Un racconto che sfonda la scena per dare uno sguardo nel retroscena e dimostrare che la realtà sa fare male nei modi più impensati. Un racconto di Angela Catalini.
Fin dagli anni settanta gli emigranti centro americani provenienti dall’Honduras, dal Guatemala o da El Salvador, tentano di attraversare il Messico per arrivare negli Stati Uniti. Fuggono da sistemi corrotti, da bande di criminali, da paesi tra i più violenti del mondo. Durante la strada, che percorrono senza documenti per non essere riconosciuti e rimpatriati, sono uomini e donne senza identità in cerca di una vita migliore. Molti di loro spariscono durante il tragitto perché sono facile preda di banditi, stupratori e assassini senza scrupoli.
Tapachula è un paese che si trova al confine tra il Messico e il Guatemala. Un posto dove la criminalità è forte e se non fai parte di una banda, che siano i temuti Los Zetas o la Gang 18, la tua vita è a rischio.
Ismael lavora nell’officina meccanica del signor Zuta. È un ragazzo cresciuto in fretta, ha un ciuffo alla Elvis Presley e una passione per i motori e le ragazze. Il signor Zuta era amico di suo padre, era presente quando fu ammazzato per strada con due colpi di fucile al collo, ma non parlò mai degli esecutori. Un giorno finisce ammazzato con un colpo di machete nel giardino di casa e l’officina chiude i battenti.
Ismael ora è senza protezione, senza lavoro e senza una famiglia.
La signora Ortensia vende bibite e a volte regala consigli. Lo ha visto crescere e non vuole vederlo morire.
Gli porta una soda e si siede accanto a lui con gli occhi cerchiati di blu e i capelli raccolti a crocchio sopra la testa.
«Mio figlio ha trovato qualcuno che gli farà passare il confine» dice. «Bisogna pagare se si vuole arrivare tutti interi e io ho intenzione di affidare i miei risparmi a Santhos. Perché non parti con lui? Via da questa barbarie, via da un paese malato che ti succhia il sangue.»
Ismael scuote la testa.
«Non voglio lasciare Tapachula, sono nato qui e ho seppellito prima mia madre e poi mio padre. Adesso che è morto anche il signor Zuta posso dire che tutta la mia famiglia è nel cimitero vicino alla pietraia.»
Ismael non è solo, ha un cane che si chiama Lupe. Lupe era un cane del deserto, un giorno il padre lo aveva portato a casa; era ridotto pelle e ossa e tutti pensavano che non avrebbe trascorso la notte. Invece Lupe era sopravvissuta e aveva imparato a convivere con gli esseri umani e a fidarsi. Gli stampa un bacio sul muso e si addormenta insieme al suo cane.
Il giorno dopo attraversa il cimitero, la pietraia e si inoltra nella giungla. Santhos non lo sente neppure arrivare, il machete gli tronca la giugulare e il sangue si spalma sulle foglie e si mischia alla rugiada.
Ismael fruga nelle tasche di Santhos e trova il tesoro di Ortensia. Con quei soldi avrebbe rilevato l’officina del signor Zuta.
I migranti spariscono ogni giorno vittime di banditi, di trafficanti, di stupratori che li torturano, li derubano e poi li uccidono. Sono uomini e donne senza documenti e senza identità in cerca di una vita migliore.
Ma la dura realtà è che se vuoi sopravvivere, devi diventare invisibile.