Come fiori di lavanda sbocciati tra le macerie

Svoltiamo l’angolo ed eccolo lì, il rudere fatiscente in mezzo alle ville ristrutturate di fino. Sembra un nero dente cariato tra quelli sani e splendenti. Il cartello VENDESI, affisso a quel che rimane delle mura, sembra un’imprecazione più che una proposta immobiliare. Chi mai la comprerebbe?
Camilla ci teneva tanto a farmi tornare qui al paese, ma non ho nessuna intenzione di entrare nella casa dove stavamo in affitto, dov’è morto il piccolo Tommi.
Ho i brividi e stringo forte le mani sotto al seno. Camilla mi sfiora la mano e la tira verso di sé. Sono rigida come una quercia, i piedi ben saldi a terra. Le gambe non avanzano di un centimetro.
Lei ha la fronte corrucciata. «Roberta, cos’è che non va?»
Ritraggo la mano e chiudo i pugni sui fianchi. «Ho cambiato idea.»
«Perché?» La luce dei lampioni le illumina il viso.
«È possibile che ti debba spiegare sempre tutto?» Il mio corpo arde come se avessero appiccato un incendio nel bosco. La quercia è ancorata al terreno e può solo bruciare, inerme, aspettando di ridursi in cenere. «Non ci arrivi da sola?»
Scuote la testa, i capelli neri posati sulle spalle svolazzano e sprigionano il suo profumo buonissimo di lavanda. «Dai, Rob. Entriamo, facciamo un giro veloce e in meno di mezz’ora saremo strette nel letto d’hotel a scaldarci sotto le coperte. Promesso.»
Credo sia per il suo profumo che, ogni volta, riesce a trascinarmi in queste sue idee strampalate. Finisce che le dico sempre di sì.
Forse sono stata troppo dura con lei, vorrei solo che mi capisse. «Cami, perché ci tieni così tanto a entrare là dentro?»
«Te l’ho già detto stamattina, è una sorpresa.» Le fossette ai lati della bocca la fanno sembrare ancora più carnosa. «Quand’è che inizierai a fidarti di me?»
Mi volto verso la casa abbandonata. È uno scatafascio pieno di ricordi seppelliti sotto le macerie del terremoto. «Quando capirai come ci si possa sentire a perdere tutto in neanche dieci secondi!»
Il cuore mi batte forte, gli occhi sono pieni di lacrime pronte a straripare.
Il profumo di lavanda ora è più vicino, mi avvolge. Mi lascio cadere tra le braccia di Camilla.
 
Le mura della mia vecchia casa sembrano un vecchio malato di artrosi che sta per cadere da un momento all’altro. Le finestre non ci sono più e la parte sinistra del tetto è crollata. Povero Tommi, mi devasta il ricordo del mio fratellino schiacciato da quintali di pietre e mattoni.
Una tavola di compensato inchiodata alla meno peggio sigilla l’ingresso principale.
Camilla non sta più nella pelle. «Vieni, so come entrare.» Si accovaccia, stringe l’angolo basso del pannello e lo inclina verso di sé. Ci passa a malapena un barboncino nello spazio tra il muro e il compensato. Accende la torcia del telefono ed entra. Mi abbasso e mi intrufolo anche io, insozzandomi i jeans di polvere. Sfrego il braccio sul muro che si sbriciola come pasta frolla.
L’odore di muffa è nauseabondo. Infilo il naso tra i capelli profumati di Camilla per ritrovare un po’ di sollievo. Cerco la sua mano nella penombra. È l’unico appiglio a cui posso aggrapparmi. E non solo adesso.
Ci sono ancora i vecchi mobili, gonfi e deformati dall’umidità; una scopa spelacchiata, calcinacci dappertutto. Cosa pensavo di trovare dopo trent’anni di abbandono?
Saliamo le scale, le macerie scricchiolano sotto le suole delle nostre scarpe.
«Seguimi.» Camilla bisbiglia, come per non svegliare il sonno eterno di Tommi.
Dall’enorme voragine sul tetto si affaccia la luna, gialla, quasi piena. Una stella le tiene compagnia nel cielo. Sembriamo io e Camilla. Lei brillante, io rotondetta.
«Rob…» La luce della luna si riflette nei suoi occhi.
«Si?»
«Devo dirti una cosa.»
Sudo freddo. «Avanti, dimmi.»
«L’ho comprata. La casa, è nostra.»
Il cuore mi batte forte. Inspiro fragranza di lavanda e odore di muffa.
Camilla salta di gioia. Mi ama, mi ha capita.
Per tutta la vita mi sono fatta forza, come una quercia. Ma ora, nella mia vecchia casa, scopro che i fiori di lavanda possono mettere radici più profonde. Più di quanto immaginassi.