Era, sarà

Settimo classificato nella 148° Edizione del contest principale dell’Arena di Minuti Contati, un racconto di Giorgià D’Aversa scritto sul tema “L’unica verità duratura è il cambiamento”.

 
Riemergo e urlo. Bevo dell’acqua, tossisco e sbraccio. Strizzo gli occhi, sto per andare di nuovo a fondo.
Le dita sfiorano qualcosa di solido. Do una spinta con le gambe e allungo le mani: urto contro la riva e mi ci aggrappo come un rapace. Mantengo la presa salda sull’argine e carico il peso sulla braccia per sollevarmi. Mi lascio cadere su un fianco e riprendo fiato, l’acqua che ho ingoiato mi gratta la gola.
Apro piano gli occhi. Sono in una caverna piena di archi scuri di pietra, nella penombra il mio corpo nudo sembra essere l’unica cosa viva; quello da cui sono appena uscito è un lago che termina contro la parete rocciosa. Ma dove cazzo sono?
Mi siedo e accarezzo il collo per cercare il segno della corda: niente. La pelle è liscia, non ho più nemmeno la barba. Sporgo la testa sulla superficie del lago, il riflesso è quello di un uomo glabro e con gli occhi scuri arrossati. Mi ritraggo di scatto. Ma sono io quello? Torno a specchiarmi, ho la pelle tutta raggrinzita come se fossi stato in acqua per un giorno intero.
Poggio la testa sulle ginocchia e mi rannicchio, chiudo gli occhi. Un respiro, un altro, il coltello si conficca ancora più a fondo nello sterno. Se sono morto, allora perché continua a fare male? Vorrei solo che tutto finisse. Le lacrime mi inumidiscono le gambe, infilo le unghie nella carne.
Mi alzo sulle gambe tremanti e cammino verso l’arcata maggiore della grotta. Non c’è nessuna luce, un paio di persone nude e senza capelli attendono il loro turno davanti a tre alti troni: su ognuno siede una figura femminile.
Con le mani mi copro il pene e mi avvicino all’ultimo della fila. «Dove siamo?»
L’uomo si gira, ha occhi azzurri e un naso aquilino. «Da quel che mi hanno detto gli altri, questo è una specie di limbo tra la vita e la morte. Pare che stiamo per reincarnarci.»
Lascio perdere il pudore e mi sfrego gli occhi. «Un’altra vita?! Me ne è bastata una.»
Lui scrolla le spalle e fa un passo avanti. «Possiamo scegliere noi chi essere. Non penso possa andarti peggio dell’ultima volta.»
I piedi penzolano nel vuoto, la sedia è per terra. La vista inizia a offuscarsi.
Sbatto gli occhi, rimetto a fuoco la schiena dell’uomo davanti a me. Tocca a lui.
Il cuore mi pompa nelle orecchie come dei bassi. Non ho mai chiesto tutto ciò e non voglio nemmeno che si ripeta: l’uomo è condannato a soffrire sempre. Tremo, mi si spezza il respiro.
È il mio turno, avanzo verso le tre donne.
Davanti a me un’anziana, una ragazza e una bimba, tutte e tre indossano solo una tunica bianca su cui svettano i lunghi capelli neri delle più giovani; tra le dita si avvolgono un filo d’oro.
Il volto rugoso della vegliarda mi fa cenno di avvicinarmi. «Benvenuta, anima. Qui puoi decidere le sorti della tua futura vita, proprio come hai fatto con quella che ti sei appena lasciato alle spalle.»
Perciò mi sono scelto con le mie stesse mani una fine di merda. Rido e scuoto la testa. «Per quale motivo avrei dovuto scegliere di soffrire e suicidarmi?»
«Non hai forse goduto della fama che è preclusa a molti altri? Una vita intensa, piena di successi e… dolori. Un’esistenza del genere attirerebbe chiunque, verrai ricordato negli anni.» Allunga una mano rugosa e mi accarezza, le dita indugiano sul mio viso. «Con questa saggezza ora sceglierai il tuo prossimo destino.»
Una donna di successo al lavoro, un uomo che sorride alla sua famiglia, una persona circondata di animali… le immagini di quello che potrebbe essere si mischiano e sovrappongono nella mente.
«Non voglio!» Singhiozzo. «E se sbagliassi ancora una volta?»
«Ricorda che ogni vita è un’esperienza, tutto deve cambiare affinché resti come prima. Quindi, dimmi: quale vita scegli?»
Le lacrime mi bruciano la pelle, ma il palmo dell’anziana è fresco. Chiudo gli occhi: tutto, purché finisca.
La giovane si avvicina e mi lega il filo dorato attorno al polso, la più piccola mi porge una scodella piena d’acqua. Con dita tremanti la afferro, faccio per portarla alle labbra. «Se esistete voi divinità, allora che senso ha la vita di noi uomini?»
La bambina inclina la testa e sorride, gli occhi brillano. «E in quale momento pensi che io abbia scelto per te?»
Bevo e dimentico.