«Ha mangiato?»
«No.»
«Quanto mi dispiace.» Si avvicinò alla porticina metallica. «Ehi Fred, non hai fame? Povero piccolo! Magari poi non ce la farai a camminare per il miglio.»
Lo spioncino venne richiuso.
«Mi piace finire l’anno con il quindicesimo. È stato proprio un bel 1948. Abbiamo fatto un bel po’ di pulizia.» Poi si avviò verso il braccio 14, seguito dal collega dalle gambe magre.
«Sai che li ho visti friggere tutti?» riprese il primo mentre col grosso mazzo di chiavi si districava con velocità nell’aprire e chiudere i cancelli che lo allontanavano dal braccio della morte.
«Lui dice che è innocente» disse il lungo che faticava a mantenere il passo del superiore.
«Sì, certo. Lo sai cosa ha fatto a quella bambina? Eh? Lo sai?»
«Sì, lo so, ma lui…»
«Lui cosa? È un bastardo come tutti.»
Quando arrivarono nell’ufficio del direttore, il sacerdote, seduto sulla sedia in penombra, si alzò di scatto.
«Tocca a lei padre. Non sia troppo clemente. Mc Tiehf, accompagnalo!»
Quando il sacerdote uscì dalla cella, aveva il libricino marrone stretto al petto. «Che Iddio abbia pietà di lui.»
Il direttore, con altri quattro in giacca e cravatta, era lì fuori ad aspettarlo.
Quello col vestito grigio scuro si avvicinò. «Venga padre. È ora di andare, fra mezz’ora sarà tutto finito.»
«Ha voluto confessarsi. Ho visto i suoi occhi. Io gli credo.»
«Venga padre.»
«Ma dice di essere innocente, dice che il suo avvocato ha detto che hanno preso il vero colpevole. Stava aspettando la sospensione.»
«Padre, venga. È troppo tardi. L’esecuzione non può più essere fermata.»
«Ma io vi dico che…»
«Venga!» Il direttore si era avvicinato. «Voi due» disse rivolto ai secondini all’angolo del corridoio «andatelo a prendere. Manca un quarto d’ora alle dieci. È ora.»
La neve scendeva intensa. La stanza del centralino era gelata. Jim Stonebrender era rimasto solo. Guardò l’orologio sulla parete: le 9.57. Ancora pochi minuti e sarebbero tornati tutti.
Il telefono squillò.
«Carcere di Long Isle» rispose indolente. «Cosa? Come bloccare? Adesso? Ma… Sissignore, certo.»
Si alzò buttando il telefono sul tavolo. Si voltò verso la porta e fece per uscire. Il piede sinistro non ebbe problemi. Fu il destro che si infilò sotto la sedia. Il metallo della spalliera fece un tonfo sbattendo sul pavimento ma fu nulla rispetto al rumore sordo della sua testa che cozzava sullo stipite.
Si riebbe dopo qualche secondo.
Giusto in tempo per vedere le luci che si abbassavano ronzando, per poi tornare alla normalità.
E al silenzio.