Supero l’ingresso e nonna Ebe mi chiude la porta alle spalle.
«Ma quanto sei cresciuto?»
Mi fissa come se fossi appena uscito da un uovo di pasqua gigante. Mi mette ansia.
Non ci avevo mai fatto caso, ma ha il naso uguale a quello di mamma. Allunga la mano verso il mio viso. Mi ritraggo dalla sua carezza, ma con la punta delle dita riesce a sfiorarmi la guancia. Ha i polpastrelli ruvidi come una grattugia.
Lascio cadere lo zaino a terra, tutta la mia vita racchiusa in un Invicta giallo e blu.
«Qual è la mia camera?»
L’espressione sulla faccia rugosa si incupisce. Tagliamo corto i convenevoli, non sono dell’umore.
«Vieni.» Nonna Ebe si appoggia sul divano, sulla poltrona e poi allo stipite della porta. Arzilla!
Dalla cucina l’odore di ragù invade il disimpegno.
Mi indica l’uscio sulla sinistra. «Quella era la stanza di tua madre, ti ho già preparato il letto. Il bagno invece è qui. Spero non fossi abituato alla vasca.»
Apre la porta a scomparsa: un’orribile doccia da vecchi, di quelle dove mettersi seduti per non rischiare di cadere, occupa metà della stanza. I sanitari sono ingialliti dal tempo e c’è odore di deodorante alla lavanda. Odio la lavanda.
Non ho intenzione di mettere radici in questo posto di merda. È una soluzione provvisoria, un paio d’anni al massimo. Una volta maggiorenne troverò un lavoro e andrò via da questa catapecchia proprio come ha fatto mamma.
La vecchia continua a fissarmi. «Che cazzo hai da guardare?»
Sgrana gli occhi. «Non ti permettere, sai!» Mi prende il lobo dell’orecchio e tira.
«Ahia! Ma che fai!»
Spalanca la porta della camera e mi spinge dentro. «Forse non hai capito come stanno le cose.» Alza l’indice ad ammonirmi. «Vedi di rigare dritto fin da subito, ragazzo.»
Sparisce nel corridoio imprecando.
Non capisco come facesse mamma a esserle tanto affezionata. Ogni volta che la siamo venuti a trovare è sempre stata così rigida e bacchettona, una palla al piede.
Ricompare sulla soglia e mi tira addosso lo zaino. «Quello è l’armadio. Si pranza tra un’ora.»
Ma come si permette quella stronza? Non si rende conto di come mi sento? Scaglio lo zaino sul letto, la testata di legno sbatte contro il muro e segna l’intonaco. Tanto questa stanza è un cesso!
Il magone alla gola non accenna né a salire né a scendere. Vorrei tanto urlare…
Tiro fuori il cellulare, faccio partire spotify e infilo le cuffie. Apro le ante della finestra per lasciare entrare un po’ d’aria, c’è puzza di chiuso. I rami di un ciliegio in fiore sfiorano il davanzale. Nessun rumore di traffico, solo il fruscio del vento tra i fiori.
Mi faccio un selfie. Filtro polaroid, perfetto. Cosa posso scrivere? Ah sì!
#vitaincampagna #misentogiavecchio #preferivolasfalto
Non faccio in tempo a postarla che ho già un like. Il cellulare continua a vibrare per i primi commenti. Un po’ di normalità mi ci voleva proprio. Mi siedo sul letto e scorro lo schermo.
“Vieni al campetto più tardi?” “Sono in campagna da mia nonna. Lascia perdere.”
“Dove ti sei cacciato, bro? Ti sto aspettando su COD!” “Qui me la sogno la fibra.”
“Ho sentito di tua madre… se vuoi parlarne sono qui.”
Blocco la tastiera.
Mi stringo la base del naso e mando giù. Il magone è sempre lì, non si è mosso di un passo. Respirare è così faticoso…
Fanculo!
Singhiozzo. Mi copro la bocca, non voglio che la nonna senta. Non voglio che nessuno mi senta, vorrei solo sparire.
Nonna Ebe entra in camera.
«Vattene!» Ho la voce spezzata. Abbasso la testa, i capelli nascondono gli occhi.
Qualche passo strascicato, la zip dello zaino.
Nonna impila i vestiti nell’armadio decrepito, apre i cassetti, li richiude.
Si siede accanto a me.
Non riesco a trattenere le lacrime, le appoggio la testa sulla spalla e lascio sgorgare fuori tutta la tristezza.
Nonna mi accarezza la testa. Preme le dita sulla fronte e me le passa tra i capelli, proprio come faceva la mamma. «Ti manca?»
Annuisco. «Perché l’ha fatto?»
«Non lo so, Giacomo. Nessuno lo sa.» Si passa una nocca sotto l’occhio. «A volte la vita ci getta dentro a un baratro da cui non siamo in grado di uscire da soli. Avremmo bisogno di aiuto, ma…» La voce le trema, scoppia in lacrime. «Vorrei che mi avesse parlato di come si sentiva.»
«Vieni qui, nonna.» La stringo tra le braccia. «Vedrai che insieme lo supereremo.»