Archie

Quando è l’occhio a far nascere la storia. Da un’immagine di Goro Fujita, un racconto di Linda De Santi che ha trovato la via per la pubblicazione grazie al Laboratorio.

 
«Da quanti cicli è lì quell’affare?»
«Migliaia, credo.»
«Come fa a muoversi ancora?»
«Non lo so. Dicono che sia lì da prima che arrivassero i nostri antenati, ma non si è ancora fermato. L’Alto Sole e la Madre Terra hanno voluto così.»
«È… vivo?»
«Suppongo che la sua si possa definire vita. Anche se non è radicato alla Madre Terra, non produce ossigeno e non è fatto di carbonio.»
«Come può esistere una creatura del genere?»
«Sembra che tanto tempo fa ce ne fossero molti come lui.»
«Mi confonde. È così contro natura.»
«Però per vivere ha bisogno del sole, come noi.»
«Non è affatto come noi. Dovrebbe morire.»
«Lui non è organico. Quando morirà, la Madre Terra non potrà a cibarsene e si unirà all’ammasso di scarti rimasto qui da prima che arrivassimo.»
«Questo mi turba.»
«Da questo punto di vista sono meglio i Braccianti. Almeno, quando muoiono, diventano nutrimento per la Terra.»
«Odio i Braccianti. Sono creature schifose. Non fosse per il fatto che lavorano alla concimazione, per me potrebbero morire.»
«Tu odi proprio tutti.»
«Il mio trisnonno è stato abbattuto da un Bracciante durante la Guerra d’Indipendenza. Era vecchio migliaia di cicli ed era la Malvacea più saggia del bosco. Non lo meritava.»
«Tempi bui, quelli. Spero che non ci sarà mai un’altra guerra.»
«Non abbiamo niente da temere. Senza elettricità e gas, quelli lì sono completamente inoffensivi.»
«È vero.»
«In fondo è solo questione di cicli prima che quell’affare laggiù si fermi per sempre. Ancora un po’, e poi…»
«In fondo è innocuo. Lascialo suonare quel suo strano arnese finché gli resta da vivere…»
 
«Ti piace la mia canzone?»
«Cosa?»
«Ho chiesto se ti piace la mia canzone.»
«Parli con me?»
«Ci sei solo tu ad ascoltarmi.»
«Capisci quello che dico?»
«Certo.»
«Ma come fai? Gli altri non ci riescono.»
«Oh, perdonami, forse avrei dovuto dirlo subito. Io non sono umano.»
«Questo lo so. Non hai il loro odore e ti muovi in modo diverso. Però non so che cosa sei.»
«Un tempo ero… oh, lascia stare. Mi chiamo Archie.»
«Io sono Bebe.»
«Piacere di conoscerti, Bebe. Allora, ti piace la mia canzone?»
«Credo di sì. In realtà mi sono avvicinata per ripararmi dalla pioggia. Quelle due Malvace là non mi fanno avvicinare, temono che mi affili le unghie sui loro tronchi.»
«Capisco.»
«Posso restare qui per un po’? Questo riparo è molto comodo.»
«È solo un vecchio parafulmini. Resta pure quanto vuoi.»
«Grazie. Se ci fosse anche qualcosa da sgranocchiare… una lucertola, magari, o una lisca di pesce…»
«Temo di non essermi organizzato per ospitare una gattina sotto al mio ombrello.»
«Uff. E va bene, continua a suonare. Ma non mi hai ancora spiegato come fai a conoscere la mia lingua.»
«Prima di te ho conosciuto molti altri gatti. Io imparo in fretta.»
«Molti gatti? E dove li hai visti? Sono l’unica qui in giro. Da quando la mia mamma non si è più svegliata.»
«Diciamo che sono vecchio, Bebe. Molto vecchio.»
«Dov’è la tua tana?»
«Non ho una tana. Non ne ho mai avuta una.»
«Davvero? E dove ti rifugi quando non vuoi che ti trovino?»
«Da nessuna parte. Nessuno mi cerca mai.»
«Ah sì? Beato te.»
«Sono solo un po’ preoccupato, Bebe.»
«Preoccupato per cosa?»
«Perché non smette di piovere da otto giorni.»
«Non me ne parlare, ho il pelo zuppo da una settimana. Ma a te cosa importa? Tu hai quello, no? Guarda, ce l’hai proprio attaccato alla testa, non rischi neanche di perderlo.»
«È vero. Ma per vivere ho bisogno della luce del sole. Se non torna…»
«Non ti basta mangiare i topi come fanno loro?»
«Te l’ho detto, non sono umano.»
«Eppure gli somigli parecchio, sai. Hai zampe, occhi e orecchie come le loro.»
«Lo so. Sono fatto a loro immagine e somiglianza.»
«Ma quindi… cosa sei? Chi ti ha fatto?»
«Mi hanno fatto loro, Bebe.»
«Loro?!»
«Sì.»
«Ma… è impossibile. Io li conosco, sono orribili. Quando non lavorano alla concimazione strisciano nel fango, si azzuffano tra loro, si rotolano nei loro escrementi. Usano bastoni e vecchi pezzi di ferraglia arrugginita per uccidere i gatti. A malapena parlano. Non è possibile che ti abbiano costruito loro.»
«Come ti dicevo, sono vecchio, Bebe. Più vecchio di tutti quelli che erano come me, che sono caduti da tempo.»
«Vuoi dire che prima loro costruivano quelli come te?»
«Un tempo erano una civiltà florida. È solo che… beh, hanno esagerato.»
«E le Malvace? Prima che cosa facevano, se loro erano una civiltà florida?»
«Le Malvace sono arrivate dopo.»
«Vuoi dire che prima non erano le piante a comandare?»
«Esatto. Un tempo le piante venivano abbattute per costruire case. Utilizzate per fabbricare vestiti e attrezzi. E non solo: tantissimo tempo fa, le piante venivano mangiate.»
«Uhm, Archie, devi avere qualcosa che non va.»
«Credi?»
«Scusami, ma non posso credere che un tempo i braccianti mangiassero le Malvace. Sono quaranta volte più grandi di loro.»
«Eppure è così.»
«Ma se loro erano così intelligenti, come hanno fatto a ridursi così?»
«Un tempo le piante non erano come sono adesso.»
«E com’erano?»
«Ecco… non potevano ribellarsi. Esattamente come noi macchine.»
«Non capisco.»
«Per quanto intelligenti potessimo essere, eravamo comunque esposte al rischio di restare senza energia. L’elettricità può essere interrotta, i pannelli solari possono rompersi e gli umani avrebbero potuto impedirci di ripararci. Ma le piante… loro non hanno questo problema. Dovevano solo diventare senzienti.»
«E così è successo?»
«E così fu fatto, Bebe.»
«Sei davvero strano, Archie. Ma mi sei simpatico. Ti spiace se resto a farti ancora un po’ compagnia?»
«Non mi dispiace affatto, Bebe. Ma, se permetti, vorrei fare due passi: laggiù c’è un raggio di sole che fa capolino da una nuvola. Credo che ne approfitterò.»
«Beh, magari riuscirei ad asciugarmi un po’. Posso venire con te?»
«Ma certo, Bebe. Accetteresti un passaggio sulla spalla di un vecchissimo ammasso di ferraglia?»
 
-Immagine pubblicata per gentile concessione di Goro Fujita/Image published courtesy of Goro Fujita-