Crudeltà e giustizia

Il mondo è crudele.
Lo ha detto prima di uscire, il bastardo.
Le catene ai polsi mi lacerano la carne. Il tanfo che mi arriva alle narici e la colata umida e vischiosa lungo le cosce confermano quello che mi ha detto prima di allontanarsi.
Ti sei cagato nei pantaloni, omuncolo.
Perché sono qui?
La luce è debole ma la sagoma di un divano e un tavolino basso mi fanno pensare a una sala.
Sono in un appartamento e, se il mal di testa non mi ha fottuto il cervello, quelli che sento da un po’ sono treni.
Ma perché mi ha chiuso qua dentro, appeso come un quarto di bue?
La gola brucia, devo bere.
La penombra che avvolge la sala comincia a tremare e una foschia cala sul divano e sul tavolino. Ho la nausea. Sto per svenire?
Da quanto tempo sono qui?
Cazzo, ho bisogno di acqua.
Un rumore improvviso alle mie spalle e una luce che invade la stanza.
Eccolo, ha aperto la porta.
Cornici con fotografie sopra a un tavolo e un pianoforte a coda. Poi di nuovo la penombra e il rumore della porta che si chiude.
«Ciao, omuncolo. Dormito bene?».
Si avvicina ma non riesco a girarmi.
«Chi cazzo sei?». La voce mi esce appena.
«Davvero non riesci a ripescarmi in quel cervello di merda che ti ritrovi? Eppure eri così affezionato a me».
Ancora i passi che si avvicinano. Ho sete e tutto sta di nuovo piombando nel buio.
Perché dovrei conoscerlo? Che cosa vuole da me?
Un profumo di pane copre per un attimo il puzzo di merda.
Il panificio accanto alla stazione.
Cerco di fare mente locale per capire chi possa conoscere da quelle parti. Sto delirando.
E se anche conosco qualcuno?
«Allora? Sei pronto per lo spettacolo? Io e te adesso giochiamo un po’».
Ho voglia di vomitare. Questo pazzo mi ucciderà.
Comincia a mugolare un motivetto che mi è familiare, ma non ricordo quale canzone sia.
Mi gira intorno e un odore forte di dopobarba mi accelera la nausea.
«Davvero non sai che cosa succede?».
Mi cascano le lacrime e una fitta al petto mi toglie il fiato.
«Ti prego, dammi da bere. Non lo so chi sei. Ti prego».
La sua risata mi penetra le orecchie e la testa inizia a pulsare. Voglio svenire o il cervello mi scoppierà.
«Certo, adesso vuole pure l’acqua lui. Smettila di frignare e guardami».
È davanti a me, ma vedo solo un’ombra.
«Il mondo è crudele, ricordi?».
La sua sagoma comincia a muoversi e la nausea è insopportabile. Mi gira la testa.
Un’immagine si fa spazio nella mia mente. Gli anni novanta, quando insegnavo al Da Vinci.
No, non può essere.
«Tu, tu…sei…».
La gola è in fiamme e i singhiozzi mi impediscono di fare quel nome.
«Ti ricordi il tuo alunno preferito?».
Si avvicina e si inginocchia davanti a me. Non riesco a vederlo in viso.
Ma che cazzo sta facendo?
Le sue mani indugiano sul mio ventre poi mi sbottonano i pantaloni.
«Ti prego, no».
«Tu mi preghi? Davvero funziona? Ti pregavo anche io, no?».
Li sfila e resto appeso alla trave, seminudo e con le gambe merdose.
Si alza e avvicina la sua bocca alla mia.
«Mi fai schifo, sai? Ma adesso voglio mostrarti a un’amica».
Ride di nuovo e si allontana.
Lapo? No, non può essere lui.
Lo vedo avvicinarsi al divano, oltrepassarlo e aprire un’altra porta.
«Entra pure cara, lo zio ti aspetta».
Oddio, Serena! Sono finito.
Lo stomaco viene invaso da un’onda che dal ventre risale su fino a riempirmi la bocca. Mi butto in avanti e la apro. Non so per quanto vomito. Mi sembra tutto rallentato, tutto eterno.
Una risata arriva dal divano. Si è seduto il pezzo di merda.
Cerco di produrre saliva per ripulirmi la bocca ma riesco solo a farmi venire una nausea più forte.
Serena mi guarda, silenziosa. La luce che proviene dal corridoio le illumina i capelli biondi e mostra un viso sempre grazioso. La mia Serena.
«Serena, che succede? Come stai? Ti ha fatto del male?». La testa continua a pulsare. «Figlio di puttana, se le hai fatto qualcosa giuro che…».
Lui si alza di scatto e si avvicina a passo svelto. Poi si blocca e mi fissa con quegli occhi che ora riconosco. La luce mi rivela quel taglio triste che tanto amavo trent’anni fa. Lapo, il mio Lapo.
«Cosa giuri, idiota? Cosa fai eh?». La voce è terribile, anche se forse sta tremando. «E poi le hai già fatto tutto tu, bastardo. Ha solo quattordici anni».
Serena si muove verso di lui, gli è quasi attaccata e…che succede? Si prendono per mano.
Il capogiro si fa più forte e lo stomaco è in subbuglio come se avessi ingoiato cavallette vive.
La mente produce immagini e suoni e mi ritrovo nella sala dei professori, anni fa; la luce è soffusa e la mia mano è tra le gambe di Lapo. Lui continua a dirmi di no ma la sua erezione dice il contrario e continuo la mia carezza.
Ho la nausea e mi sto di nuovo cagando addosso, mentre le immagini cambiano e Serena è sotto di me, nella sua cameretta. Mi prega di smettere ma la sensazione che quel corpicino mi dà è più forte di tutto il resto.
Un rumore mi riporta qua. Si avvicinano.
Lui si china di nuovo su di me.
«Adesso ti facciamo ciò che doveva farti mio padre molto tempo fa».
Qualcosa mi penetra la coscia. Un dolore forte, lungo.
«Il mondo è crudele ma a volte è giusto».