Le renne cantano Jingle Bells

Le renne cantano Jingle Bells

 

Il primo Zombie è stato Babbo Natale. La morte gli ha congelato in faccia il rictus forzato del “Cheese” pronunciato prima dello scatto.
Nella foto si vede, l’ho fatta pochi secondi dopo il decesso.
Lui è seduto nella slitta in una posa innaturale e rigida, la faccia così bianca che non si distingue dalla barba finta. Le renne sono venute mosse: sono di quelle meccaniche, con la testa e le corna che ciondolano mentre cantano Jingle Bells.
Quel vecchio ciccione si è sparato un blister di Xanax, buttandolo giù con una mezza bottiglia di Gordon’s.
Il suo cardiologo sarebbe inorridito, mi ha confessato.
«Ma che cazzo fai!» Ho protestato.
«Tocca tirare avanti!» Ha berciato strafottente.
Poi ha preso a cantare Jingle Bells, muovendo la testa come le renne, per pigliarmi per il culo.
Lui risolveva tutto così, una manciata di pasticche annegate nell’alcool e a me toccava il resto. Fare il coglione con i ragazzini, intrattenere i genitori, tenere in piedi quel deficiente vestito di rosso strafatto e scattare le foto prima che crollasse in terra o vomitasse l’anima.
Gli avrei detto, cazzo ma a me non ci pensi? Devo tirare avanti pure io! Già è complicato stare la sera della vigilia in giro con il freddo e la puzza che c’è in tutta la città da quando si è rotto il sistema di filtraggio dell’inceneritore.
Ma non c’era tempo perché in quel momento sono arrivati una mamma con il suo marmocchio.
«Una foto con Babbo Natale?» Ho chiesto.
«Ma si, almeno avrai un ricordo di Natale diverso da questa aria tossica.» Ha detto la mamma al figlio che tossiva.
Ho sistemato il bambino sulla slitta, vicino a quello stronzo in costume.
Devo fare sempre tutto io, ho pensato.
Il bambino non c’è stato modo di farlo sorridere.
Quando non tossiva teneva il broncio con le guance grassottelle gonfie d’aria e lo sguardo basso.
Poi le solite cazzate: guarda l’uccellino e uno e due e il lampo del flash.
Un bel bambino. Biondo, paffuto e con le guance piene di lentiggini. Uno di quei bambini da pubblicità del panettone. Sempre che si riesca a farlo sorridere.
In effetti Babbo Natale ci è riuscito, dopo la foto.
Ha emesso un assurdo gorgoglio, come se fosse uscito da una apnea, si è scosso e ha stretto a se il bambino come se volesse sussurrargli qualcosa.
Il ragazzino ha urlato mentre un fiotto di sangue scaturiva dove prima c’era il suo orecchio. Le fauci di quel vecchio bastardo si sono accanite sulle guance, le lentiggini e il broncio. Quando si è sollevato aveva la barba posticcia grondante di rosso. Sul volto del bimbo la dentatura da latte esposta ora disegna un ghigno non più occultabile.
Ho provato a trascinare via la mamma. Ma non ho potuto nulla contro l’istinto materno. Si è chinata sul figlio disperata. Questi l’ha avvinghiata a se carpendo a morsi dal suo seno, come in una sorta di regressione, il nutrimento.
Ora mi hanno circondato.
Babbo Natale, la mamma e il bambino.
Le renne cantano Jingle Bells.
È la Vigilia di Natale e io sto per fare la fine dell’anguilla.

 

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Ozbo

Marco Roncaccia è un operatore sociale con una compulsione ossessiva per la scrittura. A questo quadro decisamente Horror va aggiunto che ama la bici nonostante sia refrattario anche solo alla parola “sport “e sia una specialista della caduta da fermo. Propina ad amici e conoscenti la birra che autoproduce senza gravi conseguenze gastrointestinali.


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