Cicatrici

«Tesoro, non ti arrabbiare ma non riesco a venire. Lo capisci vero?»
Annuisce in risposta, anche se sa che suo padre non può vederla attraverso il telefono.
«Lo capisci? Prometto che la prossima volta»
Adele passa il telefono a Sara e va in camera. Si tuffa sul letto a fissare il soffitto mentre abbraccia il cuscino morbido. Da lontano sente Sara parlare con lui in tono accondiscendente, non si preoccupi, ci penso io e un mucchio di frasi trite. Le avrà sentite decine di volte negli ultimi mesi.
Tiene il conto di tutte le promesse mancate, appuntamenti fissati fatti di lunghe attese e comunicazioni sospese.
Vorrebbe piangere, sul serio. Ma gli occhi sono secchi quanto la bocca, che non riesce a urlare la rabbia, né a sputare la delusione.
 
«Posso?» Sara bussa, ma con metà corpo è già nella stanza.
Si siede sul ciglio del letto e le accarezza un polpaccio.
«So che ci sei rimasta male e lo capisco. Tuo padre fa quello che può.»
Adele la trafigge con lo sguardo e, inaspettata, una goccia si accumula tra le sue palpebre.
La ragazza, che da alcuni mesi si occupa di Adele, fissa la parete in attesa che risponda.
«Anche per lui è difficile adesso sai?» aggiunge poi guardandola negli occhi. «Verrò io alla festa della scuola domani, diremo che sono tua cugina, ok?»
Adele si gira voltandole le spalle in attesa che Sara esca dalla stanza.
Tira su col naso e pensa a quando mamma la portava al bar davanti a scuola a fare merenda. Non perdeva neppure una festa scolastica, lei, né una saggio di musica.
Ricorda che era gentile con tutti, e sempre disposta a sorridere. Sopra ogni cosa ricorda il suo profumo dolce e speziato insieme, e quando le sembra di esser sul punto di dimenticare, estrae la boccetta vuota dalla scatola in fondo all’armadio e la annusa.
 
Quando il padre fece sparire tutte le fotografie di sua moglie all’improvviso e poi i suoi oggetti, Adele, alla ricerca disperata di qualcosa appartenuto a lei, trovò la boccetta in un cassetto e la sottrasse alla smania di pulizia paterna.
«Papà, parlami di lei. A volte non ricordo il colore dei suoi occhi» aveva implorato l’unica volta che lui le aveva permesso di abbracciarlo stretto. Ma subito il padre si era ritratto nascondendo il viso tra le mani.
Si era alzata in silenzio e l’aveva lasciato seduto sul divano a singhiozzare.
Era così dispiaciuta che si sarebbe mangiata quella stupida lingua!
Forse per questo motivo o per punire la sua domanda inopportuna, quel giorno Adele aveva preso il coltello dal cassetto in cucina e si era chiusa in bagno. Ricorda la lama che segnava appena la pelle del braccio e gocce rosse che scivolavano sulla ceramica immacolata del lavandino, mescolandosi a tracce d’acqua. Quella volta non aveva sentito dolore, ma una morsa alla pancia al pensiero di cosa avrebbe detto la mamma.
Ora, anche di questo non le importava più.
 
Adele alza la manica e guarda le cicatrici.
Sembrano una mappa di vie che si intersecano per interrompersi sul polso, dove la pelle è più sottile. Tra pochi giorni il caldo si farà sentire e Sara ha già iniziato a chiederle come riesce a sopportare di essere sempre così coperta.
«Non sarà un problema» le ha risposto.
Adele fruga sotto il materasso finché le dita toccano la lama affilata. Appoggia il coltello sulla pelle del polso e inspira piano.
Non sarà più un problema.