La Storia è fatta d’infiniti combattimenti, ma molti sono rimasti celati nel silenzio del tempo. Un racconto di Raffaele Marra.
A volte, aprendo una porta, mi chiedo se dietro di essa si celi il mio destino.
Mi chiamo Lucio, e se alzo gli occhi vedo, a pochi passi da me, la porta dei miei incubi. Tremo, respiro a fatica, sento le orecchie tuonare.
E prego, con parole silenziose che sfuggono tenui tra i denti stretti.
La porta è ancora chiusa, ma presto la vedrò scorrere, aprirsi a vita come un fiore a primavera, quanto basta per vomitare ai miei piedi tutta la morte dell’inverno.
Mi faccio coraggio, chiudo i pugni fino al dolore, ingoio un rivolo amaro di saliva, stringo gli occhi nella polvere.
Un rumore cupo, legno su legno, schiocco che gela le viscere. E d’improvviso la gente si ammutolisce, sedotta dall’orrore a venire, bramosa di plateali empietà.
Sento crescere il frastuono dei cuori dei miei fratelli, li vedo vibrare, muti e inermi, eppure fieri e decisi.
La porta si muove, lentamente, scorrendo verso l’alto. Stridio di funi, ruggine e polvere.
Ora ritorna il vociare. Sono mille e mille, tutti intorno a noi. Siedono sugli spalti, mangiano, bevono, cantano, bestemmiano, e invocano sangue su sangue.
La porta è bloccata, non sale. Sotto di essa non resta che un sottile spiraglio da cui il ruggito dei leoni penetra nefasto nell’arena come il vento del nord.
Il pubblico protesta, il boato cresce al pari dell’ira dei soldati e, Dio ci perdoni, della nostra speranza.
Il mio destino è una belva inferocita che si dimena al di là di una porta inceppata che una mezza dozzina di soldati tenta invano di sbloccare. Qualcuno, in alto, ride sbeffeggiando la proverbiale efficienza di Roma. Poi la folla si ammutolisce, i soldati si voltano abbandonando i loro goffi tentativi. Persino i leoni paiono chetarsi.
Mi volto, insieme ai fratelli convertiti.
Egli è lì, in piedi, le braccia tese in avanti a sorreggere il mondo o ad affossarlo nella grettezza potente di un Impero. Fissa gli occhi nei miei, per un attimo, poi si muove.
La gente esulta, gode di quel che sarà, accompagna i suoi passi sbavando eccitata. L’arena trema come al passaggio di un dio o di un’orda di barbari.
Egli è giù, pesta la stessa sabbia che punge i miei piedi nudi, sente l’odore del sudore, l’alito caldo delle belve ancora digiune. Venti soldati lo seguono in formazione, scrutano i nostri corpi deboli, leggono le intenzioni, guardano i petti dove affonderanno le spade. I suoi occhi azzurri, privi di emozione, si posano nuovamente nei miei. Dicono che ami discernere sul destino, che componga poemi, che dialoghi con le stelle, che avverta i pensieri degli uomini. È forse questo il motivo per cui, tra dieci Cristiani, ha scelto proprio me.
La folla applaude mentre tende una mano a destra che qualcuno, prontamente, riempie con il manico di una spada.
È il momento. La porta dei leoni, per oggi, non sarà aperta. Ma sarà Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico, imperatore di Roma, a tagliare con lama il filo della mia esistenza. Abbozza un sorriso finto sotto la barba rossiccia, un ghigno animale che seduce la folla e stritola il mio cuore. Ora tende la punta del gladio verso il mio collo. Lo stesso fanno gli altri soldati verso i miei fratelli.
Sarà il primo.
Sarò il primo.
Accade tutto in un istante fuori dal tempo, un solo, fulmineo movimento. Afferro il suo polso, lo giro frantumandolo, lo premo in avanti affondando la lama nella preziosa carne dell’imperatore.
La folla torna muta, gelata in un destino che non è il mio né quello del mondo.
Ora sono steso sulla sabbia, colpito non so da chi, senza forze, con un sapore dolciastro nella gola. Intorno a me la cortina di soldati è pronta a fare strazio di quel che resta del mio transito terrestre.
Il corpo senza vita dell’imperatore è trascinato via frettolosamente.
I miei fratelli pregano a voce alta: sono donne, anziani, bambini. Sono loro il destino del mondo.
Roma avrà a breve un nuovo Nerone; dicono che ci siano almeno dieci sosia pronti a sostituirlo. Nessuno saprà della sua morte, nessuno oserà narrarne la sconfitta. Quello che è accaduto oggi sarà taciuto per sempre. Le spade dei Romani si tingeranno oggi del nostro sangue, e si dirà che i leoni hanno avuto il loro pasto.
Nessuno racconterà mai di una porta scorrevole che non si aprì.