Abitudini

“Se non sei troppo di fretta ti offro un caffè!”, Sergio si avvicina alla macchinetta.
“Spicciamoci però che è già il secondo che prendo oggi e Pinotti sicuro ci sta aspettando”.
Infilo cinquanta centesimi, seleziono un espresso, lasciando le tre tacchette di zucchero, che a Sergio piace dolce.
“Allora, domani sera, dopo il lavoro, calcetto?”, gli passo il bicchierino, “attento che scotta!”.
“Se mi sbrigo con le pratiche direi di sì, hai già sentito gli altri?”, mi risponde soffiando sul caffè prima di ingollarlo.
“Ma tu lo guardi mai il gruppo? Ha scritto ieri sera Luca!”, infilo altri cinquanta centesimi, seleziono un macchiato, senza zucchero. Non penso a quello che sto facendo, mi viene automatico. Alla fine è un gesto che ripeto almeno tre volte al giorno, cinque giorni la settimana da quattro anni.
Cinquanta centesimi, secondo tasto e poi schiaccio il meno per tre volte.
“Ah, quello che ci voleva… Amaro come la vita”, stringo il bicchierino nella mano e lo lascio cadere nel cestino.
“Finiscila con ‘sta stronzata che dici tutti i giorni. Bevi meno caffè e la vita sarà più dolce”, Sergio stringe il bicchierino nella mano e lo lascia cadere nel cestino. “Che poi con ‘sto caldo sarebbe meglio bersi una Coca-Cola ghiaccio e limone… Torniamo in riunione, va! Ultima fatica…”, mi tira un pugnetto al fianco. Lo fa sempre. Almeno una volta. Cinque giorni la settimana. Da quattro anni.
 
“Ti sta vibrando il telefono!”, Giorgia fissa il pc e parla come un automa.
Il ventilatore puntato addosso.
“Sistemo ‘sta cosa e lo guardo, se è urgente mi chiamano in ufficio”, infilo i documenti nel faldone.
“Come è andata la riunione?”, mi chiedo come faccia a rimanere concentrata e continuare a parlare, “Rossi è stato simpatico come sempre?”, Giorgia è la prova che le donne sono davvero multitasking.
“Un po’ più mansueto. C’è da dire che Pinotti oggi era una furia, ma almeno questa ce la siamo tolta… Iniziavo a non dormire più, questa storia mi impensieriva parecchio, ma direi che è fatta!”, tiro un respiro profondo e metto le cose nella ventiquattrore. “Ci vediamo domani o esci anche tu adesso?”
“Ci vediamo domani, preferisco finire questo documento”, Giorgia stacca un solo momento la mano dalla tastiera e abbozza un saluto. Lo sguardo sempre allo schermo.
“Ok, a domani. Non stressarti troppo!”, le sfioro la spalla e abbandono l’ufficio. Finalmente libero.
 
Sto scendendo le scale quando lo sento di nuovo. Mi dimentico sempre di avere un cellulare quando sono al lavoro. Non mi piace avere distrazioni, così lavoro bene e quando stacco, stacco davvero. Lo infilo in borsa appena esco dall’auto e lo guardo solo quando torno a casa. Tanto anche Marta è al lavoro e se ci sono urgenze ha il numero dell’ufficio.
“Vediamo un po’ chi è che rompe le palle”, sussurro mentre saltello sulle scale. Apro la borsa ed estraggo il telefono.
Sette chiamate perse e dieci messaggi.
Leggo l’anteprima:
 

    WHATSAPP 7h ago
    Carmela Babysitter: Ciao. Non mi porti Daniele oggi? Marta non mi risponde e non mi ha detto niente, ma magari si è scordata… 😉

 
Mi si ferma il cuore.
“Daniele!”.
Lascio cadere la borsa e mi fiondo giù per le scale, saltando i gradini.
Rischio di cadere.
Del fuoco vivo mi attraversa l’esofago.
Urto lo stipite della porta e attraverso la strada.
“Pezzo de merda, guarda dove cazzo vai! ‘Sto criminale!”, il ragazzo sul motorino ha inchiodato.
Non mi fermo.
Non l’ho nemmeno visto.
Lo sento urlare ma non me ne frega niente.
Parcheggio sempre nello stesso posto.
Ecco la macchina.
“Daniele! Daniele!”, urlo così forte che mi fa male la gola.
 
 
Papà dimentica il figlio nell’automobile e va al lavoro: morto il bambino di 2 anni
Una leggerezza. Una riunione importante. La routine. Come ogni giorno ha parcheggiato l’automobile in una zona soleggiata e si è diretto in ufficio, dimenticando il figlio nella vettura. Inutile la corsa in ospedale