«In questa teca» disse l’illustre professor Von Klausenoff «può vedere un’applicazione tipica del principio della memoria del corpo.»
Dietro il vetro, un dito attaccato solo a dei tubicini trasparenti continuava a premere e rilasciare il grilletto di un fucile.
«Era di un soldato» continuò l’accademico. «Un veterano che aveva sparato così tante volte che il suo stesso dito aveva memorizzato il movimento. È stato uno dei miei primi successi: un corpo adatto donato alla scienza, insieme alla scoperta dei fluidi nutritivi per tenerne in vita una parte.»
Ero affascinato. Il fucile non era carico, ma se lo fosse stato il dito avrebbe di sicuro sparato almeno una trentina di colpi ogni minuto. «Un’arma da fuoco a ripetizione! Mai visto niente del genere. Potrebbe essere la scoperta bellica del secolo!»
«In quest’altra teca, invece, un’applicazione di tipo ben più commerciale.»
Questa volta le parti erano due, collegate da un fascio di nervi. Un occhio e una mano.
«Il lavoro meccanico del copista» spiegò il professore. «Leggere e scrivere. L’occhio vede, la mano scrive. Dopo un po’, il cervello non serve più. Bastano queste due parti per ottenere una macchina in grado di duplicare un qualsiasi documento.»
Mi avvicinai al vetro. Non c’erano dubbi che la penna stesse scrivendo quello che c’era sul foglio davanti all’occhio. «Una copiatrice automatica! Geniale! Una… come si potrebbe definire… manocchiocopiatrice.»
Spostai gli occhi sulla teca successiva, e rimasi allibito. O meglio, scandalizzato. «Ma… ma…»
«Il braccio di una prostituta esperta. Con mano annessa, ovviamente. Il palo è pieno di acqua calda e rivestito di gomma per trasmettere al palmo la sensazione tattile giusta, quella che scatena il movimento condizionato.»
«Ma… ma…»
«Non è certo un sistema che pensavo di diffondere, è chiaro. Era un esperimento di carattere puramente scientifico. A uso privato, se così vogliamo dire. Ora, nella teca successive…»
Non lo stavo più ascoltando. Ormai avevo capito perfettamente il principio, e i miei occhi correvano sulle teche addossate lungo le pareti del salone, ognuna contenente un’applicazione con ampie ricadute pratiche.
Le gambe di un ciclista facevano girare dei pedali, che volendo avrebbero potuto muovere un veicolo. Magari non da sole, ma in gruppo: «si parlerebbe così di macchine a due, tre o quattro ciclisti-motore.»
Una mano di elettricista girava un cacciaviti. Un’invenzione che avrebbe di molto semplificato i lavori manuali: bastava recuperare quell’estremità da un anziano tecnico per ottenere uno strumento in grado di girare le viti in modo completamente automatico e senza fatica.
Nella teca più grande, al centro della sala, gli occhi e le gambe di un postino si muovevano in quella che sembrava la riproduzione in miniatura del reticolo di strade di un paese. Semplice ma geniale: chi meglio di un portalettere conosce i posti? Fategli vedere una busta con un indirizzo, e le sue gambe vi ci porteranno. Ecco quindi l’invenzione che vi guida, mediante un postino, lungo le strade. Guida-Postino-Strade, o GPS, poteva essere un nome appropriato.
Travolto dall’entusiasmo, stavo per stringere la mano all’esimio inventore, dimentico che di lui restavano solo la bocca e i polmoni, tuttora intenti a ripetere la spiegazione completa delle sue macchine, quella che il cattedratico faceva a tutti i suoi ospiti quando era ancora in vita.
“L’idea che sta alla base di questo scritto è parecchio suggestiva. Ma, soprattutto, funziona il modo in cui è stata usata. Il cuoco ha compiuto il suo dovere, usando la giusta dose di leggerezza e fantasia, regalandoci azzeccate chicche d’ironia. Il finale chiude perfettamente il cerchio e lascia un buon sapore.” (Commento di Massimo Muntoni, giurato del Contest BEST)