Raffaele Serafini


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    Raffaele Serafini
    Partecipante

    Mia madre, di Omaima Marfoq
    Confesso che l’incipit mi ha fatto paura. Ho sempre paura dei racconti in prima persona dove il protagonista è in mezzo al buio. Diciamo che non sono originali. L’incipit non è buono, non cattura.
    È un “media res” talmente classico e abusato che andrebbe evitato, se non strettamente necessario.
    ” stringo gli occhi” – cioè? Come si stringono gli occhi  modificherei.
    “Mamma!!!” – basta un !
    Donna-donna / sorriso-sorrido. – modificare.
    Ma è troppo tardi, un auto le si piomba addosso – No!
    Portando? – scagliando!
    Corpo inerte – no, stava correndo. Non era inerte.
    Inizio a correre – no, stavi già correndo.
    Sangue. Vedo solo sangue. – nuuuu, via via, abusatissima.
    “Oggi ho bevuto un po’ troppo… mi dispiace” poi senza aggiungere altro ci lascia sole, in una città che continua a vivere indifferente, senza neanche accorgersi degli avvenimenti che accadono intorno ad essa” – quanta retorica… naaa.
    immagini terrificanti – cioè?
    questa al collo / sempre al collo / al mio collo – troppi colli
    Bene… poi ci sono vari errori di battitura, spazi mancanti e virgolette qua e là ma è normale. Solita tara. Piuttosto, il problema è il nucleo narritivo, debolissimo, con una storia trita e molto, molto stucchevole, raccontata senza sfuggire alla stucchevolezza e con una forma “prima persona e sogno con risveglio” che è purtroppo tra le più classiche e banali. Speravo fino alla fine che non finisse così, ma è finita come temevo. Azzarderi una certa bonarietà perché mi pare una storia acerba, ma resta non sufficiente.

    Una sedia in mezzo ai fiori, di Carolina Pelosi
    Lontano più dei fiori e più – toglierei l’ultimo più. E poi percorso al posto di fatto.
    dimenticato di avere – azzarderei un possedere.
    Bello. Elegante, con un piglio drammatico che sembra sapere dove andare a parare e infatti si conclude in modo adeguato, descrivendo un sentimento, con delle analessi quasi sempre riuscite. Forse a metà diventa un po’ troppo colloquiale e si appesantisce, ma è solo un attimo. Non so dov’è la luce del tema, nel senso che di certo non è quella che combatte la paura del buio, ma direi che il vuoto, che non si spegne mai, val bene una luce. Un racconto emotivamente interessante, insomma, che mi pare avere ben chiare le idee e che sfrutta bene la prima persona, lavorando per immagini, e con un uso efficace della paratassi iniziale, per descrivere la casa. Credo qualcosina si possa migliorare, modificando qualche utilizzo lessicale (il registro sembra partire più altro e poi farsi colloquiale, mentre l’avrei preferito stabile, ma è un de gustibus). Insomma, più che buono.

    Il Signor Colombo, di Simone Cassia
    si vede – si vedeva?
    Solo / solo – ripetizione da evitare, se si può
    Cosa è successo all’umanità per permettere che certe cose accadano o forse sono sempre accadute e semplicemente non si veniva a conoscenza di queste storie – compriamo una virgola, ma anche scriverla meglio 😉
    Molta, troppa retorica, frasi fatte…
    Un altro giorno – toglierei “giorno”
    per allontanarmi da lì. – togliere “da lì”
    Certo che se è questo il mondo del domani, forse sarebbe meglio vivere nel passato – qui mi sono irritato… se lo scopo era di irritare il lettore con una serie di frasi fatte e modi di dire, scopo raggiunto. 
    Bene, direi che si salva un po’ con il finale, ma la parte iniziale e centrale è davvero troppo piena di retorica per riuscire a convincere. Ci si chiede se questo personaggio è davvero così vuoto e stucchevole – il narratore, dico – e a un certo punto si fa fatica a leggere senza superficialità perché in effetti le frasi sono le solite, trite, che si sentono alla TV e che descrivono le colpe “della società”. Detto questo, ci sono da sistemare un po’ di frasi, non proprio riuscite e io valuterei davvero di evitare la prima persona. Scritto in terza, al presente, senza alcuna analessi, lasciando una presa diretta, si potrebbe riuscire a descrivere il protagonista non come uno che è rigonfio di buoni sentimenti e che ha capito tutto della vita (rendendolo antipatico) bensì come uno che non si accorge che mentre giudica è parte del male, che poi è il vero cuore del nucleo narrativo, credo. Il giudizio complessivo, così com’è, resta negativo, soprattutto per l’irritazione che mi ha causato (mi aspettavo solo un “sono sempre i migliori che se ne vanno : ) ) anche se il finale, e quell’idea, poteva essere sfruttato meglio.

    Dalla terra al cielo, di Linda De Santi
    Non è malaccio, come esecuzione, questo raccontino. Inizia bene, tranquillo, e la costruzione dell’ambiente familiare è riuscita, poi si va forse troppo velocemente verso la zona fantascientifica, e c’è poco spazio per il lettore, perché possa “metabolizzare” di alieni. Il difetto potrebbe essere proprio quello, non si capisce se vuol essere un racconto drammatico, o un’invasione aliena, più avventurosa. Purtroppo, con 3000k c’è troppo poco spazio per ottenere entrambi gli effetti, e si resta un po’ in mezzo al guado. Mi sa che qualche pezzo descrittivo sull’azione aliena e sulle luci è stato tagliato, per spazio. Comunque ci va. Tra i nodi da sciogliere resta da capire perché proprio Zoe, e cosa le è capitato, visto che si dice qualcosa e resta l’idea di saperne di più. Azzarderei anche che una luce sempre accesa, nel cielo, altro che caos… avrebbe scatenato molto, e la situazione non sarebbe stata così tranquilla, la si sarebbe citata prima della fine racconto, questa luce, essendo elemento straordinario. (Tipo maggior preoccupazione del padre, siccome c’è sta luce). Quasi suff, nel complesso.

    Grano nero, di Daniele Picciuti
    Zampe-zampa – rip.
    ancora abbastanza – toglierei “ancora”
    mentre si avvicinava – due volte, rip.
    doveva esserci un cadavere – ci fosse?
    Morto-morire – cambierei uno dei due
    Bene. Aspettavo la sorpresa finale, ed è arrivata, anche se vagamente telefonata, ma efficace. Quindi ci sta. Racconto che si regge con le proprie gambe e che è coerente, anche se lo spazio usato per la costruzion ruba qualcosa al finale che è frettoloso e dà un senso di “chiudere in fretta” che può facilmente evitarsi con qualche frase ben piazzata. In ogni caso, un pezzo più che sufficiente, anche se lo spaventapasseri vivo è un classico.

    Gli inquilini del buio, di Angelo Frascella
    Ho fatto un po’ fatica, a capire, e qualcosa mi è rimasto incompreso, credo, delle dinamiche di questa società e del suo rapporto col buio. Forse il difetto sono i troppi personaggi, per i pochi caratteri, e una confusione fisiologica, soprattutto alla prima letture. Detto questo è un buon pezzo weird, con una costruzione piacevole di un mondo che ha l’unico difetto di aver voluto metterci troppe cose, ma non lo reputo del tutto un difetto. A me, poi, come gusti, la creazione di mondi piace sempre, e anche in questo caso ho trovato l’atmosfera molto suggestiva indipendentemente dal capire tutto. Racconto promosso, imperfetto ma più che discreto.

    Con i tuoi occhi, di Alice Gibellini
    incastrarmi con il mondo – cambierei, bruttina.
    l’acido muriatico – si usa ancora? Cioè, si usa, ma non è che è stato sostituito da prodotti più specifici? Comunque okay
    I vapori le erano schizzati dritti negli occhi – superflua
    Cicatrici – dall’acito restano cicatrici? Mmm mi convince poco, comunque okay.
    Un pochetto melodrammatico, okay, e lunghetto nella prima parte, che però capisco sia necessaria per dare la situazione. Suggerirei un’inversione, non so. Tipo un flash forword iniziale, di quando la protagonista legge, o sta per leggere, che non si capisca che il rapporto con la madre è cambiato grazie alla cecità. Poi di nuovo l’analessi, la situazione, l’incidente ecc e alla fine la conclusione, la fine del viaggio. Ah, la cosa delle staminali mi fa pensare a Vannoni e alla truffa, toglierei quel riferimento, non è necessaario.

    La lucina, di Flavia Imperi
    Mi ha subito attratto il titolo, come il libro di Moresco, molto bello. E ho gradito anche la costruzione solo dialoghi, che insomma, bisogna pur trovare qualcosa di differente. Giusta la lunghezza, ché costruendolo così più lungo avrebbe mostrato la corda. Sul nucleo narrativo, diciamo che è molto classico, ma vuoi per la rapidità, vuoi per la non aver indugiato troppo su nessuno dei tre personaggi, non mi è pesato. Insomma… il materiale non permetteva grandi cose, ma il racconto è comunque riuscito. Sufficiente.

    Il bambino col ghiacciolo, di Marco Roncaccia
    A parte un po’ di problema di black box finale, che è facile da risolvere modificando un po’. (la soluzione dell’autobus mi pare non necessaria, può benissimo restare sospeso, il racconto. Il pathos è altrove) ho trovato la forma e la scelta di usare un registro rapidissimo e semplice, molto colloquiale, decisamente azzeccata. E’ un buon racconto, questo. Una pecca è l’utilizzo degli stereotipi (quelli genitoriali, quelli dell’antigaytudine, ecc, che parevano tirati proprio fuori dalle cronache giornalistiche, dipinti con quelle frasi, piuttosto che reali (indipendentemente che reali lo siano, intendiamoci). Non è però cosa che infastidisce, in questa storia drammatica, soprattutto perché non c’è tempo di melodramma, vista la presa diretta del presente. Insomma. Questo è buono, per me. Riuscito.

    Risveglio, di Eleonora Rossetti
    fitta lancinante – no, dai… accoppiata da dimenticare. 
    Fitte scudiscianti – questa sembra una nuova arma di ufo robot… fitta scudisciante! 😉
    La tenebra mi sta stritolando dentro di sé – le ultime tre non servono
    Dunque… inizio davvero da manuale, e non è un bene, nel senso che i racconti in prima persona con cui si inizia al buio si danno quasi sempre la zappa sui piedi. Se ne legge a decine… poi, l’incidente e la luce, anche qui, il nucleo narrativo coma-ospedaliero non è dei migliori, ed è piuttosto scontato. Ho apprezzato il gioco linguistico per richiamare il ritorno dall’oblio, ma il finale, con il richiamo della moglie, mi è risultato talmente stucchevole e sdolcinato che temo di dover dare il pollice verso. Non brutto, eh, intendiamoci, ma mi ha lasciato insoddisfatto.
    Ah, non serve il maiuscolo e invece della E’ ci va la È

    Chiamatemi Elvis, di Fernando Nappo
    c’è un nè da correggere
    Ho dei dubbi sul passare alla radio. C’erano i juke box e i 33 ma la radio era cosa rara e non era sempre di canzoni- cè anche un E’ e qualche altro erroruccio di battitura.
    A parte queste sciocchezziole, questo mi è piaciuto. Mi è piaciuto il modo di interpretare il tema e anche il modo in cui sono pesate le parti del racconto, senza strafare. Non serve usare tutti i caratteri, se si hanno idee chiare. Il mondo dei sosia, riportato con le sue debolezze e le sue tristezza da dietro le quinte, si è offerto bene, con questo spaccato. Forse non sarà niente di eccezionale, ma come resa e come gestione, questo, tra tutti, è quello che toccherei di meno. Pezzo riuscito.

    Alla luce di tutto ciò la classifica è:
    1) Una sedia in mezzo ai fiori, di Carolina Pelosi

    2) Il bambino col ghiacciolo, di Marco Roncaccia

    3) Chiamatemi Elvis, di Fernando Nappo

    4) Grano nero, di Daniele Picciuti

    5) Gli inquilini del buio, di Angelo Frascella

    6) La lucina, di Flavia Imperi

    7) Dalla terra al cielo, di Linda De Santi

    8) Con i tuoi occhi, di Alice Gibellini

    9) Il Signor Colombo, di Simone Cassia

    10) Risveglio, di Eleonora Rossetti

    11) Mia madre, di Omaima Marfoq

    Se ho sbagliato qualcosa, cercatemi. Alla prossima!
    Ciao a tutti!

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