Il plotone

Il plotone

Non ho mai pensato che uccidere un uomo fosse cosa da eseguire a cuor leggero, ma le assicurazioni dei compagni alla fine mi avevano convinto. Ero stato sorteggiato e dovevo svolgere con onore il mio compito: uccidere il traditore. «Un fucile è sempre caricato a salve» mi dicevano i compagni. «Non saprai mai se l’hai ucciso tu» mi rassicuravano. E allora mi decisi, ero stufo di piazzare timbri di congedo sui permessi. Lo feci quasi per gioco: mi offrii volontario per il sorteggio e fui tra i fortunati estratti. Perché quella, poi, fosse una fortuna, me lo sto chiedendo ancora adesso.
Il condannato era un disertore, una carogna delle peggiori. Era scappato durante una battaglia e aveva ucciso il tenente che cercava di acciuffarlo. Una vera merda. Uno di quelli con la faccia da cane, tronfio e pieno di sé, che però riusciva a mantenere un contegno invidiabile: Durante l’esecuzione rifiutò di mettersi in ginocchio e di indossare la benda. Voleva guardarci in faccia mentre lo uccidevamo.
Faccia di cane era già piazzato davanti al muretto quando arrivai con il resto del plotone. Ci porsero i fucili e ci sistemammo in fila, davanti al condannato. Ero il più giovane di tutti e visibilmente il più nervoso. Mentre il capitano leggeva il motivo della condanna e riceveva un composto diniego dal disertore alla richiesta delle sue ultime volontà, io me la stavo letteralmente facendo sotto. In quel momento il mio più grande desiderio era quello di possedere il fucile caricato a salve.
Non appena il capitano iniziò a impartire gli ordini fatali, la faccia di cane si tramutò in una maschera di panico e sgomento. Il volto solcato di lacrime non era più quello di un criminale ma era diventato innocente e puro come quello di un bimbo impaurito. Mi sentii precipitare in un vortice di nausea e all’ordine di “puntare” il mio dito premette il grilletto, facendo partire il proiettile dalla canna del mio fucile. In una frazione di secondo tutto ciò che vidi fu lo schizzo di sangue a imbrattare il muretto alle spalle del condannato, e un buco nero a sostituire il suo occhio. Il capitano, sorpreso, diede il “fuoco” con evidente ritardo e sentii il crivellare di colpi abbattersi sul cadavere, mentre vomitavo l’anima in terra.
In quel momento realizzai che il destino mi aveva giocato un tiro mancino, assegnandomi l’unico, vero, colpo fatale del plotone.

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Gian de Steja

Apprezzato autore di Minuti Contati, può contare nel suo palmares anche un terzo posto nella Seconda Edizione della Terza Era.


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