzialità, io non lo metterei da parte.
    Ci sono alcuni refusi, segnalo «po», che si scrive «po’», perché l’hai scritto due volte. Inoltre se metti le virgolette alte (“ ”) non serve il trattino (-), e comunque, caso mai, nei dialoghi è da usare quello lungo (–). Eviterei di ripetere “un ragazzo della mia età” e poco dopo “un ragazzo che avrà avuto la mia età”.
    Tema colpito, ma secondo me non in pieno.

    • Questa risposta è stata modificata 10 anni, 1 mese fa da Luca Pagnini Luca Pagnini.
    in risposta a: Jimmy (di Raffaele Marra) #4033
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Raffaele!
    Racconto molto intenso e scritto benissimo. In un contesto di semplice lettura non avrei nulla da dire, visto che però siamo qui, do voce a qualche perplessità che potrebbe tornare utile in un’eventuale riscrittura. Ottimo l’ambiente. Bene Jimmy e la madre, definita bene con poche pennellate, accennati gli altri personaggi ma quanto basta al racconto. La prima perplessità che ho è: perché i nomi inglesi? Nel racconto non c’è niente che rimandi a un paese anglosassone, quindi non capisco. Certo, anche in Italia (purtroppo) possiamo trovare dei Jimmy e delle Dorothy italianissimi, ma essendo i nomi, in questo racconto, ininfluenti, perché questa scelta e non un Andrea e una Cristina qualsiasi? Altro dettaglio che, secondo me, andrebbe meglio elaborato una volta rotto il limite dei 5000 caratteri, è il punto centrale della storia, ovvero l’omicidio da parte di Jimmy. La vicenda è verosimile, però un bambino di 12 anni che uccide la sorella per “errore”, strozzandola, è un azzardo un po’ forte, come lettore sono rimasto dubbioso, come scrittore suggerirei di trovare un altro modo, perché per strozzare qualcuno serve forza e tempo (relativamente alla situazione, ovvio, un minuto o due sono pochi, ma in quella situazione sarebbero lunghissimi, immagino, soprattutto per un bambino), e sebbene lei sia una bambina di 4 anni lui resta un ragazzino che, come dimostra il resto del racconto, non è il male personificato, anzi. Il tema per me è stato centrato.

    • Questa risposta è stata modificata 10 anni, 1 mese fa da Luca Pagnini Luca Pagnini.
    in risposta a: LIBROGAME #4032
    Luca Pagnini
    Luca Pagnini
    Partecipante

    Ciao Beppe!
    Esperimento (lo posso chiamare così?) scritto molto bene (anche visti i caratteri a disposizione) e interessante. Se non mi sono perso, il puzzle si ricompone comunque per raccontare una sola storia, qualsiasi strada si scelga, quindi il racconto è completo, però c’è qualcosa che non mi soddisfa e mi lascia perplesso, parlo di quel “…nel processo ti sei fatto cancellarla memoria”: da chi? E, soprattutto, perché?
    Idea geniale, ma ti confesso che ho trovato la lettura (tra andare e tornare, più e più volte) un po’ faticosa. Segnalo un paio di dettagli tecnici: 1. un sospettato di omicidio non dividerebbe la cella con nessuno, ne avrebbe una tutta sua per molto tempo; 2. l’idea delle testate è spiazzante, però un semplice bernoccolo su di lui, come effetto collaterale, è davvero troppo poco.

    Il tema mi pare abbastanza centrato: Valente è di sicuro coinvolto, ma che si senta (e lo sia) assolto non è affatto chiaro.

    • Questa risposta è stata modificata 10 anni, 1 mese fa da Luca Pagnini Luca Pagnini.
    in risposta a: Sfida a Marchese e Marra #3824
    Luca Pagnini
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    Partecipante

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