Questione di secondi

Questione di secondi

Imposta il cronometro. «Pronto?» chiede.
Annuisco e trattengo il respiro.
«Via!» urla alzando la mano al cielo.
Corro, salto un cespuglio, evito una bicicletta. Sta anche piovendo, quasi scivolo, ma recupero, mancano pochi secondi. Mi slancio sulla strada, raggiungo la X e mi tuffo. Rotolo su un fianco e mi ritrovo inginocchiato dall’altro lato, anche se ancora lontano dal marciapiede. Ho chiuso gli occhi e ho temuto il peggio, ma sono riuscito a schivare la macchina per un pelo.
Il capo si acciglia, poi rotea gli occhi e sospira. «Non basta, devi essere più rapido, sei quasi al centro della strada.»
Chino il capo e sospiro. Ha ragione, così è ancora troppo rischioso, devo migliorare.
«Passiamo al prossimo» dice spostandosi da una postazione all’altra.
Questa volta siamo in un parco. C’è il sole e la zona è affollata. Giovani famiglie passeggiano e i bambini giocano sulle altalene, sullo scivolo, nella sabbia. Qualche cane abbaia e il padrone lo richiama. Sembra un posto tranquillo, non capisco cosa io debba fare lì.
Il capo mi mostra un uomo con un berretto, in mano ha qualcosa. Accanto a lui c’è una X.
Non perdo tempo, scatto come un fulmine, poi salto e volo quasi fino al punto indicato, do una spinta all’uomo che inciampa nei suoi piedi e cade, dalla mano gli scivolano via delle palline dalla carta colorata: rosa, gialla, arancione.
Mi accovaccio sulla X e sto per piangere, ma mi trattengo, devo mantenere la calma: portare agitazione in un momento come quello sarebbe la cosa peggiore da fare. Mi guardo intorno, il capo indica una panchina con una giovane coppia. Mi fermo vicino a loro, allargo le braccia come per consegnare qualcosa e mi volto verso il mio tutore. Lui annuisce. Questa volta sono stato bravo. L’uomo a terra scompare, come tutto il resto intorno a noi, d’altronde si tratta di una simulazione.
Ogni giorno mi mette alla prova, è severo, ma immagino che in questo tipo di cose debba essere così. Sono passati diversi mesi e ora siamo entrambi davanti al cancello. Il capo mi sorride. Io sono nervosissimo.
«Sei pronto?» mi chiede, questa volta con un tono di voce gentile, quasi paterno.
Annuisco di nuovo. Ho paura, ma credo, anzi sono sicuro di potercela fare.
«Non dimenticare quello che ti ho insegnato.»
«Grazie» è l’unica parola che riesco a pronunciare. Il mio stage è finito. Sono pronto.
«Ora vai!» mi urla ridendo di gioia. «Vai, ci siamo quasi!»esulta.
Spiego le ali e mi lancio. Ho una vita da proteggere, d’ora in poi niente più simulazioni, ma pura realtà. Il bambino sta per nascere. Ne sono felice.

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Silver

Lucia, Silver, Sil: ho tanti nomi e tante passioni. Potrei dire che prima su tutte viene la scrittura, ma vi mentirei. Mi piace comunicare, ecco. Amo il cambiamento e mi affascinano le sfide. Che altro dirvi? Sono portata per le lingue. Di fuoco. All'inferno. Insieme ai demoni. E... ops sto divagando!


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