Mai fermarsi alle sole apparenze. Un racconto di Fernando Nappo.
Cara mamma, tre giorni fa ho fregato una bici.
Non era una bella bici, ma tanto non mi serviva che lo era. era anche un pò vecchia e con la vernice che veniva via ma mi andava bene lo stesso.
Lo’ fregata al Riccardo, il figlio del panettiere, che quando entra a consegnare il pane dalla Laura ci sta sempre mezzora. Sta li e parla, parla, e a me non mi ha mai nemmeno detto ciao. E la bici la lascia li’ fuori dal negozio.
Allora mi e’ venuta un idea e glielò fregata, che mi serviva di piu che a lui, e poi lui c’ha i soldi per ricomprarsela se proprio non poteva aspettare che gliela davo indietro.
Allora ci sono saltato su e ho cominciato a pedalare con tutta la forza che c’avevo nelle gambe.
Ma quello se ne’ accorto e ha cominciato a urlare che qualcuno gli aveva fottuto la bicicletta.
Allora mi sono voltato e glio gridato di non dire le parolacce e che la bici miserviva solo per una cosa. ma lui ha continuato a gridare.
Ma non sono più pratico a guidare una bici e cera troppa gente per strada, qualcuno ha cercato di fermarmi e io mi sono spaventato e sono caduto.
Non o fatto in tempo a rialzarmi che il Riccardo è arrivato di corsa e ha cominciato a spingermi e a dirmi un sacco di parolacce. E mi ha dato anche uno schiaffo.
Gli ho ripetuto che non doveva dire le parolacce, come mi ai insegnato tu, ma non la smetteva. Era così arrabbiato che dei signori lo tenevano fermo e gli dicevano di calmarsi, che tanto la bici laveva recuperata. Ma lui mi ha dato del ladro e a detto un sacco di brutte cose su di te e che non potevi mica insegnarmi niente di buono. Allora mi sono arrabbiato anchio e gliel’ho urlato in faccia a lui e agli altri che avevo preso la bici perché ho pensato che forse se pedalavo abbastanza forte riuscivo a passare davanti alla luna, come nel film, e così qualcuno mi vedeva.
Per un po sono stati tutti zitti, poi sono arrivati due carabinieri e mi anno portato via.
L’avvocato è gentile, dice che forse non mi mettono in prigione. Dice che ce’ un posto dove posso andare e ci sono tante persone che ci possiamo fare compagnia. Ma la sai la cosa più bella?
L’avvocato dice che il riccardo ha voluto comperarmi una bicicletta tutta nuova, col cestino davanti e la luce per quando vai in giro la sera.
Li c’hanno un giardino grande e mi ha detto che forse riesce a farmela portare, così la uso tutti i giorni, proprio come voglio io.
Questa lettera e anche le prossime che ti scrivo le mando a lui. Mi ha detto che ci pensa lui a venire a leggertele, che tanto va tutte le settimane a cambiare i fiori alla sua mamma.
E non preoccuparti, che non mi hai fatto venire su un ladro. Gliela restituivo davvero la bici al riccardo dopo che l’avevo usata.
Un furto, una corsa sfrenata in bicicletta, un incidente. Tante parole, alcune più aspre di altre. Arrivano i carabinieri e il delinquente viene portato via. Ma il finale giunge inaspettato.
Il racconto trabocca di errori grammaticali talmente credibili che sorge il dubbio che forse non siano stati messi lì volontariamente dallo scrittore. Consapevole di poter sbagliare, ma fedele al mio compito di commentatore “esterno” e non facilitato dall’interazione con l’autore per saggiarne la padronanza della lingua italiana, farò una valutazione basandomi solo sul racconto, così come mi appare nel suo insieme.
La storia è svolta in forma epistolare e narra la disavventura di un bambino molto piccolo (ma potrebbe benissimo essere un ragazzo con un deficit mentale) , che dopo aver commesso un atto riprovevole viene catturato dai carabinieri; dimostrata tuttavia la sua buona fede e la sua condizione di orfano, viene condotto in un luogo adatto alle sue esigenze e perdonato dal derubato.
In ottica complessiva e considerando il poco che si sa sull’identità del protagonista, le sgrammaticature potrebbero quindi essere una scelta espressiva dello scrittore. Detto questo, forse per deformazione professionale, leggerli mi ha dato un fastidio pazzesco, quasi fisico. Passino gli errori sintattici: ricreare il parlato di un bambino o un minorato è un legittimo obiettivo espressivo, ma gli errori grammatical-lessicali no, per favore. “Lì” si scrive con l’accento, “po’” con l’apostrofo e via dicendo.
Imitare mimeticamente questo tipo di errori nello scritto epistolare equivarrebbe a scrivere i dialoghi come realmente parlano le persone, con mille pause, intercalari e suoni inutili, concordanze verbali errate e via dicendo. Per quanto mi riguarda, e secondo la quasi totalità dei manuali che ho letto e degli esperti con cui mi sono confrontato sul tema, non è così che si crea un registro linguistico. Bisogna imitare in modo funzionale, non ricalcare: deve solo dare l’impressione giusta.
Non è facile trovare questo registro, ne sono ben consapevole: l’unico sistema è provare, ascoltare il responso dei lettori ed eventualmente intervenire, finché il risultato è soddisfacente.
Per il resto, il racconto ha una certa poesia. Nel contenuto, è la corretta realizzazione di quanto non è riuscito all’autore di “Ad armi pari”, mentre nella forma la situazione è opposta. Tra i due, nella mia classifica premierò “Ad armi pari” solo perché quest’ultimo mi ha fatto arrivare in fondo, prima di deludermi, mentre se non fossi stato costretto a continuare, avrei abbandonato “Voglio la bici di ET” al secondo errore grammaticale.
Detto questo, sprono l’autore a continuare: solo chi sperimenta diventa più bravo.
Ciao Livio,
grazie per l’articolato commento.
Mi confermi, cosa in parte già evidenziata dagli altri partecipanti al contest, che uno dei punti più controversi del racconto è la difficoltà a identificare in maniera chiara il protagonista e, di conseguenza, a empatizzare con lui. Così come lo stile sgrammaticato, forse un po’ troppo, come sottilineato anche da altri, non contribuisce certo alla leggibilità.
Dissento, invece, riguardo all’uso improprio degli errori grammaticali. Il racconto è di fatto una lettera scritta di suo pugno dal protagonista. A mio avviso, in un caso del genere, l’autore non deve commetere ingerenza intervenendo in qualità di correttore di bozze.
Lo stesso Daniel Keyes in Fiori per Algernon, romanzo che in qualche modo ho inteso omaggiare col mio racconto, sfrutta lo stesso espediente per raccontare in forma di diario le vicende di Charlie Gordon, un trentenne ritardato.
A parte questo, grazie molte per la lettura approfondita e i suggerimenti di cui cercherò di fare tesoro.
Alla prossima.