Specchio

 

L’indissolubile legame fra gemelle in un inquietante racconto di uno dei maestri di Minuti Contati, Stefano Pastor.

 
Accarezzò la sua guancia, poi scese leggera lungo il collo. I suoi occhi era azzurri, così chiari da sembrare luminosi. I capelli scendevano morbidi sulle spalle. Era ancora molto bella.
«Quanti anni sono, Jessica?»
L’abito era verde, sgargiante, con la vita alta, che metteva in risalto il suo seno. Indossava un paio di orecchini, con delle piramidi rovesciate.
«Cinque anni, Eva. Perché mi hai voluta vedere?»
Era impressionante, cinque anni che non si vedevano, eppure erano ancora identiche. Avevano la stessa acconciatura, indossavano il medesimo vestito, persino gli orecchini erano gli stessi. E non era stata una scelta, era venuto spontaneo a entrambe, senza bisogno di pensarci.
Tra loro era sempre stato così, erano più che gemelle, le loro menti erano simili, collegate in ogni istante della vita, anche se a volte passavano anni senza incontrarsi.
«A dicembre sei stata male.»
«Una sciocchezza. Anche tu?»
«Vi siete lasciati, ho sentito.»
Alzò le spalle. «Ora sono anch’io divorziata come te.»
Convenevoli indispensabili, tra due sorelle che non si incontravano da così tanto tempo.
«Perché mi hai chiamato?» chiese di nuovo Jessica. «Non ci siamo lasciate molto bene, l’ultima volta.»
«Siamo più simili di quanto vorremmo.»
«Stai male, vero? Hai qualche malattia. È qualcosa di serio, ne sono sicura.»
«L’hai sentito?»
«Certo che l’ho sentito! È sempre successo, e stavolta più che mai. È qualcosa di molto grave, ne sono certa.»
Eva considerò finiti i convenevoli e indicò il tavolo. «Siediti, mangiamo, parleremo con più calma dopo.»
Una di fronte all’altra parevano riflesse in uno specchio.
Eva versò da bere per entrambe, poi glielo disse. «Ho il cancro, Jessica. Un cancro all’ultimo stadio. Non c’è più niente da fare.»
«Oh, mio Dio!»
«Non fare l’ipocrita, per favore. Noi non ci amiamo, non ci siamo mai amate, siamo troppo simili per fingere.»
«Questo non c’entra. Mi dispiace lo stesso.»
Eva svuotò il calice e lo riempì di nuovo. Ne versò anche a Jessica.
«Hai paura?»
«Per te? Sì, certo.»
«No, non per me. Hai paura di quello che proverai quando morirò?»
Jessica rimase a bocca aperta.
«Quando ti sei rotta una gamba, da bambine, io sono stata malissimo, non potevo più muovermi. E quando ti hanno operata di appendicite è stato straziante, ho urlato per tutta la notte.»
«È diverso,» mormorò Jessica, ma aveva paura.
«Ti sei mai chiesta cosa ci aspetta dopo? Se c’è qualcosa, oppure no? Non è terribile non sapere?»
Jessica era sempre più a disagio. «Non ci tengo minimamente.»
«Finora nessuno è mai tornato per raccontarlo. Questa potrebbe essere la prima volta.»
«Cosa stai dicendo?» strillò.
«Quando morirò, tu lo vedrai. Vedrai cosa c’è dall’altra parte. Saprai cosa provo io.»
«È un’assurdità!»
«È tanto che ci penso, sai? Sapere cosa c’è dall’altra parte, cosa mi aspetta. Ne ho paura. È terribile non sapere. Dover morire e non sapere.»
«Forse è meglio, non credi?»
«Be’, io non sono fatta così. Io odio le sorprese. Non sopporto di andarmene in questo modo.»
Jessica sospirò. «Cosa vuoi che faccia? Perché ti conosco, tu vuoi sempre qualcosa. E smettila con queste stupidaggini dell’aldilà, dimmi di cosa hai bisogno.»
«Oh, quello di cui ho bisogno, tu lo stai già facendo.»
«Che significa?»
«Penso che sia l’unica soluzione. L’unico modo per sapere. Devi essere tu a dirmelo. Devi andare prima di me.»
Jessica era esterrefatta. Cercò di alzarsi in piedi ma ebbe un capogiro. Ripiombò a sedere, sconvolta. «Che cosa mi hai fatto?»
«Ti ho uccisa, temo, ma non avevo scelta.»
«Sei pazza!»
«Quando sarai di là, io lo saprò. Saprò cosa mi aspetta.»
«Non puoi! Non puoi!»
«Tranquilla, non sarà doloroso. Fra pochi minuti sarà tutto finito.»
«Perché? Perché?»
Eva allungò il braccio e le accarezzò una mano.
«Non avere paura, non ti lascio sola.»
Ci vollero tre minuti prima che la morte la raggiungesse. Tre minuti in cui non riuscì più a parlare né a muoversi perché il veleno l’aveva paralizzata. Solo i suoi occhi erano vivi e pieni di terrore. Poi si spensero anch’essi.
Anche gli occhi di Eva si spensero, per un lungo, interminabile minuto.
Poi tornarono vivi, e luccicavano più che mai.
Un sorriso apparve sul suo volto. Un sorriso di trionfo. Poi si mise a ridere, mentre estraeva dalla borsetta la rivoltella.
«Sto arrivando, Jessica, non preoccuparti. Ora vengo anch’io.»
Poi se la puntò alla tempia e sparò.
 

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