Sintetico borghese

Sintetico borghese

Bullismo dei bambini specchio dell’ipocrisia degli adulti, ma c’è chi riesce a opporsi e urlare ad alta voce ciò che pensa. Un racconto di Serena Aronica.

 
Me ne sto con il naso all’insù, verso un cielo accigliato e rumoroso quando il clacson del pulmino della scuola strombazza facendomi sobbalzare. Recupero il mio zaino da terra e salgo. Le porte si chiudono alle mie spalle, sbuffando sui pistoni esausti. Una pallottola di carta mi sfiora la faccia, seguita da uno scroscio di risate. Provo a stamparmi in faccia un mezzo sorriso, poi cerco rapidamente un posto per sedermi. Tra le facce umide e accaldate, ne trovo una che sembra non prestarmi molta attenzione. E’ un ragazzino con una zazzera rossa simile a stoppa, ha la faccia spruzzata di lentiggini e un paio di occhiali fondi come culi di bicchieri. Mi siedo accanto a lui.
«Ciao!» il mio entusiasmo non deve essere molto contagioso.
Il ragazzino si sistema con l’indice gli occhiali, poi torna a fissare fuori dal finestrino.
Penso che questa nuova scuola farò fatica a farmela piacere.
Il pulmino ci rigurgita davanti una struttura alta e squadrata. Tra schiamazzi e spintoni, raggiungo il portone. Il corridoio è lungo, troppo. Soprattutto per quelli che devono attraversarlo sotto lo sguardo di quelli più grandi. Vedo di nuovo il ragazzino occhialuto. Cammina a testa bassa, i libri stretti al petto. Nessuno lo tocca, ma le parole che gli lanciano addosso pesano più dei sassi.
«Da quale dei due culi sei uscito?» gli ringhia contro un ragazzino grosso come un armadietto.
I tirapiedi del marmocchio ridono tenendosi le pance.
Io vorrei solo vomitare.
La lezione di matematica sembra infinita. Quando finalmente la campanella suona, mi trascino al bagno per pisciare.
Appena davanti la porta dei bagni, qualcuno mi spintona per farsi largo. Mi ritrovo dentro, in un cerchio di ragazzini accaldati e esagitati. Nell’ultimo bagno il ragazzino armadietto sta ficcando nella tazza del cesso la testa di quello occhialuto.
«Ti piace quello che esce dal culo vero?» Tutti sghignazzano.
«Siete una famiglia di froci marci!» E mentre lo dice, con l’altra mano inizia a tirargli giù i pantaloni.
In un attimo mi trovo a menare pugni e calci. In un attimo mi ritrovo con la testa nel cesso a mangiare merda mentre mi chiamano frocio.
Torno a casa in condizioni pietose e racconto ai miei tutto. L’indomani il preside ci vuole tutti nel suo ufficio. Bel modo del cazzo di cominciare.
E’ tutta una manfrina. Il preside è uno di quelli con la faccia da prete, che di notte ama incappucciarsi per andare in giro a bastonare i negri e i froci. Finisce con lo sminuire l’accaduto.
Lo sguardo sconfitto dei genitori del ragazzino roscio mi infiamma il cuore.
Mi giro verso i miei con impeto.
«Voi siete dei genitori sbagliati!» gli urlo in faccia.
Sgranano gli occhi e si fissano.
D’impeto mi allungo e strappo con foga la parrucca bionda dalla testa di mio padre.
Eccoli. Due uomini, davanti a loro figlio.
Li fisso mentre stringo la parrucca sintetica, poi il mio sorriso esplode.
«Ora, siete giusti!» E le lacrime di orgoglio che affiorano nei loro occhi, mi fanno sentire un figlio fortunato.

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Serena Aronica

Apprezzata autrice approdata sulle sponde di Minuti Contati nelle edizioni finali della Terza Era e già capace di conquistarsi un secondo posto.


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